Se si prova a rileggere la complessità della coraggiosa operazione di renovatio eseguita a Messina dal 1622 per i cantieri della Palazzata, si deve riconoscere che all’imperium del «modulo Ponzello» faceva seguito la libertas dei privati, alla maschera del prospetto terracqueo l’adeguamento più indipendente delle varie soluzioni tipologiche e una relazione con la città che merita attente disamine. Sin dalla perimetrazione dei lotti assegnati ai privati era infatti evidente la difficoltà degli amministratori cittadini a dilatare l’intervento di riassetto urbanistico in quelle fasce di contatto tra i nuovi corpi edilizi e la preesistente morfologia urbana. Definito il fronte alla Marina, per moduli prestabiliti e iterati, il lotto veniva chiuso in profondità fino a impattare con brani della città del tutto stridenti con l’imponenza delle nuove fabbriche. Il fenomeno veniva ulteriormente acuito dalle stradine retrostanti la Palazzata, che mantenevano sezioni esigue e andamento tuttaltro che rettilineo. Se la regolarità dei moduli del prospetto sul mare non consentiva deroghe, la flessibilità di tutto ciò che stava dietro si fletteva a molteplici soluzioni. Il rilievo urbano che disvela la doppiezza di questa renovatio seicentesca è ancora una volta quello di Gianfrancesco Arena del 1783, proprio in virtù del dettaglio di rappresentazione, più puntuale di 1:1000 (1:833). È sufficiente far scorrere lo sguardo lungo la stradina dietro delli Palazzi per comprendere la totale insubordinazione rispetto a un principio di allineamento, laddove, peraltro, sarebbero ricaduti tutti gli ingressi ai nuovi monumentali edifici. Ma lo stesso Arena, con la sua grande pianta ulteriormente arricchita dalle due tavole di sezioni sulla città, nel verso mare-monti (est-ovest), non riesce a dire il fuori-scala stabilitosi tra Teatro Marittimo e retrostante morfologia urbana, dunque il carico che inevitabilmente si riversava nelle vinelle, dove si affastellavano tutti gli accessi a botteghe e residenze. L’immagine più loquace di questo rapporto, quella che smaschera la maschera, proviene da un disegno di Willem Schellinks del 1664, che si conserva a Vienna . L’inedito crescent mediterraneo è reso in tutto il proprio ruolo di manifesto architettonico alla scala urbanistica. Il mare portuale che entra fin dentro le case; le imbarcazioni ormeggiate alla banchina con il loro intrigo di alberi, passe-par-tout tra opera d’arte e cornice; quindi l’opera con il suo gigantismo retorico, alveare residenziale e commerciale, si erge al posto delle mura urbiche a tutela della città disseminando un plurisecolare dubbio: se proprio lei, la Palazzata iussisse an paruisse, maius incertum adhuc. Se, cioè, nel suo apparire, abbia dato un ordine o se lo abbia ricevuto, nulla più di questo rimane ancora incerto.

La Palazzata di Messina

ARICO', Nicola
2009-01-01

Abstract

Se si prova a rileggere la complessità della coraggiosa operazione di renovatio eseguita a Messina dal 1622 per i cantieri della Palazzata, si deve riconoscere che all’imperium del «modulo Ponzello» faceva seguito la libertas dei privati, alla maschera del prospetto terracqueo l’adeguamento più indipendente delle varie soluzioni tipologiche e una relazione con la città che merita attente disamine. Sin dalla perimetrazione dei lotti assegnati ai privati era infatti evidente la difficoltà degli amministratori cittadini a dilatare l’intervento di riassetto urbanistico in quelle fasce di contatto tra i nuovi corpi edilizi e la preesistente morfologia urbana. Definito il fronte alla Marina, per moduli prestabiliti e iterati, il lotto veniva chiuso in profondità fino a impattare con brani della città del tutto stridenti con l’imponenza delle nuove fabbriche. Il fenomeno veniva ulteriormente acuito dalle stradine retrostanti la Palazzata, che mantenevano sezioni esigue e andamento tuttaltro che rettilineo. Se la regolarità dei moduli del prospetto sul mare non consentiva deroghe, la flessibilità di tutto ciò che stava dietro si fletteva a molteplici soluzioni. Il rilievo urbano che disvela la doppiezza di questa renovatio seicentesca è ancora una volta quello di Gianfrancesco Arena del 1783, proprio in virtù del dettaglio di rappresentazione, più puntuale di 1:1000 (1:833). È sufficiente far scorrere lo sguardo lungo la stradina dietro delli Palazzi per comprendere la totale insubordinazione rispetto a un principio di allineamento, laddove, peraltro, sarebbero ricaduti tutti gli ingressi ai nuovi monumentali edifici. Ma lo stesso Arena, con la sua grande pianta ulteriormente arricchita dalle due tavole di sezioni sulla città, nel verso mare-monti (est-ovest), non riesce a dire il fuori-scala stabilitosi tra Teatro Marittimo e retrostante morfologia urbana, dunque il carico che inevitabilmente si riversava nelle vinelle, dove si affastellavano tutti gli accessi a botteghe e residenze. L’immagine più loquace di questo rapporto, quella che smaschera la maschera, proviene da un disegno di Willem Schellinks del 1664, che si conserva a Vienna . L’inedito crescent mediterraneo è reso in tutto il proprio ruolo di manifesto architettonico alla scala urbanistica. Il mare portuale che entra fin dentro le case; le imbarcazioni ormeggiate alla banchina con il loro intrigo di alberi, passe-par-tout tra opera d’arte e cornice; quindi l’opera con il suo gigantismo retorico, alveare residenziale e commerciale, si erge al posto delle mura urbiche a tutela della città disseminando un plurisecolare dubbio: se proprio lei, la Palazzata iussisse an paruisse, maius incertum adhuc. Se, cioè, nel suo apparire, abbia dato un ordine o se lo abbia ricevuto, nulla più di questo rimane ancora incerto.
2009
9788880166894
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