La politica agricola risulta fortemente condizionata dal rispetto degli obblighi comunitari stante che le competenze statali sono sempre più residuali, compresse pure dai poteri regionali. Tuttavia, per quanto le norme adottate nel contesto della PAC siano autosufficienti, ogni qual volta una determinata materia viene disciplinata dalla Unione europea non in maniera esauriente, il legislatore nazionale può intervenire per colmare le lacune esistenti, pur nel rispetto dei limiti posti dal diritto europeo. Ed, anzi, proprio per un funzionamento competitivo del mercato che tenga conto delle “particolarità” dei diversi spazi rurali, i singoli Stati hanno la facoltà di integrare, se necessario, le regole dettate dal legislatore europeo per adattarle alle esigenze territoriali locali ed evitare, così, concretamente, discriminazioni tra gli operatori dei vari Paesi membri. Le misure comunitarie delle quote latte, dei diritti di impianto e dei premi unici hanno inevitabilmente influito sul potere di organizzazione e gestione delle singole imprese, implicando -anche se con modalità diverse- un controllo dell’attività produttiva che è -però- funzionalizzato a fini sociali. Nel limitare il diritto del singolo a produrre, le quote latte ed il diritto di impianto perseguono, per un verso, l’obiettivo puramente economico di contingentamento della produzione e, per l’altro, quello di tutela dell’ambiente e della promozione di prodotti di qualità. Parimenti, anche il regime di pagamento unico, concretantesi nel concedere aiuti (a prescindere dal tipo e dal livello di produzione) agli agricoltori, obbliga questi ultimi ad effettuare -seppur minime- attività colturali, nel rispetto delle c.d. condizionalità. E ciò, sempre in vista del raggiungimento di finalità sociali che, oltre alla tutela dell’ambiente, sono la valorizzazione del territorio, la cura e la salvaguardia degli esseri vegetali ed animali, la sanità dei prodotti e la salute dei consumatori. In questa direzione, le restrizioni alla produzione in determinati settori, da un lato, ed i vincoli cui è soggetta la erogazione degli aiuti, dall’altro, non soltanto sono ammissibili ma rappresentano strumenti indispensabili per la realizzazione del benessere collettivo. Non deve, infatti, dimenticarsi, che gli obiettivi comunitari si sono definitivamente spostati -con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona- dalla realizzazione di interventi meramente economici alla promozione dello sviluppo della persona ed all’effettiva tutela dei diritti fondamentali che ruotano intorno ad essa. Anche per gli imprenditori agricoli europei lo spazio comune non è più un “puro spazio di mercato”, destinato alla sola circolazione delle merci, ma -piuttosto- luogo in cui gli stessi vantano diritti relativi alla salute, alla sicurezza, all’ambiente, da fare valere nei confronti del potere delle istituzioni comunitarie. A tutela di tali situazioni giuridiche il legislatore europeo ha dettato disposizioni comuni minime per una impostazione il più possibile uniforme tra gli Stati membri, pur consentendo a questi di effettuare gli opportuni adeguamenti alle singole realtà territoriali.

Quote latte diritti di impianto e titoli all'aiuto. Limiti all'iniziativa economica e valori del sistema

TOMMASINI, Alessandra
2008-01-01

Abstract

La politica agricola risulta fortemente condizionata dal rispetto degli obblighi comunitari stante che le competenze statali sono sempre più residuali, compresse pure dai poteri regionali. Tuttavia, per quanto le norme adottate nel contesto della PAC siano autosufficienti, ogni qual volta una determinata materia viene disciplinata dalla Unione europea non in maniera esauriente, il legislatore nazionale può intervenire per colmare le lacune esistenti, pur nel rispetto dei limiti posti dal diritto europeo. Ed, anzi, proprio per un funzionamento competitivo del mercato che tenga conto delle “particolarità” dei diversi spazi rurali, i singoli Stati hanno la facoltà di integrare, se necessario, le regole dettate dal legislatore europeo per adattarle alle esigenze territoriali locali ed evitare, così, concretamente, discriminazioni tra gli operatori dei vari Paesi membri. Le misure comunitarie delle quote latte, dei diritti di impianto e dei premi unici hanno inevitabilmente influito sul potere di organizzazione e gestione delle singole imprese, implicando -anche se con modalità diverse- un controllo dell’attività produttiva che è -però- funzionalizzato a fini sociali. Nel limitare il diritto del singolo a produrre, le quote latte ed il diritto di impianto perseguono, per un verso, l’obiettivo puramente economico di contingentamento della produzione e, per l’altro, quello di tutela dell’ambiente e della promozione di prodotti di qualità. Parimenti, anche il regime di pagamento unico, concretantesi nel concedere aiuti (a prescindere dal tipo e dal livello di produzione) agli agricoltori, obbliga questi ultimi ad effettuare -seppur minime- attività colturali, nel rispetto delle c.d. condizionalità. E ciò, sempre in vista del raggiungimento di finalità sociali che, oltre alla tutela dell’ambiente, sono la valorizzazione del territorio, la cura e la salvaguardia degli esseri vegetali ed animali, la sanità dei prodotti e la salute dei consumatori. In questa direzione, le restrizioni alla produzione in determinati settori, da un lato, ed i vincoli cui è soggetta la erogazione degli aiuti, dall’altro, non soltanto sono ammissibili ma rappresentano strumenti indispensabili per la realizzazione del benessere collettivo. Non deve, infatti, dimenticarsi, che gli obiettivi comunitari si sono definitivamente spostati -con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona- dalla realizzazione di interventi meramente economici alla promozione dello sviluppo della persona ed all’effettiva tutela dei diritti fondamentali che ruotano intorno ad essa. Anche per gli imprenditori agricoli europei lo spazio comune non è più un “puro spazio di mercato”, destinato alla sola circolazione delle merci, ma -piuttosto- luogo in cui gli stessi vantano diritti relativi alla salute, alla sicurezza, all’ambiente, da fare valere nei confronti del potere delle istituzioni comunitarie. A tutela di tali situazioni giuridiche il legislatore europeo ha dettato disposizioni comuni minime per una impostazione il più possibile uniforme tra gli Stati membri, pur consentendo a questi di effettuare gli opportuni adeguamenti alle singole realtà territoriali.
2008
Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Messina
8814142602
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