Un luogo abbastanza comune è intendere l’interpunzione, anche (nel migliore dei casi), come un sistema di pausazione al servizio della lettura recitata, e non di quella pensata. Un tale fraintendimento si giustifica con la presenza, nella scrittura, di due segni paragrafematici (i segni dell’interrogazione e dell’esclamazione) che sicuramente riproducono effetti intonativi tipici del parlato. Come è noto, le unità del parlato sono dettate e determinate, in modo particolare, dall’intonazione e da esigenze fonico-respiratorie, a cui va pure ricondotto il fenomeno del rafforzamento fonosintattico che sovente produce l’univerbazione. La corrispondenza di queste pause intonative con la demarcazione logico-sintattica propria della punteggiatura (che è essenzialmente demarcativa, isolante), in realtà, è solo casuale; anzi, l’uso insistito della virgola, per isolare l’elemento enfatizzato nei costrutti marcati o per riprodurre la pausazione del parlato nella sua trasposizione scritta, rischia di apparire inadeguato e poco funzionale anche per chi non abbia un concetto troppo “ingenuo” dell’interpunzione. Per chi, invece, è abituato a recepire, in maniera quasi esclusiva, le nuove forme di oralità, porre sullo stesso piano queste due funzioni rischia di rivelarsi assai deleterio. Se si tratta allora di togliere «fisicità alla pausa», come giustamente viene raccomandato da Mortara Garavelli, mi chiedo se non sia il caso, per ciò che riguarda la riproduzione scritta delle pause del parlato e dei blocchi informativi, di ricorrere sempre non alla virgola, ma ad uno dei segni tuttora in uso nei testi di livello scientifico (dove generalmente si fa ricorso alla sbarretta obliqua semplice [/] o doppia [//]). Questa semplice operazione grafica servirebbe, peraltro, a marcare ulteriormente la distanza esistente tra la funzione logico-sintattica, separativa e isolante della virgola, che ritroviamo solo nello scritto, e quella propriamente intonativa, caratteristica del parlato, che da tempo si è indebitamente sovraestesa.

Sulla punteggiatura 'intonativa'

CUSMANO, Giuseppe Salv.
2008-01-01

Abstract

Un luogo abbastanza comune è intendere l’interpunzione, anche (nel migliore dei casi), come un sistema di pausazione al servizio della lettura recitata, e non di quella pensata. Un tale fraintendimento si giustifica con la presenza, nella scrittura, di due segni paragrafematici (i segni dell’interrogazione e dell’esclamazione) che sicuramente riproducono effetti intonativi tipici del parlato. Come è noto, le unità del parlato sono dettate e determinate, in modo particolare, dall’intonazione e da esigenze fonico-respiratorie, a cui va pure ricondotto il fenomeno del rafforzamento fonosintattico che sovente produce l’univerbazione. La corrispondenza di queste pause intonative con la demarcazione logico-sintattica propria della punteggiatura (che è essenzialmente demarcativa, isolante), in realtà, è solo casuale; anzi, l’uso insistito della virgola, per isolare l’elemento enfatizzato nei costrutti marcati o per riprodurre la pausazione del parlato nella sua trasposizione scritta, rischia di apparire inadeguato e poco funzionale anche per chi non abbia un concetto troppo “ingenuo” dell’interpunzione. Per chi, invece, è abituato a recepire, in maniera quasi esclusiva, le nuove forme di oralità, porre sullo stesso piano queste due funzioni rischia di rivelarsi assai deleterio. Se si tratta allora di togliere «fisicità alla pausa», come giustamente viene raccomandato da Mortara Garavelli, mi chiedo se non sia il caso, per ciò che riguarda la riproduzione scritta delle pause del parlato e dei blocchi informativi, di ricorrere sempre non alla virgola, ma ad uno dei segni tuttora in uso nei testi di livello scientifico (dove generalmente si fa ricorso alla sbarretta obliqua semplice [/] o doppia [//]). Questa semplice operazione grafica servirebbe, peraltro, a marcare ulteriormente la distanza esistente tra la funzione logico-sintattica, separativa e isolante della virgola, che ritroviamo solo nello scritto, e quella propriamente intonativa, caratteristica del parlato, che da tempo si è indebitamente sovraestesa.
2008
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