Si commenta la sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014 nella quale, con un ripensamento rispetto ad orientamenti precedenti, è dichiarata l'illegittimità costituzionale dell’art. 32, c. 1, n 2), 2° per., D.P.R. n. 600 del 1973, limitatamente alle parole «o compensi» per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione. La presunzione riguardante i prelevamenti e gli importi riscossi che vengono considerati come compensi - salvo la possibilità di dare indicazione dell'effettivo beneficiario dell'operazione che li ha ad oggetto e sempreché non risultino dalle scritture contabili - viene ritenuta congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi, in vista di futuri ricavi, ma non con l'attività svolta dai lavoratori autonomi, che si caratterizza, invece, per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, portata fino all'estrema ipotesi della assenza, nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Gli eventuali prelevamenti vengono, inoltre, ad inserirsi in un sistema con prevalenza di una contabilità semplificata caratterizzato dalla fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali. La presunzione, dunque, lede il principio di ragionevolezza e quello di capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. L'Autrice manifesta apprezzamento per il ripensamento della Corte, nondimeno, rileva che l'operatività della presunzione in esame è viziata a priori, con riguardo alla struttura che si è scelto di attribuirvi, a prescindere dal volerla applicare all'imprenditore o al lavoratore autonomo. Essa, infatti, può portare a conseguenze paradossali, come la possibilità che, alla fine, le due voci della relazione presuntiva si annullino, aggirando, nella sostanza, quello che era lo scopo primario che la norma si poneva, vale a dire, interdire un comportamento evasivo. Il ragionamento effettuato dalla Corte Costituzionale per il lavoro autonomo è, peraltro, estensibile a molte piccole attività imprenditoriali. Appare, pertanto, ampiamente condivisibile la paventata possibilità che la presunzione predetta, così come è stata configurata, oltrepassi il limite dello iuris tantum, sconfinando, se non in una presunzione assoluta, certamente nella cosiddetta probatio diabolica.

Il giusto rèvirement della Corte Costituzionale: i prelievi dal conto corrente bancario di un lavoratore autonomo non costituiscono compensi non dichiarati

ACCORDINO, Patrizia
2015-01-01

Abstract

Si commenta la sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014 nella quale, con un ripensamento rispetto ad orientamenti precedenti, è dichiarata l'illegittimità costituzionale dell’art. 32, c. 1, n 2), 2° per., D.P.R. n. 600 del 1973, limitatamente alle parole «o compensi» per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione. La presunzione riguardante i prelevamenti e gli importi riscossi che vengono considerati come compensi - salvo la possibilità di dare indicazione dell'effettivo beneficiario dell'operazione che li ha ad oggetto e sempreché non risultino dalle scritture contabili - viene ritenuta congruente con il fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale, caratterizzato dalla necessità di continui investimenti in beni e servizi, in vista di futuri ricavi, ma non con l'attività svolta dai lavoratori autonomi, che si caratterizza, invece, per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo, portata fino all'estrema ipotesi della assenza, nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali. Gli eventuali prelevamenti vengono, inoltre, ad inserirsi in un sistema con prevalenza di una contabilità semplificata caratterizzato dalla fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali. La presunzione, dunque, lede il principio di ragionevolezza e quello di capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito. L'Autrice manifesta apprezzamento per il ripensamento della Corte, nondimeno, rileva che l'operatività della presunzione in esame è viziata a priori, con riguardo alla struttura che si è scelto di attribuirvi, a prescindere dal volerla applicare all'imprenditore o al lavoratore autonomo. Essa, infatti, può portare a conseguenze paradossali, come la possibilità che, alla fine, le due voci della relazione presuntiva si annullino, aggirando, nella sostanza, quello che era lo scopo primario che la norma si poneva, vale a dire, interdire un comportamento evasivo. Il ragionamento effettuato dalla Corte Costituzionale per il lavoro autonomo è, peraltro, estensibile a molte piccole attività imprenditoriali. Appare, pertanto, ampiamente condivisibile la paventata possibilità che la presunzione predetta, così come è stata configurata, oltrepassi il limite dello iuris tantum, sconfinando, se non in una presunzione assoluta, certamente nella cosiddetta probatio diabolica.
2015
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