Com’è noto, la Regione Siciliana gode di condizioni speciali di autonomia rispetto a tutte le altre regioni italiane, in virtù del proprio Statuto, approvato con legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948. Ciò ha determinato, nel tempo, una notevole produzione normativa, spesso assai frammentaria e priva di coordinamento, che ha contribuito a separare sempre più i sistemi delineati, per lo più senza ragionevoli motivi, creando una profonda differenza tra gli impianti normativi degli enti isolani e quelli del resto d’Italia. Per effetto di numerosi e, spesso, poco coordinati interventi, il legislatore siciliano, infatti, ha provveduto a recepire le disposizioni di carattere nazionale, ma apportandovi modifiche, e contribuendo così ad aggravare, talvolta senza alcuna convincente ragione - perché in contrasto con le esigenze di razionalizzazione e di armonizzazione dei sistemi, e perché in contrapposizione con i principi generali di separazione tra la sfera di attività di indirizzo e di controllo politico e quella tecnico-gestionale - la già lacunosa e disseminata normativa, e ciò a dispetto dei crismi della certezza del diritto. Secondo l’art. 14, lettera g), dello Statuto della Regione Sicilia, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, è attribuita, ad esempio, alla competenza legislativa esclusiva regionale la materia dei lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale, quale forma di speciale condizione di autonomia riconosciuta per ragioni di carattere storico-politico. Tale situazione ha ovviamente procurato agli amministratori ed ai funzionari degli enti locali e della regione problemi di carattere interpretativo circa le disposizioni da applicare precettivamente al caso concreto. Né sembra che questi problemi abbiano trovato soluzione col nuovo testo di legge regionale n. 7 del 2 agosto 2002, pubblicato in G.U.R.S. n. 37 del 10.08.2002, in materia di appalti di lavori pubblici e forniture di beni e servizi, cui sono seguiti numerosi interventi correttivi (leggi regionali 19 maggio 2003, n. 7, 29 novembre 2005, n. 16, e 21 agosto 2007, n. 20). Pare, infatti, che, neppure stavolta, l’Assemblea Regionale Siciliana, in questo suo sforzo di coordinamento, abbia soddisfatto la necessità di dare alla luce un testo privo di lacune, nonostante lo sforzo impiegato dalle disposizioni successive per rendere i due assetti normativi (quello nazionale e quello regionale) sempre più vicini. Anche se, ad una prima lettura, il sistema delineato dal legislatore regionale potrebbe, difatti, fornire all’interprete la parvenza della realizzazione di un quadro normativo completo, si rilevano una serie di aspetti lacunosi, perplessità ed incertezze applicative, che neanche le cure apprestate da diversi Assessorati Regionali hanno dissolto, soprattutto ove si pensi che sono state diramate circolari recanti punti di vista assai discordanti tra loro (come nel caso della circolare dell’ex Assessorato agli Enti Locali, n. 15 del 31 ottobre 2002). Si pensi, ad esempio, all’avvenuto recepimento della disposizione di cui all’art. 24, numero 3, della L. n. 109/1994, laddove viene previsto che i requisiti dei soggetti cui affidare a trattativa privata gli appalti di lavori pubblici siano gli stessi di quelli richiesti per l’aggiudicazione degli appalti di uguale importo mediante licitazione privata, scordando, però, che l’art. 23 della legge “Merloni”, afferente proprio alla licitazione privata, non era stato recepito in Sicilia. Né vale replicare a tale impasse sostenendo che la Regione abbia, dal canto suo, pubblicato il testo coordinato della Legge n. 109/1994 con le norme di modifica della stessa, perché sono rimaste, comunque, in sede di applicazione pratica delle varie disposizioni alle ipotesi specifiche, difficoltà di coordinamento e di interpretazione logico-sistematica, laddove non sia stata chiara l’abrogazione od il contrasto della nuova legge con la disciplina previgente. A dimostrazione degli effetti iniqui che una tale situazione può arrecare, è bene notare che solo pochi giorni dopo l’adozione della predetta L.R. n. 7/2002, con legge 1 agosto 2002, n. 166, pubblicata nella G.U.R.I. n. 181 del 3 agosto 2002, supplemento ordinario n. 158, sono stati emanati ulteriori adeguamenti della normativa nazionale, che, naturalmente, in base al rinvio statico operato, non hanno potuto trovare applicazione in Sicilia, perdurando così ancora alcune diversità di disciplina in materia di lavori pubblici nelle due realtà territoriali. Oggi più che mai, i funzionari sentono, difatti, la necessità di orientarsi agevolmente in procedimenti amministrativi, evitando itinera farraginosi, gravosi e poco efficienti, con inutile dispendio di energie, di risorse economiche e strumentali, per cercare, viceversa, di conseguire efficacemente gli obiettivi programmati. Ma potrebbe pensarsi che tali incertezze siano destinate ad acuirsi ancora di più oggi, alla luce del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163). La presente trattazione cercherà, per l’appunto, attraverso la lettura delle norme positive ed il loro coordinamento logico-sistematico, unitamente all’ausilio della più recente dottrina e degli orientamenti giurisprudenziali, di suggerire alle istituzioni locali della Sicilia le procedure amministrative concrete da seguire per il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Il quadro così tratteggiato si complica ancor di più a seguito dell’attuazione del novellato titolo V - Parte II della Costituzione Italiana, modificato con Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che pone, oggi forse più che mai, la necessità di verificare, anzitutto, la permanenza o meno delle predette ragioni di specialità, che giustifichino, nel mutato assetto di poteri, la competenza legislativa esclusiva, da parte della Regione Siciliana, su determinate materie, tra cui l’Ordinamento degli Enti Locali. La questione si apre in maniera preponderante perché la riforma costituzionale mira al rafforzamento di tutte le istituzioni locali, a nulla rilevando che le stesse siano site in regioni a statuto ordinario o speciale, al solo fine di valorizzarne la naturale vocazione territoriale e prescindendo dall’inserimento in logiche di natura gerarchica rispetto allo Stato. In altri termini, viene riconosciuto agli enti locali il ruolo di elemento costitutivo della Repubblica, cioè di soggetti partecipi di quei valori di autonomia e di decentramento a cui lo Stato si ispira e per cui adegua i metodi ed i principi della sua legislazione, consacrato dall’art. 5 della Costituzione. A questo proposito, sembrerebbe che le regioni a statuto ordinario, nelle materie loro attribuite in via residuale, e, quindi, in via esclusiva, siano libere di muoversi scevre da vincoli di legislazione, che la stessa Regione Siciliana incontra nell’esercizio delle proprie funzioni legislative. Occorre domandarsi, pertanto, se, alla luce del generale processo di riforma federalista dell’ordinamento repubblicano, permanga ancora alla Regione Siciliana quel novero di competenza legislativa esclusiva nelle materie di cui all’art. 14 dello Statuto. Il problema, in effetti, viene affrontato e risolto positivamente già dalla stessa novella costituzionale, che, all’art. 10, stabilisce che le norme della nuova Costituzione si applichino anche agli ordinamenti delle regioni a statuto speciale per quelle parti che prevedano più ampie forme di autonomia riguardo a quanto già loro attribuito. Non solo. L’art. 116 della Costituzione conferma e sottolinea pure la vigenza delle peculiari forme di autonomia di cui godono già le regioni a statuto speciale, tra cui, ovviamente, non può non ricomprendersi lo Statuto della Regione Siciliana. Se questo è l’assetto complessivo che emerge, la Regione Siciliana, perciò, mantiene competenza legislativa esclusiva limitatamente alle seguenti materie: agricoltura e foreste; bonifica; usi civici; industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti privati; incremento della produzione agricola ed industriale: valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli ed industriali e delle attività commerciali; urbanistica; lavori pubblici, eccettuate le grandi opere di interesse prevalentemente nazionale; miniere, cave, torbiere, saline; acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d’interesse nazionale; pesca e caccia; pubblica beneficenza ed opere pie; turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche; regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative; ordinamento degli uffici e degli enti regionali; stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello stato; istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie; espropriazione per pubblica utilità. Parimenti, la Regione conserva potestà legislativa concorrente, cioè legifera entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, nell’ambito delle materie concernenti: comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere; igiene e sanità pubblica; assistenza sanitaria; istruzione media e universitaria; disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio; legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza e assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato; annona; assunzione di pubblici servizi; tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale. L’ultimo atto di questo processo di riassetto normativo, secondo le previsioni dell’articolo 26 della legge regionale n. 30/2000, avrebbe dovuto essere costituito dall’adozione di un testo coordinato delle leggi regionali relative all’ordinamento degli enti locali, per il quale veniva conferito al Presidente della Regione l’incarico di operarne la pubblicazione nella G.U.R.S., testo che, nonostante fosse stato stabilito il termine massimo di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge autorizzatoria, ha visto solo di recente la luce nel Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2008, n. 20, la cui nota introduttiva testimonia, appunto, l’aggiunta stratificata di norme nonché il rinvio formale o dinamico, di volta in volta, operato dal legislatore regionale alla disciplina nazionale. Si è riferito che il Codice degli appalti, D.L.gs. n. 163 del 2006, è finalmente entrato in vigore, sia pure tra alterne vicende, inserite col Decreto Legge n. 173/2003, nel testo emendato dalla legge di conversione 12 luglio 2006, n. 208, (cosiddetta “legge milleproroghe”). Sebbene le disposizioni in esso contenute seguano, però, diverse tappe intermedie, esso reca con sé l'effetto immediato di abrogazione di norme, ed il differimento nel tempo di altre, prevedendo, al tempo stesso, un regime transitorio, destinato ad esaurirsi una volta che troverà compiuta attuazione ogni singola statuizione. Oggi, il Codice è stato aggiornato non solo dalle modifiche introdotte dal D.L. 12 maggio 2006, n. 173, dal Decreto legislativo 26 gennaio 2007 n. 6, dal Decreto legislativo 31.07.2007, n. 113 e dal D.L.gs. n. 152/2008 (si veda anche il D.M. 17 marzo 2008, n. 184: "Regolamento recante norme per la ripartizione dell'incentivo di cui all'articolo 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163"). In altri termini, attraverso il codice, viene disciplinata la materia dei contratti pubblici, in recepimento delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE ed in attuazione della delega contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), con la preoccupazione, tuttavia, di valutare l’impatto della relativa regolamentazione sulla disciplina in corso. Ma perché adottare un codice, anziché modificare la Legge Merloni, tanto più quando si pensi che l’impianto fondamentale di quest’ultima, salvo qualche elemento innovativo, è rimasto senz’altro invariato? L’esigenza di un codice in materia è, di certo, il frutto dell’evoluzione legislativa di questi ultimi tempi, che ai testi unici (corpora unitari di disposizioni legislative e regolamentari, previsti dall’art. 7 della L. n. 50/1999, c.d. Bassanini quater, ai fini del relativo riordino), mera raccolta di norme giuridiche sparse in un unico impianto (che, ancorché fonte di diritto, mantenevano carattere fortemente conservativo dell’assetto esistente)- ha preferito il codex (introdotto dalla legge di semplificazione 29 luglio 2003, n. 229), strumento sicuro di regolamentazione di una determinata materia, stratificata in un complesso stabile ed ordinato di disposizioni normative, facilmente accessibili agli operatori del settore. La differenza fondamentale rispetto alla Legge n. 109/1994 è che, in quest’ultima, il legislatore nazionale si era avvalso di quei margini di discrezionalità lasciati dalla precedente disciplina comunitaria, che oggi vengono sacrificati dal legislatore delegante per conseguire quel quadro normativo comunitario che valorizza la più totale, libera e leale concorrenza tra gli attori economici. E’ chiaro, però, che il Codice avrebbe senza dubbio posseduto caratteristiche assai originali qualora fosse stata adottata la prima versione, predisposta dalla Commissioni di esperti istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ad ogni modo, con il passaggio dalla Legge Merloni al Codice, si assiste al primo esperimento storico di composizione, in un unico sistema, della disciplina dei lavori, dei servizi e delle forniture, nel tentativo di dare, finalmente, compagine unitaria ed armonica alla situazione di dispersione e di disordine che, fino ad ora - in un’epoca di decodificazione - aveva caratterizzato la materia. Qualche interrogativo sorge, però, in ordine all’intera applicazione del Codice nella Regione Siciliana, che, com’è stato evidenziato, dispone - in virtù dell’art. 14, lettera g), dello Statuto, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 - di competenza legislativa esclusiva nella materia dei lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale. Infatti, mentre nulla quaestio si pone per le Regioni a statuto ordinario - che, nelle materie di competenza, hanno l’obbligo di esercitare la loro potestà normativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato – problemi emergenti si pongono per le Regioni a statuto speciale, chiamate sì ad adeguare la propria legislazione, non fosse altro perché in recepimento di direttive comunitarie, ma secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione. E’, a questo punto, senz’altro agevole ricordare come i contratti delle Pubbliche Amministrazioni, pur non essendo inseriti tra le materie del nuovo art. 117 Cost., non siano assoggettati a potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 303/2003, si tratta di ambiti che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e, pertanto, possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti. Ora, “materia trasversale”, perché tocca più ambiti, è certamente quella della tutela della concorrenza, il cui valore unificante – sia per l’idoneità ad incidere sugli strumenti di politica economica dell’intero paese sia per le ragioni di massima trasparenza e di non discriminazione tra tutti gli operatori economici (cfr., Corte Cost. 336/2005) - fa sì che il legislatore statale possa legittimamente intervenire su materie, che, sotto altri aspetti, siano di competenza delle Regioni (cfr., Corte Cost. n. 14 e n. 272 del 2004; n. 29/2006). Seguendo l’orientamento giurisprudenziale (Corte Cost. n. 304/1987; contra, Corte Cost. n. 13/2003, conf. da Corte Cost. n. 204 e n. 290/1993, n. 212/1994 e n. 332/1998), ormai prevalente ed oggi pienamente accolto nel novellato testo dell’art. 117 della Costituzione - secondo cui le Regioni hanno solo l’obbligo di rispettare i vincoli scaturenti dall’ordinamento comunitario, ben potendo, però, partecipare tanto alla fase ascendente quanto a quella discendente, rispettivamente, per la formazione degli atti normativi comunitari e per l’esecuzione degli accordi e degli atti dell’Unione Europea - si tratta ora di andare ad esaminare se, con l’art. 4, commi 4 e 5, del Codice degli appalti pubblici, il legislatore nazionale si sia mosso nei solchi dei precetti costituzionali. L’art. 117 Cost., comma 4, infatti, dispone che le Regioni, nelle materie di loro competenza, provvedano all’attuazione degli atti di derivazione internazionale e comunitaria nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza, da informare, ovviamente, ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione (art. 120 Cost.; art. 8 della L. n. 131 del 5 giugno 2003, di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. n. 3/2001). La fase discendente è quanto più fondamentale in un assesto costituzionale che vede in posizione di sostanziale equiordinazione Stato e Regioni, ed un potere sostitutivo da parte del primo proprio nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria ad opera di queste ultime. Detto meccanismo sostitutivo - introdotto, a più riprese, da varie leggi comunitarie (L. n. 39/2002, e confermato dalle successive leggi n. 14 e n. 306 del 2003), ed, appositamente, previsto dall’art. 1, comma 6, della stessa legge delega n. 62/2005 - reca una procedura c.d. cedevole, nel senso che lo Stato, al fine di evitare inadempimenti e conseguenti procedure di infrazione per omessa trasposizione del diritto comunitario, può adottare decreti legislativi, anche prima dello scadere del termine ultimo per il recepimento di direttive comunitarie da parte delle Regioni, i quali resteranno in vigore nel territorio di riferimento fino a quando le Regioni medesime non abbiano provveduto, anche tardivamente, ad emanare la normativa di attuazione (in tal senso, si è espresso il Consiglio di Stato, Ad. Gen. n. 2 del 25 febbraio 2002 e n. 5 del 17 ottobre 2002). Com’è stato detto, la Regione Sicilia ha potestà legislativa esclusiva nella materia dei lavori pubblici. Nessun problema, dunque, si prospetta per l’applicazione in Sicilia delle disposizioni del Codice in materia di forniture di beni e servizi, per i quali vale il naturale riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, riassunto nei commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 4 del D.L.gs. n. 163/2006. L’Assessorato Regionale dei Lavori Pubblici, con circolare del 18 settembre 2006, pubblicata sulla G.U.R.S. n. 45, parte I, del 25 settembre 2006, a tal proposito, mentre per le forniture di beni, gli appalti di servizi e quelli inerenti ai settori esclusi ha senz’altro ammesso, l’applicazione del codice degli appalti, in virtù del rinvio dinamico operato dalla legge regionale n. 7/2002, rispettivamente, agli oramai abrogati decreti legislativi nn. 358/1992, 157/1995 e 158/1995, ha ritenuto, viceversa, che la novella al titolo V della Costituzione non abbia inciso sull’assetto della precedente distribuzione di competenze tra Stato e Regione in materia di lavori pubblici. Sempre la predetta circolare puntualizza, tuttavia, che tale competenza esclusiva incontri dei limiti, costituiti, anzitutto, dal rispetto della Costituzione, dello Statuto e delle relative norme di attuazione, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, come pure dei principi delle grandi riforme economico-sociali. Tutto ciò, però, potrebbe significare che, per i lavori pubblici, possa trovare applicazione gran parte dell’impianto del Codice degli appalti, almeno fino a quando la Regione Siciliana non avrà provveduto ad adeguare la propria legislazione, posto che in esso, come confermato dallo stesso Assessorato Regionale, sono contenute norme comunitarie dotate di efficacia immediatamente precettiva, come nel caso dell’istituto del dialogo competitivo. Ecco che, allora, potrebbe profilarsi all’orizzonte un’ulteriore ed imponente opera di coordinamento legislativo da parte della Regione Siciliana, seguita, come al solito, da “salti” di equilibrismo degli addetti ai lavori - per lo più funzionari e dirigenti delle amministrazioni pubbliche - nel grave sforzo “palingenetico” di rendere atti e provvedimenti conformi alle leggi. Ma la speranza è che, questa volta, non ci si debba poi domandare a quali leggi conformare il proprio operato, tanto più in un sistema evolutivo, che, ancor prima della costituzionalizzazione dei vincoli comunitari, è approdato - seguendo l’orientamento della Corte di Giustizia e della giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale - alla primautè delle fonti comunitarie rispetto alle norme interne (cfr., Corte Giust. del 19 febbraio 1991, Commissione c. Belgio, causa C-374/89 e del 9 settembre 2003, C-198/01; Corte Cost. n. 274 del 24 luglio 2003, confermata con sent. n. 8/2004).

La Legislazione della Regione Sicilia, Particolarità e differenze rispetto alla normativa nazionale, Appendice all'Agenda dei Comuni - Guida Normativa 2011, Editrice Caparrini – Gaspari, pagg. 625.

BATTISTA, FABIO MARTINO
2011-01-01

Abstract

Com’è noto, la Regione Siciliana gode di condizioni speciali di autonomia rispetto a tutte le altre regioni italiane, in virtù del proprio Statuto, approvato con legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948. Ciò ha determinato, nel tempo, una notevole produzione normativa, spesso assai frammentaria e priva di coordinamento, che ha contribuito a separare sempre più i sistemi delineati, per lo più senza ragionevoli motivi, creando una profonda differenza tra gli impianti normativi degli enti isolani e quelli del resto d’Italia. Per effetto di numerosi e, spesso, poco coordinati interventi, il legislatore siciliano, infatti, ha provveduto a recepire le disposizioni di carattere nazionale, ma apportandovi modifiche, e contribuendo così ad aggravare, talvolta senza alcuna convincente ragione - perché in contrasto con le esigenze di razionalizzazione e di armonizzazione dei sistemi, e perché in contrapposizione con i principi generali di separazione tra la sfera di attività di indirizzo e di controllo politico e quella tecnico-gestionale - la già lacunosa e disseminata normativa, e ciò a dispetto dei crismi della certezza del diritto. Secondo l’art. 14, lettera g), dello Statuto della Regione Sicilia, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, è attribuita, ad esempio, alla competenza legislativa esclusiva regionale la materia dei lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale, quale forma di speciale condizione di autonomia riconosciuta per ragioni di carattere storico-politico. Tale situazione ha ovviamente procurato agli amministratori ed ai funzionari degli enti locali e della regione problemi di carattere interpretativo circa le disposizioni da applicare precettivamente al caso concreto. Né sembra che questi problemi abbiano trovato soluzione col nuovo testo di legge regionale n. 7 del 2 agosto 2002, pubblicato in G.U.R.S. n. 37 del 10.08.2002, in materia di appalti di lavori pubblici e forniture di beni e servizi, cui sono seguiti numerosi interventi correttivi (leggi regionali 19 maggio 2003, n. 7, 29 novembre 2005, n. 16, e 21 agosto 2007, n. 20). Pare, infatti, che, neppure stavolta, l’Assemblea Regionale Siciliana, in questo suo sforzo di coordinamento, abbia soddisfatto la necessità di dare alla luce un testo privo di lacune, nonostante lo sforzo impiegato dalle disposizioni successive per rendere i due assetti normativi (quello nazionale e quello regionale) sempre più vicini. Anche se, ad una prima lettura, il sistema delineato dal legislatore regionale potrebbe, difatti, fornire all’interprete la parvenza della realizzazione di un quadro normativo completo, si rilevano una serie di aspetti lacunosi, perplessità ed incertezze applicative, che neanche le cure apprestate da diversi Assessorati Regionali hanno dissolto, soprattutto ove si pensi che sono state diramate circolari recanti punti di vista assai discordanti tra loro (come nel caso della circolare dell’ex Assessorato agli Enti Locali, n. 15 del 31 ottobre 2002). Si pensi, ad esempio, all’avvenuto recepimento della disposizione di cui all’art. 24, numero 3, della L. n. 109/1994, laddove viene previsto che i requisiti dei soggetti cui affidare a trattativa privata gli appalti di lavori pubblici siano gli stessi di quelli richiesti per l’aggiudicazione degli appalti di uguale importo mediante licitazione privata, scordando, però, che l’art. 23 della legge “Merloni”, afferente proprio alla licitazione privata, non era stato recepito in Sicilia. Né vale replicare a tale impasse sostenendo che la Regione abbia, dal canto suo, pubblicato il testo coordinato della Legge n. 109/1994 con le norme di modifica della stessa, perché sono rimaste, comunque, in sede di applicazione pratica delle varie disposizioni alle ipotesi specifiche, difficoltà di coordinamento e di interpretazione logico-sistematica, laddove non sia stata chiara l’abrogazione od il contrasto della nuova legge con la disciplina previgente. A dimostrazione degli effetti iniqui che una tale situazione può arrecare, è bene notare che solo pochi giorni dopo l’adozione della predetta L.R. n. 7/2002, con legge 1 agosto 2002, n. 166, pubblicata nella G.U.R.I. n. 181 del 3 agosto 2002, supplemento ordinario n. 158, sono stati emanati ulteriori adeguamenti della normativa nazionale, che, naturalmente, in base al rinvio statico operato, non hanno potuto trovare applicazione in Sicilia, perdurando così ancora alcune diversità di disciplina in materia di lavori pubblici nelle due realtà territoriali. Oggi più che mai, i funzionari sentono, difatti, la necessità di orientarsi agevolmente in procedimenti amministrativi, evitando itinera farraginosi, gravosi e poco efficienti, con inutile dispendio di energie, di risorse economiche e strumentali, per cercare, viceversa, di conseguire efficacemente gli obiettivi programmati. Ma potrebbe pensarsi che tali incertezze siano destinate ad acuirsi ancora di più oggi, alla luce del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 12 aprile 2006, n. 163). La presente trattazione cercherà, per l’appunto, attraverso la lettura delle norme positive ed il loro coordinamento logico-sistematico, unitamente all’ausilio della più recente dottrina e degli orientamenti giurisprudenziali, di suggerire alle istituzioni locali della Sicilia le procedure amministrative concrete da seguire per il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. Il quadro così tratteggiato si complica ancor di più a seguito dell’attuazione del novellato titolo V - Parte II della Costituzione Italiana, modificato con Legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, che pone, oggi forse più che mai, la necessità di verificare, anzitutto, la permanenza o meno delle predette ragioni di specialità, che giustifichino, nel mutato assetto di poteri, la competenza legislativa esclusiva, da parte della Regione Siciliana, su determinate materie, tra cui l’Ordinamento degli Enti Locali. La questione si apre in maniera preponderante perché la riforma costituzionale mira al rafforzamento di tutte le istituzioni locali, a nulla rilevando che le stesse siano site in regioni a statuto ordinario o speciale, al solo fine di valorizzarne la naturale vocazione territoriale e prescindendo dall’inserimento in logiche di natura gerarchica rispetto allo Stato. In altri termini, viene riconosciuto agli enti locali il ruolo di elemento costitutivo della Repubblica, cioè di soggetti partecipi di quei valori di autonomia e di decentramento a cui lo Stato si ispira e per cui adegua i metodi ed i principi della sua legislazione, consacrato dall’art. 5 della Costituzione. A questo proposito, sembrerebbe che le regioni a statuto ordinario, nelle materie loro attribuite in via residuale, e, quindi, in via esclusiva, siano libere di muoversi scevre da vincoli di legislazione, che la stessa Regione Siciliana incontra nell’esercizio delle proprie funzioni legislative. Occorre domandarsi, pertanto, se, alla luce del generale processo di riforma federalista dell’ordinamento repubblicano, permanga ancora alla Regione Siciliana quel novero di competenza legislativa esclusiva nelle materie di cui all’art. 14 dello Statuto. Il problema, in effetti, viene affrontato e risolto positivamente già dalla stessa novella costituzionale, che, all’art. 10, stabilisce che le norme della nuova Costituzione si applichino anche agli ordinamenti delle regioni a statuto speciale per quelle parti che prevedano più ampie forme di autonomia riguardo a quanto già loro attribuito. Non solo. L’art. 116 della Costituzione conferma e sottolinea pure la vigenza delle peculiari forme di autonomia di cui godono già le regioni a statuto speciale, tra cui, ovviamente, non può non ricomprendersi lo Statuto della Regione Siciliana. Se questo è l’assetto complessivo che emerge, la Regione Siciliana, perciò, mantiene competenza legislativa esclusiva limitatamente alle seguenti materie: agricoltura e foreste; bonifica; usi civici; industria e commercio, salva la disciplina dei rapporti privati; incremento della produzione agricola ed industriale: valorizzazione, distribuzione, difesa dei prodotti agricoli ed industriali e delle attività commerciali; urbanistica; lavori pubblici, eccettuate le grandi opere di interesse prevalentemente nazionale; miniere, cave, torbiere, saline; acque pubbliche, in quanto non siano oggetto di opere pubbliche d’interesse nazionale; pesca e caccia; pubblica beneficenza ed opere pie; turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche; regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative; ordinamento degli uffici e degli enti regionali; stato giuridico ed economico degli impiegati e funzionari della Regione, in ogni caso non inferiore a quello del personale dello stato; istruzione elementare, musei, biblioteche, accademie; espropriazione per pubblica utilità. Parimenti, la Regione conserva potestà legislativa concorrente, cioè legifera entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato, nell’ambito delle materie concernenti: comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere; igiene e sanità pubblica; assistenza sanitaria; istruzione media e universitaria; disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio; legislazione sociale: rapporti di lavoro, previdenza e assistenza sociale, osservando i minimi stabiliti dalle leggi dello Stato; annona; assunzione di pubblici servizi; tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse regionale. L’ultimo atto di questo processo di riassetto normativo, secondo le previsioni dell’articolo 26 della legge regionale n. 30/2000, avrebbe dovuto essere costituito dall’adozione di un testo coordinato delle leggi regionali relative all’ordinamento degli enti locali, per il quale veniva conferito al Presidente della Regione l’incarico di operarne la pubblicazione nella G.U.R.S., testo che, nonostante fosse stato stabilito il termine massimo di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge autorizzatoria, ha visto solo di recente la luce nel Supplemento Ordinario della Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2008, n. 20, la cui nota introduttiva testimonia, appunto, l’aggiunta stratificata di norme nonché il rinvio formale o dinamico, di volta in volta, operato dal legislatore regionale alla disciplina nazionale. Si è riferito che il Codice degli appalti, D.L.gs. n. 163 del 2006, è finalmente entrato in vigore, sia pure tra alterne vicende, inserite col Decreto Legge n. 173/2003, nel testo emendato dalla legge di conversione 12 luglio 2006, n. 208, (cosiddetta “legge milleproroghe”). Sebbene le disposizioni in esso contenute seguano, però, diverse tappe intermedie, esso reca con sé l'effetto immediato di abrogazione di norme, ed il differimento nel tempo di altre, prevedendo, al tempo stesso, un regime transitorio, destinato ad esaurirsi una volta che troverà compiuta attuazione ogni singola statuizione. Oggi, il Codice è stato aggiornato non solo dalle modifiche introdotte dal D.L. 12 maggio 2006, n. 173, dal Decreto legislativo 26 gennaio 2007 n. 6, dal Decreto legislativo 31.07.2007, n. 113 e dal D.L.gs. n. 152/2008 (si veda anche il D.M. 17 marzo 2008, n. 184: "Regolamento recante norme per la ripartizione dell'incentivo di cui all'articolo 92, comma 5, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163"). In altri termini, attraverso il codice, viene disciplinata la materia dei contratti pubblici, in recepimento delle direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE ed in attuazione della delega contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria 2004), con la preoccupazione, tuttavia, di valutare l’impatto della relativa regolamentazione sulla disciplina in corso. Ma perché adottare un codice, anziché modificare la Legge Merloni, tanto più quando si pensi che l’impianto fondamentale di quest’ultima, salvo qualche elemento innovativo, è rimasto senz’altro invariato? L’esigenza di un codice in materia è, di certo, il frutto dell’evoluzione legislativa di questi ultimi tempi, che ai testi unici (corpora unitari di disposizioni legislative e regolamentari, previsti dall’art. 7 della L. n. 50/1999, c.d. Bassanini quater, ai fini del relativo riordino), mera raccolta di norme giuridiche sparse in un unico impianto (che, ancorché fonte di diritto, mantenevano carattere fortemente conservativo dell’assetto esistente)- ha preferito il codex (introdotto dalla legge di semplificazione 29 luglio 2003, n. 229), strumento sicuro di regolamentazione di una determinata materia, stratificata in un complesso stabile ed ordinato di disposizioni normative, facilmente accessibili agli operatori del settore. La differenza fondamentale rispetto alla Legge n. 109/1994 è che, in quest’ultima, il legislatore nazionale si era avvalso di quei margini di discrezionalità lasciati dalla precedente disciplina comunitaria, che oggi vengono sacrificati dal legislatore delegante per conseguire quel quadro normativo comunitario che valorizza la più totale, libera e leale concorrenza tra gli attori economici. E’ chiaro, però, che il Codice avrebbe senza dubbio posseduto caratteristiche assai originali qualora fosse stata adottata la prima versione, predisposta dalla Commissioni di esperti istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ad ogni modo, con il passaggio dalla Legge Merloni al Codice, si assiste al primo esperimento storico di composizione, in un unico sistema, della disciplina dei lavori, dei servizi e delle forniture, nel tentativo di dare, finalmente, compagine unitaria ed armonica alla situazione di dispersione e di disordine che, fino ad ora - in un’epoca di decodificazione - aveva caratterizzato la materia. Qualche interrogativo sorge, però, in ordine all’intera applicazione del Codice nella Regione Siciliana, che, com’è stato evidenziato, dispone - in virtù dell’art. 14, lettera g), dello Statuto, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 - di competenza legislativa esclusiva nella materia dei lavori pubblici, eccettuate le grandi opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale. Infatti, mentre nulla quaestio si pone per le Regioni a statuto ordinario - che, nelle materie di competenza, hanno l’obbligo di esercitare la loro potestà normativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e delle disposizioni relative a materie di competenza esclusiva dello Stato – problemi emergenti si pongono per le Regioni a statuto speciale, chiamate sì ad adeguare la propria legislazione, non fosse altro perché in recepimento di direttive comunitarie, ma secondo le disposizioni contenute negli statuti e nelle relative norme di attuazione. E’, a questo punto, senz’altro agevole ricordare come i contratti delle Pubbliche Amministrazioni, pur non essendo inseriti tra le materie del nuovo art. 117 Cost., non siano assoggettati a potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 303/2003, si tratta di ambiti che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e, pertanto, possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti. Ora, “materia trasversale”, perché tocca più ambiti, è certamente quella della tutela della concorrenza, il cui valore unificante – sia per l’idoneità ad incidere sugli strumenti di politica economica dell’intero paese sia per le ragioni di massima trasparenza e di non discriminazione tra tutti gli operatori economici (cfr., Corte Cost. 336/2005) - fa sì che il legislatore statale possa legittimamente intervenire su materie, che, sotto altri aspetti, siano di competenza delle Regioni (cfr., Corte Cost. n. 14 e n. 272 del 2004; n. 29/2006). Seguendo l’orientamento giurisprudenziale (Corte Cost. n. 304/1987; contra, Corte Cost. n. 13/2003, conf. da Corte Cost. n. 204 e n. 290/1993, n. 212/1994 e n. 332/1998), ormai prevalente ed oggi pienamente accolto nel novellato testo dell’art. 117 della Costituzione - secondo cui le Regioni hanno solo l’obbligo di rispettare i vincoli scaturenti dall’ordinamento comunitario, ben potendo, però, partecipare tanto alla fase ascendente quanto a quella discendente, rispettivamente, per la formazione degli atti normativi comunitari e per l’esecuzione degli accordi e degli atti dell’Unione Europea - si tratta ora di andare ad esaminare se, con l’art. 4, commi 4 e 5, del Codice degli appalti pubblici, il legislatore nazionale si sia mosso nei solchi dei precetti costituzionali. L’art. 117 Cost., comma 4, infatti, dispone che le Regioni, nelle materie di loro competenza, provvedano all’attuazione degli atti di derivazione internazionale e comunitaria nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza, da informare, ovviamente, ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione (art. 120 Cost.; art. 8 della L. n. 131 del 5 giugno 2003, di adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. n. 3/2001). La fase discendente è quanto più fondamentale in un assesto costituzionale che vede in posizione di sostanziale equiordinazione Stato e Regioni, ed un potere sostitutivo da parte del primo proprio nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria ad opera di queste ultime. Detto meccanismo sostitutivo - introdotto, a più riprese, da varie leggi comunitarie (L. n. 39/2002, e confermato dalle successive leggi n. 14 e n. 306 del 2003), ed, appositamente, previsto dall’art. 1, comma 6, della stessa legge delega n. 62/2005 - reca una procedura c.d. cedevole, nel senso che lo Stato, al fine di evitare inadempimenti e conseguenti procedure di infrazione per omessa trasposizione del diritto comunitario, può adottare decreti legislativi, anche prima dello scadere del termine ultimo per il recepimento di direttive comunitarie da parte delle Regioni, i quali resteranno in vigore nel territorio di riferimento fino a quando le Regioni medesime non abbiano provveduto, anche tardivamente, ad emanare la normativa di attuazione (in tal senso, si è espresso il Consiglio di Stato, Ad. Gen. n. 2 del 25 febbraio 2002 e n. 5 del 17 ottobre 2002). Com’è stato detto, la Regione Sicilia ha potestà legislativa esclusiva nella materia dei lavori pubblici. Nessun problema, dunque, si prospetta per l’applicazione in Sicilia delle disposizioni del Codice in materia di forniture di beni e servizi, per i quali vale il naturale riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, riassunto nei commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 4 del D.L.gs. n. 163/2006. L’Assessorato Regionale dei Lavori Pubblici, con circolare del 18 settembre 2006, pubblicata sulla G.U.R.S. n. 45, parte I, del 25 settembre 2006, a tal proposito, mentre per le forniture di beni, gli appalti di servizi e quelli inerenti ai settori esclusi ha senz’altro ammesso, l’applicazione del codice degli appalti, in virtù del rinvio dinamico operato dalla legge regionale n. 7/2002, rispettivamente, agli oramai abrogati decreti legislativi nn. 358/1992, 157/1995 e 158/1995, ha ritenuto, viceversa, che la novella al titolo V della Costituzione non abbia inciso sull’assetto della precedente distribuzione di competenze tra Stato e Regione in materia di lavori pubblici. Sempre la predetta circolare puntualizza, tuttavia, che tale competenza esclusiva incontri dei limiti, costituiti, anzitutto, dal rispetto della Costituzione, dello Statuto e delle relative norme di attuazione, nonché dai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali, come pure dei principi delle grandi riforme economico-sociali. Tutto ciò, però, potrebbe significare che, per i lavori pubblici, possa trovare applicazione gran parte dell’impianto del Codice degli appalti, almeno fino a quando la Regione Siciliana non avrà provveduto ad adeguare la propria legislazione, posto che in esso, come confermato dallo stesso Assessorato Regionale, sono contenute norme comunitarie dotate di efficacia immediatamente precettiva, come nel caso dell’istituto del dialogo competitivo. Ecco che, allora, potrebbe profilarsi all’orizzonte un’ulteriore ed imponente opera di coordinamento legislativo da parte della Regione Siciliana, seguita, come al solito, da “salti” di equilibrismo degli addetti ai lavori - per lo più funzionari e dirigenti delle amministrazioni pubbliche - nel grave sforzo “palingenetico” di rendere atti e provvedimenti conformi alle leggi. Ma la speranza è che, questa volta, non ci si debba poi domandare a quali leggi conformare il proprio operato, tanto più in un sistema evolutivo, che, ancor prima della costituzionalizzazione dei vincoli comunitari, è approdato - seguendo l’orientamento della Corte di Giustizia e della giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale - alla primautè delle fonti comunitarie rispetto alle norme interne (cfr., Corte Giust. del 19 febbraio 1991, Commissione c. Belgio, causa C-374/89 e del 9 settembre 2003, C-198/01; Corte Cost. n. 274 del 24 luglio 2003, confermata con sent. n. 8/2004).
2011
X330600000
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