Una discussione a tutt’oggi aperta in dottrina è quella relativa all’interpretazione dell’art. 1709 c.c. Accanto a quanti infatti sostengono che l’onerosità non sia elemento essenziale del mandato e che conseguentemente il corrispettivo non può includersi tra gli elementi idonei a qualificarlo, c’è chi afferma invece che nel mandato oneroso la previsione del corrispettivo si inserirebbe quale prestazione corrispettiva a tutti gli effetti e che pertanto al mandato sarebbero applicabili i principi che regolano i contratti a prestazioni corrispettive. In proposito riteniamo che la questione possa trovare la sua giustificazione ma anche la sua soluzione alla luce dell’evoluzione storica dell’istituto in esame. Il mandato, inquadrato dai giuristi classici nell’ambito dei contratti consensuali, era già conosciuto nel IV-III sec. a-Cr., in connessione al graduale incremento dei traffici e dei commerci attuatosi in seguito alla politica espansionistica intrapresa da Roma. Nel nuovo scenario economico apertosi si dovette infatti sentire l’esigenza di avvalersi sempre più spesso di uomini di fiducia, quindi oltre che di sottoposti anche di liberti e di amici, per l’espletamento di affari che il dominus negotii era impossibilitato ad eseguire personalmente. Dal particolare legame esistente tra le parti il rapporto si venne conseguentemente a profilare ab origine come gratuito. Ora, mentre tale gratuità nell’ambito della giurisprudenza alto imperiale (Giavoleno, D. 17.1.36.1), assunse un significato ampio, non riguardando il non ricevere un compenso determinato, bensì piuttosto il non ottenere un qualsivoglia vantaggio nell’espletamento di un affare portato avanti ad esclusivo beneficio del mandante, nella giurisprudenza più evoluta (Gaio, D. 19.5.22; Paolo, D. 17.1.1.4) tale principio acquistò invece un contenuto più circostanziato, relativo alla semplice mancanza di un corrispettivo economico. Detto requisito, inteso in quest’ultimo senso, non venne meno né con l’attribuzione al mandatario di un honor, semplice espressione di una prassi sociale di gratitudine (Ulpiano, D. 17.1.6 pr.), né di un salarium, esigibile extra ordinem, concesso semplicemente per remunerare laborem, quindi non come equivalente del lavoro prestato, ma come compenso per le fatiche sopportate (Papiniano, D. 17.1.7). Incidenza notevole sul consolidarsi della gratuità del mandato, rimasta formalmente salda fino a Giustiniano (I. 3.26.13), ebbero sicuramente le idee portate avanti dall’etica stoica, secondo cui il bene non va fatto per tornaconto, la ricompensa per averlo praticato consistendo, infatti, nell’azione in sé. Ma il tramonto di quest’etica ed il contemporaneo affermarsi di quella cristiana, con la sua valutazione positiva del lavoro, visto come fonte di sussistenza (Agostino, epist. 153.6.23) e quindi sempre da retribuire (S.Ambrogio, epist. 19.3), permette di giustificare la presenza in qualche testo classico, alterato dai Compilatori, di un principio opposto (Paolo, D. 17.1.26.8). Della natura “anfibia” del contratto di mandato, così come ci proviene dai testi del Corpus Iuris, rimane traccia nelle epoche successive. Il requisito della gratuità resta, sì, saldo infatti presso la dottrina medioevale, ma quest’ultima sarà costretta a fare i conti pure con il ridimensionamento subito dal principio stesso nell’epoca giustinianea. La tradizionale nozione del mandato gratuito fu destinata comunque a subire una grossa battuta d’arresto col diffondersi delle ideologie rivoluzionarie settecentesche, essendo l’altruismo un sentimento ormai incompatibile con l’iniziativa privata e lo sviluppo delle attività economiche. Della gratuità se ne fece pertanto un elemento naturale del contratto che, in quanto tale, era derogabile dalle parti (art. 1986 c. napoleonico, rispecchiato fedelmente dall’art. 1739 del nostro cod. civ. del 1865). In termini opposti si espresse però il cod. di commercio del 1882, che all’art. 349 enunciava il principio secondo cui il mandato commerciale non si presume gratuito. Tale diversa regolamentazione ebbe di certo una grossa incidenza sul legislatore del ’42 che all’art. 1739 parla appunto di presunzione di onerosità, così trasformando il requisito della gratuità da elemento naturale in elemento accidentale del mandato. Il che tuttavia non giustifica la conversione del nostro contratto in contratto a prestazioni corrispettive, visto che la ricezione di un compenso riguarda in ogni caso solo una sfera accessoria rispetto a quella tesa alla realizzazione dell’incarico affidato al mandatario, alla cui corretta esecuzione è volto da sempre l’interesse fondamentale del mandante (art. 1703 c.c.). Siamo pertanto dell’avviso che, pure sulla base della sua antica tradizione, l’istituto in esame debba continuare ad essere inquadrato nella tipologia dei c.d. contratti bilaterali imperfetti, in cui una soltanto è l’obbligazione principale idonea a sostenere ex se la causa del contratto, sebbene nulla impedisca che altra obbligazione, eventuale, possa scaturire dal medesimo, al fine di soddisfare un interesse proprio anche del mandatario.

Dalla gratuità alla presunzione di onerosità. Considerazioni sul contratto di mandato alla luce di recenti studi.

COPPOLA, Giovanna
2010-01-01

Abstract

Una discussione a tutt’oggi aperta in dottrina è quella relativa all’interpretazione dell’art. 1709 c.c. Accanto a quanti infatti sostengono che l’onerosità non sia elemento essenziale del mandato e che conseguentemente il corrispettivo non può includersi tra gli elementi idonei a qualificarlo, c’è chi afferma invece che nel mandato oneroso la previsione del corrispettivo si inserirebbe quale prestazione corrispettiva a tutti gli effetti e che pertanto al mandato sarebbero applicabili i principi che regolano i contratti a prestazioni corrispettive. In proposito riteniamo che la questione possa trovare la sua giustificazione ma anche la sua soluzione alla luce dell’evoluzione storica dell’istituto in esame. Il mandato, inquadrato dai giuristi classici nell’ambito dei contratti consensuali, era già conosciuto nel IV-III sec. a-Cr., in connessione al graduale incremento dei traffici e dei commerci attuatosi in seguito alla politica espansionistica intrapresa da Roma. Nel nuovo scenario economico apertosi si dovette infatti sentire l’esigenza di avvalersi sempre più spesso di uomini di fiducia, quindi oltre che di sottoposti anche di liberti e di amici, per l’espletamento di affari che il dominus negotii era impossibilitato ad eseguire personalmente. Dal particolare legame esistente tra le parti il rapporto si venne conseguentemente a profilare ab origine come gratuito. Ora, mentre tale gratuità nell’ambito della giurisprudenza alto imperiale (Giavoleno, D. 17.1.36.1), assunse un significato ampio, non riguardando il non ricevere un compenso determinato, bensì piuttosto il non ottenere un qualsivoglia vantaggio nell’espletamento di un affare portato avanti ad esclusivo beneficio del mandante, nella giurisprudenza più evoluta (Gaio, D. 19.5.22; Paolo, D. 17.1.1.4) tale principio acquistò invece un contenuto più circostanziato, relativo alla semplice mancanza di un corrispettivo economico. Detto requisito, inteso in quest’ultimo senso, non venne meno né con l’attribuzione al mandatario di un honor, semplice espressione di una prassi sociale di gratitudine (Ulpiano, D. 17.1.6 pr.), né di un salarium, esigibile extra ordinem, concesso semplicemente per remunerare laborem, quindi non come equivalente del lavoro prestato, ma come compenso per le fatiche sopportate (Papiniano, D. 17.1.7). Incidenza notevole sul consolidarsi della gratuità del mandato, rimasta formalmente salda fino a Giustiniano (I. 3.26.13), ebbero sicuramente le idee portate avanti dall’etica stoica, secondo cui il bene non va fatto per tornaconto, la ricompensa per averlo praticato consistendo, infatti, nell’azione in sé. Ma il tramonto di quest’etica ed il contemporaneo affermarsi di quella cristiana, con la sua valutazione positiva del lavoro, visto come fonte di sussistenza (Agostino, epist. 153.6.23) e quindi sempre da retribuire (S.Ambrogio, epist. 19.3), permette di giustificare la presenza in qualche testo classico, alterato dai Compilatori, di un principio opposto (Paolo, D. 17.1.26.8). Della natura “anfibia” del contratto di mandato, così come ci proviene dai testi del Corpus Iuris, rimane traccia nelle epoche successive. Il requisito della gratuità resta, sì, saldo infatti presso la dottrina medioevale, ma quest’ultima sarà costretta a fare i conti pure con il ridimensionamento subito dal principio stesso nell’epoca giustinianea. La tradizionale nozione del mandato gratuito fu destinata comunque a subire una grossa battuta d’arresto col diffondersi delle ideologie rivoluzionarie settecentesche, essendo l’altruismo un sentimento ormai incompatibile con l’iniziativa privata e lo sviluppo delle attività economiche. Della gratuità se ne fece pertanto un elemento naturale del contratto che, in quanto tale, era derogabile dalle parti (art. 1986 c. napoleonico, rispecchiato fedelmente dall’art. 1739 del nostro cod. civ. del 1865). In termini opposti si espresse però il cod. di commercio del 1882, che all’art. 349 enunciava il principio secondo cui il mandato commerciale non si presume gratuito. Tale diversa regolamentazione ebbe di certo una grossa incidenza sul legislatore del ’42 che all’art. 1739 parla appunto di presunzione di onerosità, così trasformando il requisito della gratuità da elemento naturale in elemento accidentale del mandato. Il che tuttavia non giustifica la conversione del nostro contratto in contratto a prestazioni corrispettive, visto che la ricezione di un compenso riguarda in ogni caso solo una sfera accessoria rispetto a quella tesa alla realizzazione dell’incarico affidato al mandatario, alla cui corretta esecuzione è volto da sempre l’interesse fondamentale del mandante (art. 1703 c.c.). Siamo pertanto dell’avviso che, pure sulla base della sua antica tradizione, l’istituto in esame debba continuare ad essere inquadrato nella tipologia dei c.d. contratti bilaterali imperfetti, in cui una soltanto è l’obbligazione principale idonea a sostenere ex se la causa del contratto, sebbene nulla impedisca che altra obbligazione, eventuale, possa scaturire dal medesimo, al fine di soddisfare un interesse proprio anche del mandatario.
2010
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