A prescindere dalle specifiche funzioni svolte dai diversi operatori didattici che vi lavorano o che vi potrebbero lavorare, la scuola oggi, un po' come le piazze in cui i cantastorie siciliani continuano a esibirsi, sembra essersi affermata quale importantissimo e delicatissimo teatro di tale opera di mediazione, traduzione, narrazione culturale. Che piazza e scuola costituiscano, sin dall'antichità, poli di un binomio pressoché inscindibile, non è del resto un fatto nuovo. Non è allora strano che tanto gli operatori della piazza, quanto quelli della scuola si siano trovati, nel tempo, a condividere prospettive di conoscenza e comunicazione per molti versi simili. Non è, in altri termini, strano che insegnanti da un lato e cantastorie dall'altro si siano trovati a fronteggiare, nell'eterogeneità d'ogni piazza e d'ogni scuola, un pubblico dalle simili proposizioni in-formative, e che abbiano finito per farlo secondo strategie comunicative, didattiche e rappresentative assimilabili, nella loro interna dialogicità. In classe, insegnanti e mediatori culturali oggi si trovano sempre più a doversi confrontare tra alunni che, in una straordinaria conflittualità di appartenenze etniche, sociali e psicologiche, vivono tutti i drammi di un'identità sospesa. E lo fanno operando fra le difficoltà di una posizione di mezzo del tutto simile a quella che D'Ancona, Toschi, Carpitella e Buttitta non esitarono a indicare quale chiave di comprensione del sapere, della letteratura e dello spettacolo dei pueti in piazza, ossia dei cantastorie di tradizione siciliana, tuttora attivi e operanti. Da qui l'idea di un adeguato ripensamento della mediazione culturale, nei termini di una specifica sperimentazione pedagogica delle articolate strategie di mediazione poetico-musicale che, come osservava D'Ancona sin dall'Ottocento, hanno posto i cantastorie «tra poeti degni di laurea e volgari versificatori». Da qui l'idea di recuperare l'antico canale di saperi che fluisce tra la piazza e la scuola, tra le folle e le classi, sperimentando le tradizionali competenze mediatiche del cantastorie, in sintonia con quelle messe a punto da un corpo docente spesso smarrito, impreparato, inoperoso a proporre una solida strumentazione - assieme orale, scritta, musicale, pittorica, gestuale, mimetica, estraniante, localistica, universalistica - atta a dar voce alle più difficili insorgenze identitarie. Una progettualità, antropologica e pedagogica sperimentata e perfezionata, dal 1998 a oggi, in diversi istituti scolastici italiani, in una serie di personali esperienze di ricerca didattica. L’ora del cantastorie è il saggio che rende conto delle implicazioni antropologiche di tali laboratori didattici, non prima di avere ricostruito sul piano storico l'antico rapporto che lega i cantastorie alle istituzioni scolastiche e la dimensione di mezzo che conferisce alla comunicazione dei cantastorie tutte le potenzialità critico-speculative e mediatiche in oggetto.

L'ora del cantastorie

GERACI, Mauro
2004-01-01

Abstract

A prescindere dalle specifiche funzioni svolte dai diversi operatori didattici che vi lavorano o che vi potrebbero lavorare, la scuola oggi, un po' come le piazze in cui i cantastorie siciliani continuano a esibirsi, sembra essersi affermata quale importantissimo e delicatissimo teatro di tale opera di mediazione, traduzione, narrazione culturale. Che piazza e scuola costituiscano, sin dall'antichità, poli di un binomio pressoché inscindibile, non è del resto un fatto nuovo. Non è allora strano che tanto gli operatori della piazza, quanto quelli della scuola si siano trovati, nel tempo, a condividere prospettive di conoscenza e comunicazione per molti versi simili. Non è, in altri termini, strano che insegnanti da un lato e cantastorie dall'altro si siano trovati a fronteggiare, nell'eterogeneità d'ogni piazza e d'ogni scuola, un pubblico dalle simili proposizioni in-formative, e che abbiano finito per farlo secondo strategie comunicative, didattiche e rappresentative assimilabili, nella loro interna dialogicità. In classe, insegnanti e mediatori culturali oggi si trovano sempre più a doversi confrontare tra alunni che, in una straordinaria conflittualità di appartenenze etniche, sociali e psicologiche, vivono tutti i drammi di un'identità sospesa. E lo fanno operando fra le difficoltà di una posizione di mezzo del tutto simile a quella che D'Ancona, Toschi, Carpitella e Buttitta non esitarono a indicare quale chiave di comprensione del sapere, della letteratura e dello spettacolo dei pueti in piazza, ossia dei cantastorie di tradizione siciliana, tuttora attivi e operanti. Da qui l'idea di un adeguato ripensamento della mediazione culturale, nei termini di una specifica sperimentazione pedagogica delle articolate strategie di mediazione poetico-musicale che, come osservava D'Ancona sin dall'Ottocento, hanno posto i cantastorie «tra poeti degni di laurea e volgari versificatori». Da qui l'idea di recuperare l'antico canale di saperi che fluisce tra la piazza e la scuola, tra le folle e le classi, sperimentando le tradizionali competenze mediatiche del cantastorie, in sintonia con quelle messe a punto da un corpo docente spesso smarrito, impreparato, inoperoso a proporre una solida strumentazione - assieme orale, scritta, musicale, pittorica, gestuale, mimetica, estraniante, localistica, universalistica - atta a dar voce alle più difficili insorgenze identitarie. Una progettualità, antropologica e pedagogica sperimentata e perfezionata, dal 1998 a oggi, in diversi istituti scolastici italiani, in una serie di personali esperienze di ricerca didattica. L’ora del cantastorie è il saggio che rende conto delle implicazioni antropologiche di tali laboratori didattici, non prima di avere ricostruito sul piano storico l'antico rapporto che lega i cantastorie alle istituzioni scolastiche e la dimensione di mezzo che conferisce alla comunicazione dei cantastorie tutte le potenzialità critico-speculative e mediatiche in oggetto.
2004
9788883586583
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/1590053
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