Si tratta di un'ampia nota di commento alla sentenza del Tribunale di Ivrea (1 settembre 2005, G.U. Marra) in tema di regime contrattuale dei buoni di acquisto, sottoscrizione o conversione di azioni (warrants). Un gruppo di investitori privati ha agito per: - la risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) dei contratti di opzione sottostanti ai buoni di sottoscrizione delle azioni emesse dalla società convenuta; - il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, nonché da violazione delle norme in tema di clausole vessatorie (artt. 1469-bis ss., c.c.) e da lesione della buona fede e della correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.). In pendenza del termine concesso per l’esercizio del diritto di opzione, infatti, la società convenuta realizzava una serie di operazioni straordinarie (aumenti di capitale e fusioni), che avrebbero prodotto una modificazione unilaterale dell’originario assetto degli interessi economici sottesi ai warrants e cagionato il descritto danno economico. La quantificazione di questo è stata determinata nella diminuzione del valore di mercato delle azioni oggetto dell’opzione di sottoscrizione e la sua produzione causalmente ricondotta alla diluizione della partecipazione azionaria nella maggiore cifra capitalistica risultante dalle operazioni straordinarie. Il Tribunale ha rigettato tutte le richieste attoree, ritenendo, per un verso, che l’appartenenza del warrant alla categoria degli strumenti finanziari e la ritenuta natura aleatoria del contratto di opzione ad esso sotteso rendono inapplicabile la disciplina codicistica delle clausole vessatorie. Per altro verso, affermando che le operazioni di aumento del capitale e di fusione, deliberate in pendenza del termine concesso ai portatori di warrant per la sottoscrizione delle azioni, non integrano alcuna violazione degli obblighi di buona fede e correttezza. Nel mio commento, ho concentrato l’attenzione sulla prima fra le questioni trattate in sentenza, sia perché dallo stesso Giudicante considerata “centrale” ai fini della decisione della controversia, sia perché i temi della gratuità della causa e della corrispettività delle prestazioni – nella fattispecie controversa individuati quali elementi di selezione degli strumenti di tutela – sfuggivano ad una pacifica classificazione della dottrina civilistica e meritavano un tentativo ulteriore di approfondimento. Dopo un'analisi della fattispecie giuridica di diritto interno, arricchita da alcuni spunti di comparazione con la nozione di prestazione contrattuale di matrice tedesca, il lavoro tenta di confutare la tesi del Tribunale di Ivrea lasciando emergere un equivoco di fondo, che si ritiene abbia contribuito a generare la non condivisibile decisione giudiziale di considerare il contratto di sottoscrizione dei warrants escluso dall’applicazione del rimedio risolutorio in parola. Il Tribunale accoglie infatti una nozione estremamente restrittiva di patrimonio, implicitamente inteso come l’insieme dei valori economici incrementati o depauperati per effetto della conclusione dell’accordo. Onerosità e gratuità rappresentano invece classificazioni legate ad un’accezione lata di patrimonio, inteso quale complesso di tutti i beni e rapporti giuridici, attivi e passivi, facenti capo ad un determinato soggetto, ad eccezione dei diritti della personalità e di alcuni rapporti di diritto familiare fondati sul matrimonio e sulla parentela. Su di esso il contratto incide attraverso una definitiva Zuwendung della consistenza economico-giuridica, idonea cioè a produrre sia uno spostamento di ricchezza (Vermögensverschiebung), che un cambiamento nell’assetto delle situazioni giuridiche preesistenti (Recthsänderung). In mancanza di detti elementi, il carattere patrimoniale della prestazione si riduce ad un mero trasferimento di valori economici, ponendosi così in contrasto con la visione causalistica dell’onerosità, dalla quale discende la funzione remunerativa delle prestazioni contrattuali.

Warrants azionari e disciplina generale dei contratti: problemi in tema di risoluzione per inadempimento.

LATELLA, Dario
2007-01-01

Abstract

Si tratta di un'ampia nota di commento alla sentenza del Tribunale di Ivrea (1 settembre 2005, G.U. Marra) in tema di regime contrattuale dei buoni di acquisto, sottoscrizione o conversione di azioni (warrants). Un gruppo di investitori privati ha agito per: - la risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) dei contratti di opzione sottostanti ai buoni di sottoscrizione delle azioni emesse dalla società convenuta; - il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale, nonché da violazione delle norme in tema di clausole vessatorie (artt. 1469-bis ss., c.c.) e da lesione della buona fede e della correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.). In pendenza del termine concesso per l’esercizio del diritto di opzione, infatti, la società convenuta realizzava una serie di operazioni straordinarie (aumenti di capitale e fusioni), che avrebbero prodotto una modificazione unilaterale dell’originario assetto degli interessi economici sottesi ai warrants e cagionato il descritto danno economico. La quantificazione di questo è stata determinata nella diminuzione del valore di mercato delle azioni oggetto dell’opzione di sottoscrizione e la sua produzione causalmente ricondotta alla diluizione della partecipazione azionaria nella maggiore cifra capitalistica risultante dalle operazioni straordinarie. Il Tribunale ha rigettato tutte le richieste attoree, ritenendo, per un verso, che l’appartenenza del warrant alla categoria degli strumenti finanziari e la ritenuta natura aleatoria del contratto di opzione ad esso sotteso rendono inapplicabile la disciplina codicistica delle clausole vessatorie. Per altro verso, affermando che le operazioni di aumento del capitale e di fusione, deliberate in pendenza del termine concesso ai portatori di warrant per la sottoscrizione delle azioni, non integrano alcuna violazione degli obblighi di buona fede e correttezza. Nel mio commento, ho concentrato l’attenzione sulla prima fra le questioni trattate in sentenza, sia perché dallo stesso Giudicante considerata “centrale” ai fini della decisione della controversia, sia perché i temi della gratuità della causa e della corrispettività delle prestazioni – nella fattispecie controversa individuati quali elementi di selezione degli strumenti di tutela – sfuggivano ad una pacifica classificazione della dottrina civilistica e meritavano un tentativo ulteriore di approfondimento. Dopo un'analisi della fattispecie giuridica di diritto interno, arricchita da alcuni spunti di comparazione con la nozione di prestazione contrattuale di matrice tedesca, il lavoro tenta di confutare la tesi del Tribunale di Ivrea lasciando emergere un equivoco di fondo, che si ritiene abbia contribuito a generare la non condivisibile decisione giudiziale di considerare il contratto di sottoscrizione dei warrants escluso dall’applicazione del rimedio risolutorio in parola. Il Tribunale accoglie infatti una nozione estremamente restrittiva di patrimonio, implicitamente inteso come l’insieme dei valori economici incrementati o depauperati per effetto della conclusione dell’accordo. Onerosità e gratuità rappresentano invece classificazioni legate ad un’accezione lata di patrimonio, inteso quale complesso di tutti i beni e rapporti giuridici, attivi e passivi, facenti capo ad un determinato soggetto, ad eccezione dei diritti della personalità e di alcuni rapporti di diritto familiare fondati sul matrimonio e sulla parentela. Su di esso il contratto incide attraverso una definitiva Zuwendung della consistenza economico-giuridica, idonea cioè a produrre sia uno spostamento di ricchezza (Vermögensverschiebung), che un cambiamento nell’assetto delle situazioni giuridiche preesistenti (Recthsänderung). In mancanza di detti elementi, il carattere patrimoniale della prestazione si riduce ad un mero trasferimento di valori economici, ponendosi così in contrasto con la visione causalistica dell’onerosità, dalla quale discende la funzione remunerativa delle prestazioni contrattuali.
2007
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