L’istituto della separazione personale dei coniugi è stato profondamente innovato a seguito della riforma del diritto di famiglia introdotta dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, che ha adeguato il dettato codicistico allo spirito dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost., ponendo l’accento sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e sostituendo alla colpa del coniuge come unica causa di separazione il dato oggettivo della intollerabilità della convivenza o del grave pregiudizio per i figli, non necessariamente dipendente dalla condotta volontaria di uno o di entrambi i coniugi. Tale evoluzione dell’istituto è in linea con un concetto di matrimonio fondato sull’effettiva esistenza della comunione di vita tra coniugi, piuttosto che sul superiore principio di unità della famiglia e sull’interesse pubblico di tutela e controllo di essa; in questa prospettiva l’art. 150 c.c., nel testo vigente, disponendo che “è ammessa la separazione personale dei coniugi” attribuisce all’autonoma scelta dei coniugi ogni determinazione in ordine al diritto alla separazione, autonomia che in ambito familiare è estremamente valorizzata, poiché l’unità familiare risulta affidata ad un regime consensuale permanente in cui l’accordo dei coniugi condiziona sia la costituzione che la conservazione del rapporto. La separazione personale dei coniugi si caratterizza per la tutela privatistica della autonomia dei coniugi e della libertà del singolo rispetto ad una convivenza matrimoniale divenuta intollerabile e assolve allo scopo di dettare una disciplina per uno stato di separazione avente rilevanza di per sé e di rappresentare il presupposto imprescindibile per un futuro eventuale divorzio, non assumendo nel sistema rilievo alcuno la mera separazione di fatto non formalizzata. Occorre, invero, sottolineare che la disciplina del 1975, ma già la regolamentazione del 1970 sullo scioglimento del matrimonio, hanno attribuito funzione primaria alla “comunione spirituale e materiale fra i coniugi” riconoscendo alla famiglia il ruolo di formazione sociale privilegiata nel cui ambito si sviluppa la personalità del singolo. Ciò comporta che il nucleo familiare è posto in funzione degli interessi di ciascun coniuge e non piuttosto in funzione degli interessi del gruppo in sé considerato, con la conseguenza che la solidarietà familiare si può attuare solo nel rispetto dei principi di libertà parità e dignità individuali La famiglia non è più territorio separato dal diritto comune, nel quale i coniugi entrano spogliandosi delle prerogative individuali. Coniugi e figli divengono membri di una comunità di eguali, informata ad una legge fondamentale: lo svolgimento e la valorizzazione della personalità del singolo all’interno del gruppo. È ormai questo il principio costitutivo della comunità familiare: il reciproco rispetto delle personalità individuali e il reciproco positivo sostegno allo svolgimento della vita del singolo. Le regole di protezione dei diritti fondamentali non trovano ostacolo nell’ambito della famiglia, ma entrano a pieno titolo a permeare la vita familiare. L’attuale realtà delinea, dunque, una nozione nuova di matrimonio, incentrata sulla volontà e sulla libera determinazione dei soggetti, sia sotto il profilo dell’atto che è rimesso alla esclusiva scelta di entrambi i coniugi, sia sotto il profilo del rapporto che sussiste fino a quando uno o entrambi non ritengano che sia venuta meno la comunione materiale e spirituale o si sia verificata l’obiettiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Tale impostazione implica che sussiste la possibilità per uno o per entrambi i coniugi di ottenere un provvedimento giudiziale che sospenda l’adempimento degli obblighi matrimoniali e ciò induce a ritenere che tutte le separazioni - tranne quella di fatto - sarebbero giudiziali perché esigono comunque l’intervento del giudice, con la conseguenza che la “separazione giudiziale” rappresenta la categoria generale, distinguendo poi le due sottospecie di separazione “con addebito” e “consensuale”. Se l’acquisto dello status di coniuge separato è subordinato all’intervento dell’autorità giudiziale poiché la legge pone il provvedimento giurisdizionale a fondamento della sua costituzione od efficacia, pur tuttavia una differenza emerge sotto il profilo della fonte nel senso che, per un verso, la decisione del giudice ha carattere costitutivo, per altro verso, stante la preminenza dell’autonoma e concorde volontà dei coniugi l’intervento del giudice ha valore dichiarativo risolvendosi in un mero controllo almeno relativamente alla effettività, libertà e genuinità del volere.

Art. 150 c.c. Separazione personale

PARRINELLO, Concetta
2010-01-01

Abstract

L’istituto della separazione personale dei coniugi è stato profondamente innovato a seguito della riforma del diritto di famiglia introdotta dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, che ha adeguato il dettato codicistico allo spirito dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3 e 29 Cost., ponendo l’accento sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e sostituendo alla colpa del coniuge come unica causa di separazione il dato oggettivo della intollerabilità della convivenza o del grave pregiudizio per i figli, non necessariamente dipendente dalla condotta volontaria di uno o di entrambi i coniugi. Tale evoluzione dell’istituto è in linea con un concetto di matrimonio fondato sull’effettiva esistenza della comunione di vita tra coniugi, piuttosto che sul superiore principio di unità della famiglia e sull’interesse pubblico di tutela e controllo di essa; in questa prospettiva l’art. 150 c.c., nel testo vigente, disponendo che “è ammessa la separazione personale dei coniugi” attribuisce all’autonoma scelta dei coniugi ogni determinazione in ordine al diritto alla separazione, autonomia che in ambito familiare è estremamente valorizzata, poiché l’unità familiare risulta affidata ad un regime consensuale permanente in cui l’accordo dei coniugi condiziona sia la costituzione che la conservazione del rapporto. La separazione personale dei coniugi si caratterizza per la tutela privatistica della autonomia dei coniugi e della libertà del singolo rispetto ad una convivenza matrimoniale divenuta intollerabile e assolve allo scopo di dettare una disciplina per uno stato di separazione avente rilevanza di per sé e di rappresentare il presupposto imprescindibile per un futuro eventuale divorzio, non assumendo nel sistema rilievo alcuno la mera separazione di fatto non formalizzata. Occorre, invero, sottolineare che la disciplina del 1975, ma già la regolamentazione del 1970 sullo scioglimento del matrimonio, hanno attribuito funzione primaria alla “comunione spirituale e materiale fra i coniugi” riconoscendo alla famiglia il ruolo di formazione sociale privilegiata nel cui ambito si sviluppa la personalità del singolo. Ciò comporta che il nucleo familiare è posto in funzione degli interessi di ciascun coniuge e non piuttosto in funzione degli interessi del gruppo in sé considerato, con la conseguenza che la solidarietà familiare si può attuare solo nel rispetto dei principi di libertà parità e dignità individuali La famiglia non è più territorio separato dal diritto comune, nel quale i coniugi entrano spogliandosi delle prerogative individuali. Coniugi e figli divengono membri di una comunità di eguali, informata ad una legge fondamentale: lo svolgimento e la valorizzazione della personalità del singolo all’interno del gruppo. È ormai questo il principio costitutivo della comunità familiare: il reciproco rispetto delle personalità individuali e il reciproco positivo sostegno allo svolgimento della vita del singolo. Le regole di protezione dei diritti fondamentali non trovano ostacolo nell’ambito della famiglia, ma entrano a pieno titolo a permeare la vita familiare. L’attuale realtà delinea, dunque, una nozione nuova di matrimonio, incentrata sulla volontà e sulla libera determinazione dei soggetti, sia sotto il profilo dell’atto che è rimesso alla esclusiva scelta di entrambi i coniugi, sia sotto il profilo del rapporto che sussiste fino a quando uno o entrambi non ritengano che sia venuta meno la comunione materiale e spirituale o si sia verificata l’obiettiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza. Tale impostazione implica che sussiste la possibilità per uno o per entrambi i coniugi di ottenere un provvedimento giudiziale che sospenda l’adempimento degli obblighi matrimoniali e ciò induce a ritenere che tutte le separazioni - tranne quella di fatto - sarebbero giudiziali perché esigono comunque l’intervento del giudice, con la conseguenza che la “separazione giudiziale” rappresenta la categoria generale, distinguendo poi le due sottospecie di separazione “con addebito” e “consensuale”. Se l’acquisto dello status di coniuge separato è subordinato all’intervento dell’autorità giudiziale poiché la legge pone il provvedimento giurisdizionale a fondamento della sua costituzione od efficacia, pur tuttavia una differenza emerge sotto il profilo della fonte nel senso che, per un verso, la decisione del giudice ha carattere costitutivo, per altro verso, stante la preminenza dell’autonoma e concorde volontà dei coniugi l’intervento del giudice ha valore dichiarativo risolvendosi in un mero controllo almeno relativamente alla effettività, libertà e genuinità del volere.
2010
9788859804826
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