Richiamate le connesse (e reciprocamente interferenti) esperienze regionale e statale di revisione del livello intermedio di area vasta, non si può non prendere atto del persistente ed endemico disfacimento del sistema delle autonomie locali sia sul piano territoriale e comunitario che su quello più strettamente attinente alla governance. A fronte di tanto impellenti domande da tempo prepotentemente avanzate ormai ad ogni livello dalla cittadinanza, neppure lontanamente all’altezza si è purtroppo dimostrata la risposta corrispondentemente messa in campo, in termini di riscrittura de iure condito, sia dallo Stato che dalla stessa Regione siciliana. Da quest’ultimo punto di vista, l’insegnamento che può forse trarsi dall’esaminata esperienza sicula in parallelo con quella nazionale appare proficuo per un ripensamento de iure condendo tanto dell’orizzonte ristretto di una rivisitazione nazionale del menzionato livello di area vasta quanto di quello ampio intorno al senso della stessa autonomia regionale al tempo della crisi. Prendendo innanzitutto le mosse dalla prima prospettiva, ciò che preliminarmente si richiede non sembrerebbe tanto (o solo) un intervento innovativo sul testo costituzionale – come, sin qui, si è invece ritenuto di fare (magari nell’esclusiva prospettiva di un’immediata remunerazione elettorale) – quanto piuttosto uno di tipo conservativo-manutentivo sul piano della legislazione ordinaria. Il quale ultimo, in particolare, potrebbe ad esempio mirare ad un ricentramento di ciascun livello territoriale di governo intorno alle proprie comunità di riferimento, individuando quei bisogni istituzionali e territoriali di cui esse sono effettivamente espressive al fine del loro ottimale appagamento. Con riferimento, in secondo luogo, al senso medesimo dell’autonomia speciale oggi (e, forse, della stessa autonomia regionale ex art. 5 Cost. tout court considerata), l’originario e non risolto crampo metodico pare ancora quello di continuare a guardare all’autonomia quale oppositiva rivendicazione di poteri sempre di un inferiore verso un superiore, di qualunque natura quest’ultimo sia (del Comune nei confronti della Provincia o di un libero Consorzio siciliano, di questi rispetto alla Città metropolitana, di essa in opposizione alla Regione, di quest’ultima verso lo Stato, et coetera). Intanto, tuttavia, il senso dell’autonomia tout court può dirsi preservato ed autenticamente rigenerato ‒ e, come tale, realmente fedele all’indicazione di valore espressa dall’art. 5 Cost. ‒ in quanto anche (ma non certo esclusivamente…) nell’ambito del sistema locale essa intenda invece sé stessa, e come tale si esplichi, soprattutto quale servizio ai diritti fondamentali del cittadino. A tale scopo ‒ ed in attesa di un intervento di riscrittura costituzionale ‒ ben più che auspicabile sarebbe frattanto battere il sentiero, in parte già spianato dalla stessa giurisprudenza costituzionale in materia, dell’interpretazione costituzionale in relazione ai reciprocamente integrati principi di sussidiarietà e leale collaborazione tra livelli di governo. Ciò evidentemente al duplice obiettivo di un maggiore coinvolgimento delle autonomie locali sia a monte (sul piano istituzionale degli organi) che, particolarmente, a valle (su quello funzionale degli atti e delle risorse impiegabili). Forse solo a tali condizioni, in conclusione, potrà realisticamente sperarsi per il futuro di mirare: direttamente, ad un reale miglioramento della qualità dei servizi essenziali offerti dall’amministrazione locale alla cittadinanza; indirettamente (e, dunque, per il tramite di tali servizi) ad un maggiore appagamento della coppia assiologica fondamentale di cui ai basilari principi di libertà ed eguaglianza ‒ e, per ciò solo, della stessa dignità ‒ di cui ciascuna donna ed ogni uomo, prima ancora che in qualità di cittadini, sono innanzitutto portatori.

L’autonomia sbiadita. Contributo per una riforma degli enti di “area vasta” (a partire dall’esperienza regionale siciliana)

Agosta Stefano
2019-01-01

Abstract

Richiamate le connesse (e reciprocamente interferenti) esperienze regionale e statale di revisione del livello intermedio di area vasta, non si può non prendere atto del persistente ed endemico disfacimento del sistema delle autonomie locali sia sul piano territoriale e comunitario che su quello più strettamente attinente alla governance. A fronte di tanto impellenti domande da tempo prepotentemente avanzate ormai ad ogni livello dalla cittadinanza, neppure lontanamente all’altezza si è purtroppo dimostrata la risposta corrispondentemente messa in campo, in termini di riscrittura de iure condito, sia dallo Stato che dalla stessa Regione siciliana. Da quest’ultimo punto di vista, l’insegnamento che può forse trarsi dall’esaminata esperienza sicula in parallelo con quella nazionale appare proficuo per un ripensamento de iure condendo tanto dell’orizzonte ristretto di una rivisitazione nazionale del menzionato livello di area vasta quanto di quello ampio intorno al senso della stessa autonomia regionale al tempo della crisi. Prendendo innanzitutto le mosse dalla prima prospettiva, ciò che preliminarmente si richiede non sembrerebbe tanto (o solo) un intervento innovativo sul testo costituzionale – come, sin qui, si è invece ritenuto di fare (magari nell’esclusiva prospettiva di un’immediata remunerazione elettorale) – quanto piuttosto uno di tipo conservativo-manutentivo sul piano della legislazione ordinaria. Il quale ultimo, in particolare, potrebbe ad esempio mirare ad un ricentramento di ciascun livello territoriale di governo intorno alle proprie comunità di riferimento, individuando quei bisogni istituzionali e territoriali di cui esse sono effettivamente espressive al fine del loro ottimale appagamento. Con riferimento, in secondo luogo, al senso medesimo dell’autonomia speciale oggi (e, forse, della stessa autonomia regionale ex art. 5 Cost. tout court considerata), l’originario e non risolto crampo metodico pare ancora quello di continuare a guardare all’autonomia quale oppositiva rivendicazione di poteri sempre di un inferiore verso un superiore, di qualunque natura quest’ultimo sia (del Comune nei confronti della Provincia o di un libero Consorzio siciliano, di questi rispetto alla Città metropolitana, di essa in opposizione alla Regione, di quest’ultima verso lo Stato, et coetera). Intanto, tuttavia, il senso dell’autonomia tout court può dirsi preservato ed autenticamente rigenerato ‒ e, come tale, realmente fedele all’indicazione di valore espressa dall’art. 5 Cost. ‒ in quanto anche (ma non certo esclusivamente…) nell’ambito del sistema locale essa intenda invece sé stessa, e come tale si esplichi, soprattutto quale servizio ai diritti fondamentali del cittadino. A tale scopo ‒ ed in attesa di un intervento di riscrittura costituzionale ‒ ben più che auspicabile sarebbe frattanto battere il sentiero, in parte già spianato dalla stessa giurisprudenza costituzionale in materia, dell’interpretazione costituzionale in relazione ai reciprocamente integrati principi di sussidiarietà e leale collaborazione tra livelli di governo. Ciò evidentemente al duplice obiettivo di un maggiore coinvolgimento delle autonomie locali sia a monte (sul piano istituzionale degli organi) che, particolarmente, a valle (su quello funzionale degli atti e delle risorse impiegabili). Forse solo a tali condizioni, in conclusione, potrà realisticamente sperarsi per il futuro di mirare: direttamente, ad un reale miglioramento della qualità dei servizi essenziali offerti dall’amministrazione locale alla cittadinanza; indirettamente (e, dunque, per il tramite di tali servizi) ad un maggiore appagamento della coppia assiologica fondamentale di cui ai basilari principi di libertà ed eguaglianza ‒ e, per ciò solo, della stessa dignità ‒ di cui ciascuna donna ed ogni uomo, prima ancora che in qualità di cittadini, sono innanzitutto portatori.
2019
Diritto costituzionale regionale - Sezione Argomenti
9788892104075
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