Il valore della scelta di vita è certamente espressione di autonomia privata, ma la incidenza su interessi di terzi implica limiti ed il necessario intervento del sistema per contemperare le diverse situazioni rilevanti. Seppure le diversificate realtà familiari siano improntate a stili di vita differenti, nella molteplicità delle regole legali e del vivere sociale, il sistema non sembra rinunciare ad un modello unitario di filiazione. In questo ambito, i diritti e gli obblighi appaiono inderogabili e permane il riconoscimento dell'importanza accordata dalla sfera pubblica alla tutela dell'interesse preminente del minore. E proprio questo interesse giustifica e/o impone l'arricchimento del nucleo normativo comune fino a ricomprendervi anche la disciplina della potestà genitoriale. Se, infatti, la titolarità è subordinata all'esistenza di situazioni che attestano la pubblica certezza del rapporto di filiazione, il concreto esercizio è, invece, subordinato al requisito della stabile convivenza ed è rimesso alle regole della gestione diarchica, tipiche della comunità familiare ed ancor più ai principi dell'accordo, che garantiscono la partecipazione volitiva del minore nella risoluzione dei conflitti interni alla compagine familiare. Al momento del disfacimento del rapporto quale che sia la sua fonte, inteso come vicenda della coppia genitoriale, i rapporti familiari (tra genitori e figli) necessitano di una presa di posizione del legislatore che prescinda dalla qualifica dei figli come legittimi e/o naturali o nati in costanza di matrimonio o non in costanza o per via naturale o assistita. Ed è proprio in questa ottica che viene studiata la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli” che, per molti versi, ha equiparato il trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali almeno nella fase dello scioglimento del rapporto genitoriale.

Affidamento condiviso e rapporti di filiazione: verso l'abolizione delle discriminazioni

TOMMASINI, Maria
2011-01-01

Abstract

Il valore della scelta di vita è certamente espressione di autonomia privata, ma la incidenza su interessi di terzi implica limiti ed il necessario intervento del sistema per contemperare le diverse situazioni rilevanti. Seppure le diversificate realtà familiari siano improntate a stili di vita differenti, nella molteplicità delle regole legali e del vivere sociale, il sistema non sembra rinunciare ad un modello unitario di filiazione. In questo ambito, i diritti e gli obblighi appaiono inderogabili e permane il riconoscimento dell'importanza accordata dalla sfera pubblica alla tutela dell'interesse preminente del minore. E proprio questo interesse giustifica e/o impone l'arricchimento del nucleo normativo comune fino a ricomprendervi anche la disciplina della potestà genitoriale. Se, infatti, la titolarità è subordinata all'esistenza di situazioni che attestano la pubblica certezza del rapporto di filiazione, il concreto esercizio è, invece, subordinato al requisito della stabile convivenza ed è rimesso alle regole della gestione diarchica, tipiche della comunità familiare ed ancor più ai principi dell'accordo, che garantiscono la partecipazione volitiva del minore nella risoluzione dei conflitti interni alla compagine familiare. Al momento del disfacimento del rapporto quale che sia la sua fonte, inteso come vicenda della coppia genitoriale, i rapporti familiari (tra genitori e figli) necessitano di una presa di posizione del legislatore che prescinda dalla qualifica dei figli come legittimi e/o naturali o nati in costanza di matrimonio o non in costanza o per via naturale o assistita. Ed è proprio in questa ottica che viene studiata la Legge 8 febbraio 2006 n. 54 recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli” che, per molti versi, ha equiparato il trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali almeno nella fase dello scioglimento del rapporto genitoriale.
2011
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