Bevanda sociale, il vino ha sempre avuto il dono di ‘sciogliere la lingua’ e di predisporre all’ascolto degli altri. Questa sua vocazione ‘linguistica’ va tuttavia intesa in più sensi. Anzitutto, come tutti gli oggetti culturali, quando è espresso in parole, il vino si colloca nello spazio sociale. La sua consumazione, e prima ancora la sua creazione, sono infatti accompagnate e rese possibili da discorsi, da scambi d’idee, da approfondimenti intellettuali, da intrattenimenti mondani e insomma da quel piacere della conversazione che ne scorta la storia sin dai tempi del simposio greco. Per essere goduto nella sua pienezza, sì che il piacere del suo consumo venga convenientemente prolungato, il vino va a sua volta ascoltato e va perciò lasciato esprimere: e questo richiede non solo pazienza ma anche un ‘erotico’ sentimento dell’attesa. Ma il ‘divino nettare’ è anche ‘parola’, specialmente quando lo si sa gustare, cioè valutare e apprezzare: attività che implica senso della condivisione e capacità di parlare del vino in modo appropriato. Se proviamo a capire cosa distingua l’atto fisico del bere dall’atto cognitivo del degustare, comprendiamo bene la linguisticità del vino e perciò il ruolo decisivo della parola in questa complessa esperienza estetica o, piuttosto, sinestetica. Le pagine che seguono tenteranno perciò di descrivere il complesso rapporto tra la percezione sensoriale delle caratteristiche organolettiche di un vino e la sua verbalizzazione – momento insostituibile nella valutazione e nella comprensione dell’espressività di un vino – attraverso l’analisi del linguaggio con cui si descrive e si racconta il vino, senza trascurare la differenza tra bere e degustare.

Sinestesie della degustazione. Appunti sulle parole del vino

CAVALIERI, Rosalia
2012-01-01

Abstract

Bevanda sociale, il vino ha sempre avuto il dono di ‘sciogliere la lingua’ e di predisporre all’ascolto degli altri. Questa sua vocazione ‘linguistica’ va tuttavia intesa in più sensi. Anzitutto, come tutti gli oggetti culturali, quando è espresso in parole, il vino si colloca nello spazio sociale. La sua consumazione, e prima ancora la sua creazione, sono infatti accompagnate e rese possibili da discorsi, da scambi d’idee, da approfondimenti intellettuali, da intrattenimenti mondani e insomma da quel piacere della conversazione che ne scorta la storia sin dai tempi del simposio greco. Per essere goduto nella sua pienezza, sì che il piacere del suo consumo venga convenientemente prolungato, il vino va a sua volta ascoltato e va perciò lasciato esprimere: e questo richiede non solo pazienza ma anche un ‘erotico’ sentimento dell’attesa. Ma il ‘divino nettare’ è anche ‘parola’, specialmente quando lo si sa gustare, cioè valutare e apprezzare: attività che implica senso della condivisione e capacità di parlare del vino in modo appropriato. Se proviamo a capire cosa distingua l’atto fisico del bere dall’atto cognitivo del degustare, comprendiamo bene la linguisticità del vino e perciò il ruolo decisivo della parola in questa complessa esperienza estetica o, piuttosto, sinestetica. Le pagine che seguono tenteranno perciò di descrivere il complesso rapporto tra la percezione sensoriale delle caratteristiche organolettiche di un vino e la sua verbalizzazione – momento insostituibile nella valutazione e nella comprensione dell’espressività di un vino – attraverso l’analisi del linguaggio con cui si descrive e si racconta il vino, senza trascurare la differenza tra bere e degustare.
2012
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