Sostenere la possibilità di “apprendere con gli altri” può sembrare dissonante con il clima che oggi prevale, ispirato al paradigma culturale e sociale della frammentazione/separazione, che ha sostituito quello della comunità/appartenenza. Nell’attuale situazione pluricentrica risulta, infatti, estremamente difficile condividere gli universi simbolici esistenziali e linguistici, uscire dall’autoreferenzialità, porsi dal punto di vista dell’altro e capire la sua visione del mondo. E’ sempre più diffusa la propensione a centrarsi su di sé, a parlare e a parlare di sé, quasi che l’altro non ci fosse. Ne discende una relazionalità in cui l’io non è capace di rispettare ed apprezzare la pienezza ontologica e valoriale del tu. Così, proprio perchè la vita sociale e collettiva si va impoverendo, oggi viene chiesto da più parti agli educatori ed alla scuola di insegnare alle nuove generazioni a convivere, a cooperare ed a lavorare in gruppo, competenze ormai riconosciute ufficialmente come strategiche nei processi formativi. Emergono due interrogativi di fondo: 1) È possibile parlare ancora di interrelazionalità e di cooperazione? 2) Quale legame può tenere oggi insieme le diverse soggettività? Il contributo, passando in rassegna il significato di ‘esistenza’ secondo il pensiero di alcuni tra i maggiori filosofi e pensatori del secolo scorso (Heidegger, Buber, Husserl, Lévinas, Bateson), individua la relazione come il luogo della crescita, purché si accetti di mettere in discussione la propria verità e si diventi disponibili a riconoscere la verità dell’altro, anche se la conoscenza dell’altro (o della realtà) nella sua assolutezza e totalità non è mai possibile (Gadamer). Posti questi assunti, il gruppo educativo rappresenta un luogo privilegiato dove è possibile espandere le possibilità cognitive, affettive, relazionali, nonché la capacità progettuale individuale e collettiva (abilità difficilmente sviluppabili nel solo lavoro individuale). Esso diviene, cioè, un eccellente “laboratorio di contatto” dove il soggetto può ampliare le sue possibilità esistenziali e sperimentare la relazione e la “non pacificazione prematura dei conflitti”. Il contributo analizza anche gli aspetti patogeni del gruppo, che si concretizzano quando il singolo individuo si serve del gruppo per potersi “nascondere”, liberare da vincoli etici e trovare sostegno ai propri atteggiamenti trasgressivi ed alle pulsioni violente. In questo senso il gruppo può diventare uno strumento personale e sociale molto pericoloso, perché può generare comportamenti deviati e veicolare apprendimenti negativi e lesivi della dignità umana, che possono raggiungere gradi di inaudita violenza (ad es., i comportamenti del “branco” e delle “bande”).

Apprendere con gli altri

ROMANO, Rosa
2004-01-01

Abstract

Sostenere la possibilità di “apprendere con gli altri” può sembrare dissonante con il clima che oggi prevale, ispirato al paradigma culturale e sociale della frammentazione/separazione, che ha sostituito quello della comunità/appartenenza. Nell’attuale situazione pluricentrica risulta, infatti, estremamente difficile condividere gli universi simbolici esistenziali e linguistici, uscire dall’autoreferenzialità, porsi dal punto di vista dell’altro e capire la sua visione del mondo. E’ sempre più diffusa la propensione a centrarsi su di sé, a parlare e a parlare di sé, quasi che l’altro non ci fosse. Ne discende una relazionalità in cui l’io non è capace di rispettare ed apprezzare la pienezza ontologica e valoriale del tu. Così, proprio perchè la vita sociale e collettiva si va impoverendo, oggi viene chiesto da più parti agli educatori ed alla scuola di insegnare alle nuove generazioni a convivere, a cooperare ed a lavorare in gruppo, competenze ormai riconosciute ufficialmente come strategiche nei processi formativi. Emergono due interrogativi di fondo: 1) È possibile parlare ancora di interrelazionalità e di cooperazione? 2) Quale legame può tenere oggi insieme le diverse soggettività? Il contributo, passando in rassegna il significato di ‘esistenza’ secondo il pensiero di alcuni tra i maggiori filosofi e pensatori del secolo scorso (Heidegger, Buber, Husserl, Lévinas, Bateson), individua la relazione come il luogo della crescita, purché si accetti di mettere in discussione la propria verità e si diventi disponibili a riconoscere la verità dell’altro, anche se la conoscenza dell’altro (o della realtà) nella sua assolutezza e totalità non è mai possibile (Gadamer). Posti questi assunti, il gruppo educativo rappresenta un luogo privilegiato dove è possibile espandere le possibilità cognitive, affettive, relazionali, nonché la capacità progettuale individuale e collettiva (abilità difficilmente sviluppabili nel solo lavoro individuale). Esso diviene, cioè, un eccellente “laboratorio di contatto” dove il soggetto può ampliare le sue possibilità esistenziali e sperimentare la relazione e la “non pacificazione prematura dei conflitti”. Il contributo analizza anche gli aspetti patogeni del gruppo, che si concretizzano quando il singolo individuo si serve del gruppo per potersi “nascondere”, liberare da vincoli etici e trovare sostegno ai propri atteggiamenti trasgressivi ed alle pulsioni violente. In questo senso il gruppo può diventare uno strumento personale e sociale molto pericoloso, perché può generare comportamenti deviati e veicolare apprendimenti negativi e lesivi della dignità umana, che possono raggiungere gradi di inaudita violenza (ad es., i comportamenti del “branco” e delle “bande”).
2004
8835017483
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