Mitigando il giudizio stroncatorio di S. Timpanaro su Diego Vitrioli (Reggio Calabria 1819-1898), vincitore col carme Xiphias del primo Certamen Hoeufftianum di Amsterdam (1845), si esamina il suo rapporto di humanistica sodalitas col torinese Tommaso Vallauri, alfiere del culto di Cicerone e della pratica della sua prosa. Viene condotta una minuziosa e documentata messa a punto della storia di un’amicizia vissuta all’insegna del lavorio editoriale esercitato dal Vitrioli su Xiphias, per il quale viene sempre messo a parte e coinvolto il sodale torinese, amicizia interrotta intorno al 1865. Le motivazioni della rottura sono individuate nel mutato clima politico all’indomani dell’unità d’Italia (Vitrioli rimaneva ostinatamente borbonico!) o più esattamente nelle aspre critiche che latinisti ed epigrafisti vicini al Vallauri muovevano al Vitrioli, accusato di plagi virgiliani e di servile imitazione dei classici. Al di là di ogni polemica, ciò che accomuna Vitrioli e Vallauri, più che Virgilio, è Cicerone, vendicato il quale dai due dalle ‘calunnie’ di Mommsen, essi trovano nell’olandese J.C.G. Boot, editore delle Epistolae ad Atticum l’interlocutore ideale. Si ricostruisce dunque tale triangolazione di rapporti attraverso la disamina di quattro epistole latine inviate da Boot a Vallauri e una inviata al sodale olandese dal Vitrioli, il quale, ricevuti i due pregevoli volumi dell’edizione delle Epistolae ad Atticum (Amstelodami 1865-1866), avanza un manipolo di proposte testuali (nell’ordine della lettera, Ad Att. 12,1, 10,13, 5,13, 15,23, Ad fam. 1,1-2) definendole, con finta modestia, niente più che hariolationes. Stando ad una testimonianza raccolta da . F. Manfrè, Scritti inediti di D.V., pp.5-7, Boot considerò le hariolationes di Vitrioli coniecturae o correctiones o, addirittura, emendationes, registrandole e discutendole tutte nelle esaustive note apposte alla sua seconda edizione delle Epistolae (1866). Ma esse non superarono il livello di hariolationes, proprio perchè il Vitrioli rimase obstinatus nell’emendare Cicerone solo e soltanto con Cicerone, e di conseguenza ope…pulchri sensus. I suoi interventi sul testo ciceroniano fanno comunque parte, fino ad ora ignorata, della storia ecdotica delle Epistolae, proprio nella misura in cui Vitrioli interloquiva con quanto si veniva elaborando a livello di edizione dei testi oltre le Alpi e la Torino di Vallauri, e veniva trenuto dal Boot nella giusta considerazione. Il saggio si configura come un ‘paragrafo’ singolare della storia degli studi classici in pieno Ottocento romantico.

Tradizione e conservazione del classico: Tommaso Vallauri, Diego Vitrioli e Cicerone

ZUMBO, Antonino
2008-01-01

Abstract

Mitigando il giudizio stroncatorio di S. Timpanaro su Diego Vitrioli (Reggio Calabria 1819-1898), vincitore col carme Xiphias del primo Certamen Hoeufftianum di Amsterdam (1845), si esamina il suo rapporto di humanistica sodalitas col torinese Tommaso Vallauri, alfiere del culto di Cicerone e della pratica della sua prosa. Viene condotta una minuziosa e documentata messa a punto della storia di un’amicizia vissuta all’insegna del lavorio editoriale esercitato dal Vitrioli su Xiphias, per il quale viene sempre messo a parte e coinvolto il sodale torinese, amicizia interrotta intorno al 1865. Le motivazioni della rottura sono individuate nel mutato clima politico all’indomani dell’unità d’Italia (Vitrioli rimaneva ostinatamente borbonico!) o più esattamente nelle aspre critiche che latinisti ed epigrafisti vicini al Vallauri muovevano al Vitrioli, accusato di plagi virgiliani e di servile imitazione dei classici. Al di là di ogni polemica, ciò che accomuna Vitrioli e Vallauri, più che Virgilio, è Cicerone, vendicato il quale dai due dalle ‘calunnie’ di Mommsen, essi trovano nell’olandese J.C.G. Boot, editore delle Epistolae ad Atticum l’interlocutore ideale. Si ricostruisce dunque tale triangolazione di rapporti attraverso la disamina di quattro epistole latine inviate da Boot a Vallauri e una inviata al sodale olandese dal Vitrioli, il quale, ricevuti i due pregevoli volumi dell’edizione delle Epistolae ad Atticum (Amstelodami 1865-1866), avanza un manipolo di proposte testuali (nell’ordine della lettera, Ad Att. 12,1, 10,13, 5,13, 15,23, Ad fam. 1,1-2) definendole, con finta modestia, niente più che hariolationes. Stando ad una testimonianza raccolta da . F. Manfrè, Scritti inediti di D.V., pp.5-7, Boot considerò le hariolationes di Vitrioli coniecturae o correctiones o, addirittura, emendationes, registrandole e discutendole tutte nelle esaustive note apposte alla sua seconda edizione delle Epistolae (1866). Ma esse non superarono il livello di hariolationes, proprio perchè il Vitrioli rimase obstinatus nell’emendare Cicerone solo e soltanto con Cicerone, e di conseguenza ope…pulchri sensus. I suoi interventi sul testo ciceroniano fanno comunque parte, fino ad ora ignorata, della storia ecdotica delle Epistolae, proprio nella misura in cui Vitrioli interloquiva con quanto si veniva elaborando a livello di edizione dei testi oltre le Alpi e la Torino di Vallauri, e veniva trenuto dal Boot nella giusta considerazione. Il saggio si configura come un ‘paragrafo’ singolare della storia degli studi classici in pieno Ottocento romantico.
2008
9788855530088
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