La dimensione che in questa lunga intervista il noto poeta-cantastorie siciliano Franco Trincale sembra porre come “conditio sine qua non” all'essere cantastorie è quella della “distanza”. La distanza, nell’intervista prodotta da Mauro Geraci alla fine di una ventennale ricerca etnografica dedicata all’operare dei cantastorie siciliani contemporanei, non è solo quella tra il paese di origine, Militello Val di Catania e Milano, pur vissuta e ricapitolata dall'emigrante Franco Trincale; quanto, piuttosto, quella intrinseca,mutevole che separa l'esperienza autobiografica dal racconto musicale della realtà. Trincale ragiona continuamente sulla corrispondenza tra ciò che egli ha vissuto e ciò che egli canta e ha cantato; sui problemi della famiglia, della casa, del lavoro, dell'emarginazione, dell'emigrazione, della lotta politica assunti contemporaneamente quali temi della propria vita e temi che le sue ballate vogliono denunciare quali veri e propri capitoli di una grande. storia sociale. Con straordinaria lucidità rivela come la sua voce di cantastorie-canzonettista sia scaturita dall'esigenza di "sfamare la famiglia"; dall'esigenza di cantare drammi via via acquisiti dalla sua coscienza; dalle esigenze degli emigranti e operai delle fabbriche milanesi che, giorno per giorno, I'hanno fatto loro portavoce; dai contrasti dettati dalla militanza comunista e da quella anarchica; dai contrasti, infine, dettati dalla piazza cui Trincale ancora si rivolge e dai circuiti discografici. Colpisce come, in quest'intervista, Trincale sia capace di controllare il racconto di tutto ciò come se, per un momento, fosse un cantastorie allo specchio, che si guarda "da una certa distanza" - così come amava dire Verga secondo un effetto di estraniamento caro ai cantastorie siciliani. “Ballata di lupara” - la prima in cui Trincale denuncia la mafia degli agrari responsabile dell'assassinio di Salvatore Carnevale, il sindacalista socialista ucciso nel '55 e decantato tanto da Buttitta quanto da Carlo Levi e dai fratelli Taviani nel film “Un uomo da bruciare - Trincale non la scrive in Sicilia ma a Milano, guardando quei fatti col beneficio, sacrosanto della distanza. La distanza positiva, dunque, come pratica d'ascolto, conoscenza e scrittura poetica. Alla “distanza critica”, quale condizione necessaria all’operare conoscitivo, comunicativo, po-etico del cantastorie, si lega il vagheggiamento della piazza che, nell'intervista, assume toni e contorni quanto mai flessibili. Una piazza quella vagheggiata e raggiunta da Trincale, che il cantastorie subisce e patisce quando vi si trova sbandato da emigrante e che, a poco a poco, riconquista da cantastorie col sostegno degli operai scoperti nelle fabbriche della circonvallazione 90-91 e, soprattutto, di quelli dell'Alfa Romeo che, nel '69, gli mettono in mano una loro chitarra e, in bocca, la loro voce coi loro drammi da cantare. Altro aspetto “fortuito" è, appunto, tutta la poliedricità conoscitiva in cui qui viene fuori questo processo di costruzione del cantastorie Franco Trincale. Questi e mille altri delicati aspetti della vita di Franco Trincale è possibile rintracciare nelle due parti di cui si compone questo saggio-intervista, utilissimo per chi voglia documentare e comprendere l'attività dei moderni cantastorie in Italia.

Franco Trincale, il cantastorie costruito dagli operai (I)

GERACI, Mauro
2004-01-01

Abstract

La dimensione che in questa lunga intervista il noto poeta-cantastorie siciliano Franco Trincale sembra porre come “conditio sine qua non” all'essere cantastorie è quella della “distanza”. La distanza, nell’intervista prodotta da Mauro Geraci alla fine di una ventennale ricerca etnografica dedicata all’operare dei cantastorie siciliani contemporanei, non è solo quella tra il paese di origine, Militello Val di Catania e Milano, pur vissuta e ricapitolata dall'emigrante Franco Trincale; quanto, piuttosto, quella intrinseca,mutevole che separa l'esperienza autobiografica dal racconto musicale della realtà. Trincale ragiona continuamente sulla corrispondenza tra ciò che egli ha vissuto e ciò che egli canta e ha cantato; sui problemi della famiglia, della casa, del lavoro, dell'emarginazione, dell'emigrazione, della lotta politica assunti contemporaneamente quali temi della propria vita e temi che le sue ballate vogliono denunciare quali veri e propri capitoli di una grande. storia sociale. Con straordinaria lucidità rivela come la sua voce di cantastorie-canzonettista sia scaturita dall'esigenza di "sfamare la famiglia"; dall'esigenza di cantare drammi via via acquisiti dalla sua coscienza; dalle esigenze degli emigranti e operai delle fabbriche milanesi che, giorno per giorno, I'hanno fatto loro portavoce; dai contrasti dettati dalla militanza comunista e da quella anarchica; dai contrasti, infine, dettati dalla piazza cui Trincale ancora si rivolge e dai circuiti discografici. Colpisce come, in quest'intervista, Trincale sia capace di controllare il racconto di tutto ciò come se, per un momento, fosse un cantastorie allo specchio, che si guarda "da una certa distanza" - così come amava dire Verga secondo un effetto di estraniamento caro ai cantastorie siciliani. “Ballata di lupara” - la prima in cui Trincale denuncia la mafia degli agrari responsabile dell'assassinio di Salvatore Carnevale, il sindacalista socialista ucciso nel '55 e decantato tanto da Buttitta quanto da Carlo Levi e dai fratelli Taviani nel film “Un uomo da bruciare - Trincale non la scrive in Sicilia ma a Milano, guardando quei fatti col beneficio, sacrosanto della distanza. La distanza positiva, dunque, come pratica d'ascolto, conoscenza e scrittura poetica. Alla “distanza critica”, quale condizione necessaria all’operare conoscitivo, comunicativo, po-etico del cantastorie, si lega il vagheggiamento della piazza che, nell'intervista, assume toni e contorni quanto mai flessibili. Una piazza quella vagheggiata e raggiunta da Trincale, che il cantastorie subisce e patisce quando vi si trova sbandato da emigrante e che, a poco a poco, riconquista da cantastorie col sostegno degli operai scoperti nelle fabbriche della circonvallazione 90-91 e, soprattutto, di quelli dell'Alfa Romeo che, nel '69, gli mettono in mano una loro chitarra e, in bocca, la loro voce coi loro drammi da cantare. Altro aspetto “fortuito" è, appunto, tutta la poliedricità conoscitiva in cui qui viene fuori questo processo di costruzione del cantastorie Franco Trincale. Questi e mille altri delicati aspetti della vita di Franco Trincale è possibile rintracciare nelle due parti di cui si compone questo saggio-intervista, utilissimo per chi voglia documentare e comprendere l'attività dei moderni cantastorie in Italia.
2004
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