Il lavoro prende le mosse dal dibattito sulla tutela della salute e della vita umana, che, nel settore della procreazione medicalmente assistita, è progressivamente cambiato nel tempo per la concorrenza di molteplici fattori. Se ad una prima lettura, l’intervento legislativo sembra limitare o quantomeno rivedere il diritto alla procreazione, la circostanza che i progressi medico-scientifici hanno inciso notevolmente sulla possibilità di intervenire, impongono una rivisitazione del fenomeno sotto il profilo del contenuto stesso da riconoscere al concetto di salute, della tutela accordata e del potere di disporre della stessa, tenuto che, nel settore di indagine, si registra la tendenza a proporre risposte adeguate allo specifico problema sollevato senza nel contempo tentare un’interpretazione sistematica, con la conseguenza che si avverte l’esigenza di ricomporre il fenomeno al fine di accertare fino a che punto l’attività del medico si possa spingere al fine di individuare un criterio di massima di cui l’interprete possa avvalersi per dare risposta ai molteplici problemi che si impongono alla sua attenzione. Se la tutela della persona, quale si desume dagli artt. 2, 3 e 32 Cost., attiene sia ai valori propri delle sfere superiori dell’uomo, sia ai beni della vita e della salute che rappresentano il livello minimo ed imprescindibile di tutela, con riferimento alla legge in esame occorre anche tenere in considerazione il disposto dell’art. 31, 2° comma, Cost., il quale “protegge la maternità … favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Ed in questa dimensione il medico può concorrere alla realizzazione dell’interesse del singolo laddove, attraverso la pratica dell’inseminazione artificiale, promuove l’attuazione del desiderio di maternità, qualificato in termini di diritto alla procreazione, asseconda la scelta del paziente di rimuovere un potenziale ostacolo al suo benessere psichico, aiuta il soggetto a superare il disagio psichico di confrontarsi con il fallimento delle tecniche di inseminazione, acconsente a che il soggetto sperimenti su di sé soluzioni nuove o alternative. Talora, invece, il medico, impedisce al singolo di realizzarsi qualora adotti un comportamento che non risponda all’attuazione della salute o, più in generale ad una migliore attuazione della personalità del paziente, o non gli consenta di autodeterminarsi in ordine ad una maternità non voluta o di rifiutare un trattamento di procreazione assistita, cui pure aveva già prestato il consenso. In questo settore si impone una riflessione sulla “diagnosi preimpianto” e l’analisi del rapporto/conflitto tra l’aspettativa di vita dell’embrione e il diritto alla salute della madre genetica, conflitto non risolto dalla l. 40/2004 a favore dell’embrione, se solo si pone mente al fatto che la legge, all’art. 14, comma 5, prevede il diritto della coppia di chiedere informazioni sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero, sicché il divieto di diagnosi preimpianto pare irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, tecnica altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima in quanto avente la funzione di tutelare la maternità e la salute del feto. Un ruolo centrale assume la libertà di autodeterminazione di ciascuno in ordine alla propria salute che si sostanzia, per un verso, nella liberà di decidere sul proprio corpo e, per altro verso, nella libertà da interventi o trattamenti eseguiti senza o contro la sua volontà, e per attuare ciò l’ordinamento giuridico consente l’utilizzo anche in questo settore dell’autonomia privata, idonea a realizzare lo sviluppo della persona in tutte le sue sfaccettature, autonomia il cui esercizio deve essere attribuito a tutti e che nel settore specifico dovrebbe consentire anche ad una coppia che ha già figli procreati naturalmente di ricorrere alla PMA e alla diagnosi preimpianto, se affetta da malattie genetiche anche se ciò può indurre a ritenere che si operi una forzatura del disposto dell’art. 4 l. 40/2004. Consegue da ciò che la garanzia del valore della salute della donna che intende sottoporsi alla tecnica di procreazione assistita si coniuga con il diritto costituzionalmente fissato della maternità, ex art. 31 Cost. e si articola nell’autoregolamento dell’interesse e nell’autonomia privata ed al medico, in questo contesto, è demandato il compito di determinare il mezzo e il modo per portare a realizzazione l’interesse del soggetto che richiede il suo intervento. Il ruolo centrale che la manifestazione di volontà assume nel trattamento procreativo comporta che nelle azioni di responsabilità medica il consenso informato finisce per occupare uno spazio sempre più crescente e rappresenta, per un verso, uno strumento di controllo della liceità e correttezza del comportamento adottato dal professionista e, per altro verso, uno strumento di tutela della dignità della persona. La mancata richiesta del consenso costituisce, dunque, autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali, per la donna, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’attività medica sia stato eseguita in modo corretto, con la conseguenza che il professionista sarà tenuto anche al risarcimento del danno non patrimoniale, ferma le eventuali ulteriori conseguenze di tipo penale e disciplinari. Il perseguimento del pieno sviluppo della persona determina il passaggio dall’“essere persona” al “diventare persona”e comporta che l’esistenza non è più regolata dalle leggi del destino ma è manipolata dall’attività altrui ed in ogni caso disciplinata dall’autodeterminazione del soggetto e tutto ciò porta alla trasformazione del “diritto alla vita” in “diritto alla qualità della vita”, alla promozione e sviluppo delle personalità umana ed in questo ambito l’ampliamento della responsabilità medica, l’operatività delle sanzioni amministrative e la nuova frontiera del danno risarcibile apprestano la tutela possibile alla lesione dei valori rappresentativi del pieno ed integrale sviluppo della persona umana.

Procreazione medicalmente assistita e responsabilità del medico

PARRINELLO, Concetta
2010-01-01

Abstract

Il lavoro prende le mosse dal dibattito sulla tutela della salute e della vita umana, che, nel settore della procreazione medicalmente assistita, è progressivamente cambiato nel tempo per la concorrenza di molteplici fattori. Se ad una prima lettura, l’intervento legislativo sembra limitare o quantomeno rivedere il diritto alla procreazione, la circostanza che i progressi medico-scientifici hanno inciso notevolmente sulla possibilità di intervenire, impongono una rivisitazione del fenomeno sotto il profilo del contenuto stesso da riconoscere al concetto di salute, della tutela accordata e del potere di disporre della stessa, tenuto che, nel settore di indagine, si registra la tendenza a proporre risposte adeguate allo specifico problema sollevato senza nel contempo tentare un’interpretazione sistematica, con la conseguenza che si avverte l’esigenza di ricomporre il fenomeno al fine di accertare fino a che punto l’attività del medico si possa spingere al fine di individuare un criterio di massima di cui l’interprete possa avvalersi per dare risposta ai molteplici problemi che si impongono alla sua attenzione. Se la tutela della persona, quale si desume dagli artt. 2, 3 e 32 Cost., attiene sia ai valori propri delle sfere superiori dell’uomo, sia ai beni della vita e della salute che rappresentano il livello minimo ed imprescindibile di tutela, con riferimento alla legge in esame occorre anche tenere in considerazione il disposto dell’art. 31, 2° comma, Cost., il quale “protegge la maternità … favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Ed in questa dimensione il medico può concorrere alla realizzazione dell’interesse del singolo laddove, attraverso la pratica dell’inseminazione artificiale, promuove l’attuazione del desiderio di maternità, qualificato in termini di diritto alla procreazione, asseconda la scelta del paziente di rimuovere un potenziale ostacolo al suo benessere psichico, aiuta il soggetto a superare il disagio psichico di confrontarsi con il fallimento delle tecniche di inseminazione, acconsente a che il soggetto sperimenti su di sé soluzioni nuove o alternative. Talora, invece, il medico, impedisce al singolo di realizzarsi qualora adotti un comportamento che non risponda all’attuazione della salute o, più in generale ad una migliore attuazione della personalità del paziente, o non gli consenta di autodeterminarsi in ordine ad una maternità non voluta o di rifiutare un trattamento di procreazione assistita, cui pure aveva già prestato il consenso. In questo settore si impone una riflessione sulla “diagnosi preimpianto” e l’analisi del rapporto/conflitto tra l’aspettativa di vita dell’embrione e il diritto alla salute della madre genetica, conflitto non risolto dalla l. 40/2004 a favore dell’embrione, se solo si pone mente al fatto che la legge, all’art. 14, comma 5, prevede il diritto della coppia di chiedere informazioni sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell’utero, sicché il divieto di diagnosi preimpianto pare irragionevole e incongruente col sistema normativo se posto in parallelo con la diffusa pratica della diagnosi prenatale, tecnica altrettanto invasiva del feto, rischiosa per la gravidanza, ma perfettamente legittima in quanto avente la funzione di tutelare la maternità e la salute del feto. Un ruolo centrale assume la libertà di autodeterminazione di ciascuno in ordine alla propria salute che si sostanzia, per un verso, nella liberà di decidere sul proprio corpo e, per altro verso, nella libertà da interventi o trattamenti eseguiti senza o contro la sua volontà, e per attuare ciò l’ordinamento giuridico consente l’utilizzo anche in questo settore dell’autonomia privata, idonea a realizzare lo sviluppo della persona in tutte le sue sfaccettature, autonomia il cui esercizio deve essere attribuito a tutti e che nel settore specifico dovrebbe consentire anche ad una coppia che ha già figli procreati naturalmente di ricorrere alla PMA e alla diagnosi preimpianto, se affetta da malattie genetiche anche se ciò può indurre a ritenere che si operi una forzatura del disposto dell’art. 4 l. 40/2004. Consegue da ciò che la garanzia del valore della salute della donna che intende sottoporsi alla tecnica di procreazione assistita si coniuga con il diritto costituzionalmente fissato della maternità, ex art. 31 Cost. e si articola nell’autoregolamento dell’interesse e nell’autonomia privata ed al medico, in questo contesto, è demandato il compito di determinare il mezzo e il modo per portare a realizzazione l’interesse del soggetto che richiede il suo intervento. Il ruolo centrale che la manifestazione di volontà assume nel trattamento procreativo comporta che nelle azioni di responsabilità medica il consenso informato finisce per occupare uno spazio sempre più crescente e rappresenta, per un verso, uno strumento di controllo della liceità e correttezza del comportamento adottato dal professionista e, per altro verso, uno strumento di tutela della dignità della persona. La mancata richiesta del consenso costituisce, dunque, autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali, per la donna, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’attività medica sia stato eseguita in modo corretto, con la conseguenza che il professionista sarà tenuto anche al risarcimento del danno non patrimoniale, ferma le eventuali ulteriori conseguenze di tipo penale e disciplinari. Il perseguimento del pieno sviluppo della persona determina il passaggio dall’“essere persona” al “diventare persona”e comporta che l’esistenza non è più regolata dalle leggi del destino ma è manipolata dall’attività altrui ed in ogni caso disciplinata dall’autodeterminazione del soggetto e tutto ciò porta alla trasformazione del “diritto alla vita” in “diritto alla qualità della vita”, alla promozione e sviluppo delle personalità umana ed in questo ambito l’ampliamento della responsabilità medica, l’operatività delle sanzioni amministrative e la nuova frontiera del danno risarcibile apprestano la tutela possibile alla lesione dei valori rappresentativi del pieno ed integrale sviluppo della persona umana.
2010
8814154465
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