Oltre al loro vasto repertorio di canzoni narrative volte a un approfondimento critico-speculativo della storia contemporanea, di quella "nostra" e di quella "altrui", nella dimensione pubblica e riflessiva della piazza, i poeti-cantastorie molto spesso risultano autori di repertori autobiografici, tanto poetico-letterari quanto audiovisivi. Il saggio prende in analitica considerazione queste ultime, affatto studiate, narrazioni e visioni autobiografiche, le quali rivelano disposizioni conoscitive e letterarie davvero insolite e straordinarie rispetto a quelle tendenzialmente attribuite dagli antropologi alla cosiddetta "cultura folklorica" o "popolare". Molto interessanti risultano le relazioni tra ambiti e punti di vista conoscitivi quali quelli legati alla "piazza" e alla "casa", alla "lingua" e al "dialetto", alla "identità" e alla "alterità". In particolare il saggio esplora le vicende autobiografiche che Vito Santangelo, uno tra i più importanti esponenti dei poeti-cantastorie in Sicilia, scrive e narra in un lungo testo autobiografico intitolato "La mia vita di cantastorie". Tale saggio diventa così testiminainza etnografica dell'incontro tra il cantastorie e un antropologo che da oltre vent'anni segue gli sviluppi della canzone narrativa in Italia e nel Sud. Si tratta di un saggio che, per la prima volta, prende in considerazione critica, sottoponendoli a una capillare riflessione antropologica, le produzioni autobiografiche che ricorrono ampiamente, si può dire, nell’opera di ogni poeta-cantastorie di tradizione siciliana: da Ignazio Buttitta a Franco Trincale, da Ciccio Busacca a Fortunato Sindoni, da Orazio Strano a Rosa Balistreri, fino a Vito Santangelo sulla cui autobiografia, “La mia vita di cantastorie”, il saggio si sofferma particolarmente. Si tratta di diari, storie in versi, commemorazioni poetiche, epistolari ma anche di raffigurazioni pittoriche, fotografiche, audiovisive in cui i poeti-cantastorie tralasciano la dimensione pubblica della piazza cui solitamente rivolgono il loro spettacolo e una canzone narrativa tesa a riflettere in forma estraniata le contraddizioni, le doppie morali, le «cose che non quadrano» nelle cronache dei nostri giorni. In queste scritture “dell’intimo” i cantastorie non si rivolgono all’approfondimento poetico delle storie degli altri che necessitano della dimensione pubblica, estraniante, eterogenea della piazza; bensì sembrano applicare a se stessi la scepsis pirandelliana, il verghiano «guardare da una certa distanza», il brechtiano «effetto di etraneamento», concentrandosi sulle proprie origini, sul proprio apprendistato artistico, sulla loro poetica, su una storia familiare e professionale la cui ricostruzione retrospettiva rivela categorie comunicative, rappresentative, critico-speculative, autoriflessive, “filosofiche” sorprendenti in quella cosiddetta “cultura popolare” che, al contrario, molti demologi, troppo a lungo hanno visto improntata sulle verità autonome e assertorie ripetute dal mito, dal rito, dalla festa, dal meccanico riproporsi delle “tradizioni” a ogni nuova generazione.

Le storie difficili. Vito Santangelo e le autobiografie dei cantastorie

GERACI, Mauro
2008-01-01

Abstract

Oltre al loro vasto repertorio di canzoni narrative volte a un approfondimento critico-speculativo della storia contemporanea, di quella "nostra" e di quella "altrui", nella dimensione pubblica e riflessiva della piazza, i poeti-cantastorie molto spesso risultano autori di repertori autobiografici, tanto poetico-letterari quanto audiovisivi. Il saggio prende in analitica considerazione queste ultime, affatto studiate, narrazioni e visioni autobiografiche, le quali rivelano disposizioni conoscitive e letterarie davvero insolite e straordinarie rispetto a quelle tendenzialmente attribuite dagli antropologi alla cosiddetta "cultura folklorica" o "popolare". Molto interessanti risultano le relazioni tra ambiti e punti di vista conoscitivi quali quelli legati alla "piazza" e alla "casa", alla "lingua" e al "dialetto", alla "identità" e alla "alterità". In particolare il saggio esplora le vicende autobiografiche che Vito Santangelo, uno tra i più importanti esponenti dei poeti-cantastorie in Sicilia, scrive e narra in un lungo testo autobiografico intitolato "La mia vita di cantastorie". Tale saggio diventa così testiminainza etnografica dell'incontro tra il cantastorie e un antropologo che da oltre vent'anni segue gli sviluppi della canzone narrativa in Italia e nel Sud. Si tratta di un saggio che, per la prima volta, prende in considerazione critica, sottoponendoli a una capillare riflessione antropologica, le produzioni autobiografiche che ricorrono ampiamente, si può dire, nell’opera di ogni poeta-cantastorie di tradizione siciliana: da Ignazio Buttitta a Franco Trincale, da Ciccio Busacca a Fortunato Sindoni, da Orazio Strano a Rosa Balistreri, fino a Vito Santangelo sulla cui autobiografia, “La mia vita di cantastorie”, il saggio si sofferma particolarmente. Si tratta di diari, storie in versi, commemorazioni poetiche, epistolari ma anche di raffigurazioni pittoriche, fotografiche, audiovisive in cui i poeti-cantastorie tralasciano la dimensione pubblica della piazza cui solitamente rivolgono il loro spettacolo e una canzone narrativa tesa a riflettere in forma estraniata le contraddizioni, le doppie morali, le «cose che non quadrano» nelle cronache dei nostri giorni. In queste scritture “dell’intimo” i cantastorie non si rivolgono all’approfondimento poetico delle storie degli altri che necessitano della dimensione pubblica, estraniante, eterogenea della piazza; bensì sembrano applicare a se stessi la scepsis pirandelliana, il verghiano «guardare da una certa distanza», il brechtiano «effetto di etraneamento», concentrandosi sulle proprie origini, sul proprio apprendistato artistico, sulla loro poetica, su una storia familiare e professionale la cui ricostruzione retrospettiva rivela categorie comunicative, rappresentative, critico-speculative, autoriflessive, “filosofiche” sorprendenti in quella cosiddetta “cultura popolare” che, al contrario, molti demologi, troppo a lungo hanno visto improntata sulle verità autonome e assertorie ripetute dal mito, dal rito, dalla festa, dal meccanico riproporsi delle “tradizioni” a ogni nuova generazione.
2008
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