Economie del sospetto è un’etnografia sull’universo dell’immigrazione maghrebina e sulle sue relazioni con la società italiana. Adoperando una prospettiva “partecipante” e “interna” ai gruppi osservati, improntata peraltro ai principi epistemologici del “costruttivismo” e alla “riflessività”, il testo compara i modelli d’insediamento di tunisini e marocchini all’interno di aree meridionali e centrali del Paese, rispettivamente ad economia ittica e rurale (Mazara del Vallo) e di piccola impresa (Urbino). Composto da 5 capitoli per un totale di 174 pagine (667.355 caratteri, spazi e note inclusi, comprendenti 4 figure e 15 tabelle), lo studio avanza una rassegna critica di alcuni correnti approcci interpretativi del fenomeno migratorio – in particolare quelli neo-funzionalisti e neo-strutturalisti – e introduce l’ipotesi che le migrazioni possano essere lette, almeno in parte, come “scontri di razionalità”. Prendendo l’espressione a prestito da Giordano Sivini, l’autore sostiene in altri termini che le politiche di regolazione dei fenomeni migratori non possono conseguire gli obiettivi prefissati perché trattano quasi sempre i flussi come se fossero determinati da una logica di tipo economico e da un rigido calcolo dei costi e dei benefici. Dal punto di vista concettuale le principali categorie analizzate dalla ricerca sono: a) la “concentrazione”, intesa come segregazione della popolazione immigrata all’interno di spazi urbani ristretti e ben definiti, per effetto soprattutto della “miopia” dei legislatori locali e di una volontà più o meno latente di occultare il fenomeno migratorio e trarne unicamente i vantaggi derivanti dall’impiego della forza lavoro straniera. Ma “concentrazione” anche come effetto di una strategia dei migranti per creare reti di protezione sociale alternative a quelle istituzionali o come conseguenza dell’affidamento degli enti locali al libero mercato immobiliare per la risoluzione dei problemi alloggiativi; b) l’ “economia relazionale del sospetto”. Tanto all’interno delle comunità straniere quanto nelle relazioni intercorrenti tra queste ed i nativi, l’assenza o la parzialità nella quantità di fiducia in campo orienta i comportamenti e determina interazioni che alimentano il circolo vizioso della separatezza e dell’incomprensione, foraggiato peraltro anche dalla suddetta concentrazione residenziale; c) la “mancata funzione del lavoro come veicolo d’integrazione”. Per vedere promosso il proprio status sociale non è sufficiente che gli stranieri lavorino. A causa della separatezza fisica e morale, oltre che di elementi come ad esempio il differenziale anagrafico tra popolazioni native e straniere, il pregiudizio correlato alla mancata conoscenza trova nuove vie per riprodursi e marcare l’inferiorità dell’“altro”; d) l’islam e le funzioni svolte da esso nel determinare un welfare state alternativo che supplisce alle carenze delle politiche di cittadinanza ed offre un apparato ideologico utile a resistere in condizioni di deprivazione materiale talvolta molto accentuate, arginando almeno in parte le tendenze acquisitive, funzionando da “apparato di conversazione” tra i differenti gruppi nazionali di fede islamica e riducendo le occasioni di conflitto tra le minoranze. In conclusione, il testo avanza l'ipotesi che il mondo immigrato più docile e incluso abbia sperimentato, negli anni in cui l'osservazione è stata condotta, forme "morbide" ed "estreme" di segregazione nel mercato del lavoro e nella società italiana.

Economie del sospetto. Le comunità maghrebine in centro e sud Italia e gli italiani.

2007-01-01

Abstract

Economie del sospetto è un’etnografia sull’universo dell’immigrazione maghrebina e sulle sue relazioni con la società italiana. Adoperando una prospettiva “partecipante” e “interna” ai gruppi osservati, improntata peraltro ai principi epistemologici del “costruttivismo” e alla “riflessività”, il testo compara i modelli d’insediamento di tunisini e marocchini all’interno di aree meridionali e centrali del Paese, rispettivamente ad economia ittica e rurale (Mazara del Vallo) e di piccola impresa (Urbino). Composto da 5 capitoli per un totale di 174 pagine (667.355 caratteri, spazi e note inclusi, comprendenti 4 figure e 15 tabelle), lo studio avanza una rassegna critica di alcuni correnti approcci interpretativi del fenomeno migratorio – in particolare quelli neo-funzionalisti e neo-strutturalisti – e introduce l’ipotesi che le migrazioni possano essere lette, almeno in parte, come “scontri di razionalità”. Prendendo l’espressione a prestito da Giordano Sivini, l’autore sostiene in altri termini che le politiche di regolazione dei fenomeni migratori non possono conseguire gli obiettivi prefissati perché trattano quasi sempre i flussi come se fossero determinati da una logica di tipo economico e da un rigido calcolo dei costi e dei benefici. Dal punto di vista concettuale le principali categorie analizzate dalla ricerca sono: a) la “concentrazione”, intesa come segregazione della popolazione immigrata all’interno di spazi urbani ristretti e ben definiti, per effetto soprattutto della “miopia” dei legislatori locali e di una volontà più o meno latente di occultare il fenomeno migratorio e trarne unicamente i vantaggi derivanti dall’impiego della forza lavoro straniera. Ma “concentrazione” anche come effetto di una strategia dei migranti per creare reti di protezione sociale alternative a quelle istituzionali o come conseguenza dell’affidamento degli enti locali al libero mercato immobiliare per la risoluzione dei problemi alloggiativi; b) l’ “economia relazionale del sospetto”. Tanto all’interno delle comunità straniere quanto nelle relazioni intercorrenti tra queste ed i nativi, l’assenza o la parzialità nella quantità di fiducia in campo orienta i comportamenti e determina interazioni che alimentano il circolo vizioso della separatezza e dell’incomprensione, foraggiato peraltro anche dalla suddetta concentrazione residenziale; c) la “mancata funzione del lavoro come veicolo d’integrazione”. Per vedere promosso il proprio status sociale non è sufficiente che gli stranieri lavorino. A causa della separatezza fisica e morale, oltre che di elementi come ad esempio il differenziale anagrafico tra popolazioni native e straniere, il pregiudizio correlato alla mancata conoscenza trova nuove vie per riprodursi e marcare l’inferiorità dell’“altro”; d) l’islam e le funzioni svolte da esso nel determinare un welfare state alternativo che supplisce alle carenze delle politiche di cittadinanza ed offre un apparato ideologico utile a resistere in condizioni di deprivazione materiale talvolta molto accentuate, arginando almeno in parte le tendenze acquisitive, funzionando da “apparato di conversazione” tra i differenti gruppi nazionali di fede islamica e riducendo le occasioni di conflitto tra le minoranze. In conclusione, il testo avanza l'ipotesi che il mondo immigrato più docile e incluso abbia sperimentato, negli anni in cui l'osservazione è stata condotta, forme "morbide" ed "estreme" di segregazione nel mercato del lavoro e nella società italiana.
2007
Scaffale universitario
9788849816754
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/1900006
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact