La teoria darwiniana della selezione naturale ha indicato come più deboli quegli individui che, a causa delle manifestazioni fenotipiche del pool genetico in termini di sesso, stazza, forza, rango di dominanza, affrontano l’ambiente con meno possibilità di adattamento ottimale. La teoria dei “buoni geni”, che ha connotato la visione sociobiologica negli ultimi 50 anni della ricerca scientifica, ha confermato la corrispondenza tra vulnerabilità e carenze genetiche: è esposto alle “ferite” della vita chi non riceve dalla natura matrigna un corredo adeguato per poterle scansare. La revisione attualmente in corso di una visione eugenetica delle dinamiche sociali apre però spiragli a nuove interpretazioni: nelle società animali l’emergere delle special affiliative relationship, ovvero di “relazioni speciali” non condizionate dalla parentela e non finalizzate all’ottimizzazione della fitness attraverso l’accoppiamento sessuale, segna un punto di svolta nella connotazione di vulnerabilità etologica e soprattutto delle sue conseguenze all’interno delle reti sociali. Ciascuna specie, infatti, sembra aver sviluppato delle modalità innovative di perpetrare i riti sociali tradizionali (cure parentali, grooming, difesa del territorio, condivisione del cibo) in un’ottica affiliativa. Sarebbe questa capacità e- per osare un’espressione fortemente antropocentrica- questa scelta, a ridisegnare la forza della vulnerabilità. Molte delle dinamiche cooperative, infatti, avvengono soprattutto tra individui di rango inferiore, che in questo modo riescono a resistere alla dominanza del maschio alfa e ad appropriarsi, talvolta, di parte del suo bottino biologico di femmine in estro. Il debole percepisce la possibilità del vulnus biologico e vi ripara ricorrendo alla collaborazione. Secondo questa prospettiva sarebbe possibile interpretare anche le varie forme di governance, in un continuum ininterrotto che oscilla tra egalitarismo e dispotismo. La pressione dei più, sebbene meno forti, sui pochi ai vertici, ottiene un controllo serrato che riequilibra le disparità morfogenetiche.

Dalla vulnerabilità genetica a quella ecologica. Etologia della debolezza per una prospettiva biopolitica della collaborazione.

GIANNONE, SANTINA
2014-01-01

Abstract

La teoria darwiniana della selezione naturale ha indicato come più deboli quegli individui che, a causa delle manifestazioni fenotipiche del pool genetico in termini di sesso, stazza, forza, rango di dominanza, affrontano l’ambiente con meno possibilità di adattamento ottimale. La teoria dei “buoni geni”, che ha connotato la visione sociobiologica negli ultimi 50 anni della ricerca scientifica, ha confermato la corrispondenza tra vulnerabilità e carenze genetiche: è esposto alle “ferite” della vita chi non riceve dalla natura matrigna un corredo adeguato per poterle scansare. La revisione attualmente in corso di una visione eugenetica delle dinamiche sociali apre però spiragli a nuove interpretazioni: nelle società animali l’emergere delle special affiliative relationship, ovvero di “relazioni speciali” non condizionate dalla parentela e non finalizzate all’ottimizzazione della fitness attraverso l’accoppiamento sessuale, segna un punto di svolta nella connotazione di vulnerabilità etologica e soprattutto delle sue conseguenze all’interno delle reti sociali. Ciascuna specie, infatti, sembra aver sviluppato delle modalità innovative di perpetrare i riti sociali tradizionali (cure parentali, grooming, difesa del territorio, condivisione del cibo) in un’ottica affiliativa. Sarebbe questa capacità e- per osare un’espressione fortemente antropocentrica- questa scelta, a ridisegnare la forza della vulnerabilità. Molte delle dinamiche cooperative, infatti, avvengono soprattutto tra individui di rango inferiore, che in questo modo riescono a resistere alla dominanza del maschio alfa e ad appropriarsi, talvolta, di parte del suo bottino biologico di femmine in estro. Il debole percepisce la possibilità del vulnus biologico e vi ripara ricorrendo alla collaborazione. Secondo questa prospettiva sarebbe possibile interpretare anche le varie forme di governance, in un continuum ininterrotto che oscilla tra egalitarismo e dispotismo. La pressione dei più, sebbene meno forti, sui pochi ai vertici, ottiene un controllo serrato che riequilibra le disparità morfogenetiche.
2014
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