Collocabile nell’ambito degli studi di Psicologia clinica relativi alla Psico-oncologia, questo lavoro di approfondimento e di comprensione del pensiero di Freud, intende rendere conto di quel gioco di scambi tra vita e psicanalisi che il Nostro fu il primo ad ammettere (cfr. Autobiografia, 1924), ma di cui, tuttavia, in relazione all’esperienza del cancro alla mandibola, stranamente poco parlò. Come riporta Quinodoz (2004), l‟ultima ipotesi di S. Freud, esposta in Al di là del principio di piacere (1920), sul ruolo del conflitto fondamentale tra Eros e Thanatos come principio strutturante della vita psichica, ha da sempre sollevato il ragionevole dubbio che tale idea fosse una diretta filiazione ed estrinsecazione delle angosce personali del maestro di fronte alla morte, anziché il frutto di una naturale evoluzione del suo pensiero. Freud negò drasticamente di essersi lasciato influenzare dalle circostanze di quegli anni (specie dalle rovine del primo Dopoguerra, dalla morte della figlia Sophie e dell’amico Anton von Freund, e dalle fosche previsioni circa la propria morte, a seguito del cancro insorto in quegli anni) nell’elaborazione delle ultime ipotesi sul conflitto pulsionale. E noi certo non mettiamo in dubbio quanto Freud asserisce. Ma ci chiediamo, piuttosto, se la sua possa considerarsi l’ultima parola, quella davvero conclusiva, sull’argomento, giacché l’autoanalisi riacquista un ruolo essenziale solo se per essa valgono le stesse norme della professionalità analitica. E dunque, anche l’autoanalisi non potrà che comportare un lavoro “interminabile”, uno spazio problemico “aperto”, sempre “presunti” i risultati raggiunti, costantemente in attesa di verifica. Egli appare provato, ipersensibile (in preda all’irritante presentimento di futuri fraintendimenti) angosciato e vulnerabile. Ma non depresso. Piuttosto, reattivo e combattivo, inoltrandosi nei “percorsi labirintici dell’atteggiamento costruttivo” che si concreta nell’innesto del suo pensiero sul suo vissuto. Certamente fu eroico, ma Freud non è un mito, è un essere umano. E l’esempio di come affrontò la sofferenza e la morte più che un paradigma dei temi psico-oncologici resta la testimonianza storica di quanto plurimi e vari possano essere i modi attraverso i quali districarsi nel turbinio delle reazioni al cancro. A lui cui tanto si deve, in generale, sul piano della comprensione dei meccanismi di difesa e delle strategie di contenimento delle angosce, resta da guardare (esplorato il circuito psicologico attraverso il quale lo studioso ha fatto tutt’uno con l’uomo) anche come al referente per eccellenza per orientarsi nell’universo problematico e complesso del vissuto oncologico: persona di eccezionale tempra e integrità, dotata di risorse straordinarie, speciali, anche se non sovrumane.

Riflessioni sul pensiero Freudiano: il percorso labirintico dell’atteggiamento costruttivo

MELLINA, Angela
2010-01-01

Abstract

Collocabile nell’ambito degli studi di Psicologia clinica relativi alla Psico-oncologia, questo lavoro di approfondimento e di comprensione del pensiero di Freud, intende rendere conto di quel gioco di scambi tra vita e psicanalisi che il Nostro fu il primo ad ammettere (cfr. Autobiografia, 1924), ma di cui, tuttavia, in relazione all’esperienza del cancro alla mandibola, stranamente poco parlò. Come riporta Quinodoz (2004), l‟ultima ipotesi di S. Freud, esposta in Al di là del principio di piacere (1920), sul ruolo del conflitto fondamentale tra Eros e Thanatos come principio strutturante della vita psichica, ha da sempre sollevato il ragionevole dubbio che tale idea fosse una diretta filiazione ed estrinsecazione delle angosce personali del maestro di fronte alla morte, anziché il frutto di una naturale evoluzione del suo pensiero. Freud negò drasticamente di essersi lasciato influenzare dalle circostanze di quegli anni (specie dalle rovine del primo Dopoguerra, dalla morte della figlia Sophie e dell’amico Anton von Freund, e dalle fosche previsioni circa la propria morte, a seguito del cancro insorto in quegli anni) nell’elaborazione delle ultime ipotesi sul conflitto pulsionale. E noi certo non mettiamo in dubbio quanto Freud asserisce. Ma ci chiediamo, piuttosto, se la sua possa considerarsi l’ultima parola, quella davvero conclusiva, sull’argomento, giacché l’autoanalisi riacquista un ruolo essenziale solo se per essa valgono le stesse norme della professionalità analitica. E dunque, anche l’autoanalisi non potrà che comportare un lavoro “interminabile”, uno spazio problemico “aperto”, sempre “presunti” i risultati raggiunti, costantemente in attesa di verifica. Egli appare provato, ipersensibile (in preda all’irritante presentimento di futuri fraintendimenti) angosciato e vulnerabile. Ma non depresso. Piuttosto, reattivo e combattivo, inoltrandosi nei “percorsi labirintici dell’atteggiamento costruttivo” che si concreta nell’innesto del suo pensiero sul suo vissuto. Certamente fu eroico, ma Freud non è un mito, è un essere umano. E l’esempio di come affrontò la sofferenza e la morte più che un paradigma dei temi psico-oncologici resta la testimonianza storica di quanto plurimi e vari possano essere i modi attraverso i quali districarsi nel turbinio delle reazioni al cancro. A lui cui tanto si deve, in generale, sul piano della comprensione dei meccanismi di difesa e delle strategie di contenimento delle angosce, resta da guardare (esplorato il circuito psicologico attraverso il quale lo studioso ha fatto tutt’uno con l’uomo) anche come al referente per eccellenza per orientarsi nell’universo problematico e complesso del vissuto oncologico: persona di eccezionale tempra e integrità, dotata di risorse straordinarie, speciali, anche se non sovrumane.
2010
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/1905509
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