Il fallimento delle riforme costituzionali del Titolo V della Costituzione del 2006 e del 2016 ha fatto sì che oggi il punto di partenza per lo sviluppo dei livelli di autonomia delle Regioni rimanga l’attuale Titolo V della Costituzione. Peraltro, la richiesta delle regioni ordinarie di potenziamento dell'autonomia, ai sensi dell'art. 116, c. 3 Cost. ,non è talvolta adeguata agli interessi generali delle comunità regionali e locali né è in coerenza con la Costituzione. In tale visione ancora confusa si inseriscono ulteriori problematiche sul destino delle Regioni speciali alle quali la Costituzione ha previsto per ragioni particolari una potestà legislativa in deroga al Titolo V della Costituzione e che invece potrebbero subire una diminuzione della propria autonomia rispetto alle Regioni “specializzande”. Infatti, da una parte, successivamente all’approvazione delle intese, non si prefigura nelle ultime bozze un limite di tempo o di verifica nei confronti delle regioni differenziate, per cui il processo di acquisizione di maggiore autonomia sembrerebbe irreversibile sia per lo Stato che per le Regioni; dall’altra, dopo la riforma del Titolo V, la revisione degli Statuti speciali si fa ancora attendere. L’ingresso delle competenze legislative esclusive residuali è stato filtrato, in base al criterio di ragionevolezza, dalla stessa giurisprudenza costituzionale attraverso il bilanciamento degli interessi coinvolti nelle singole questioni, con gravi perdite per l’autonomia regionale. I limiti delle materie si plasmano con molteplici interessi in un nodo gordiano da sciogliere, dal momento che, in qualche caso, la potestà ripartita o concorrente, a conti fatti, appare quasi più favorevole rispetto alla potestà residuale negativa o persino sovrapponibile. L’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 che, in realtà nella veste di clausola di maggior favore per le Regioni speciali penalizzate rispetto a quelle ordinarie, doveva avere vita breve «sino all’adeguamento» degli Statuti, da ben più di diciotto anni costituisce una norma tutt’altro che transitoria, ancora oggi applicata in nome dell’arricchimento di competenze e in assenza della revisione degli Statuti speciali necessario attendere le iniziative del nuovo Governo“giallo-verde” per la definizione delle modalità di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., unitamente ai necessari correttivi delle precedenti bozze sia sul piano processuale che sostanziale.Qualunque proposta di nuove forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni ordinarie dovrà comunque affrontare il problema cruciale delle modalità di attuazione della norma costituzionale per far sì che non sia escluso, sin dall’inizio, il coinvolgimento del Parlamento, in considerazione dell’impianto della nostra Carta costituzionale. Alcuni punti fermi da cui riprendere l’attuazione del regionalismo differenziato esposti dal Ministro Boccia comporteranno uno scontro politico tra maggioranza e opposizione e, di conseguenza, con i Presidenti delle Regioni, ma non esiste altra via d’uscita per una corretta applicazione dell’attuale art. 116 Cost. La sfera di competenza legislativa delle Regioni non può dedursi soltanto da un dato quantitativo, costituito dalle materie ad esse attribuite, a loro volta distinte per tipologia di potestà legislativa (piena o concorrente). Piuttosto, le dimensioni dell’autonomia legislativa delle Regioni si ricavano anche da un punto di vista qualitativo, cioè dal tipo di limiti applicabili. Muovendo da questa prospettiva, pertanto, risulta difficilmente comprensibile e giustificabile la giurisprudenza costituzionale che, ai fini dell’applicabilità della clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge cost. 3 del 2001 ha ritenuto che, al fine di valutare la maggiore o minore ampiezza delle forme di autonomia previste negli Statuti speciali, si debba guardare esclusivamente agli ambiti materiali e alla loro collocazione a questo o a quell’altro tipo di potestà legislativa, piuttosto che ai limiti derivanti dall’applicabilità del nuovo Titolo V o dello Statuto speciale. Tra novembre e dicembre 2017, sotto il Governo Gentiloni, sono stati avviati dei negoziati tra il Governo e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che, chiedendo l’attuazione dell’art. 116, co. 3, Cost., hanno promosso un processo di trasformazione dell’assetto istituzionale dell’ordinamento; nel febbraio 2018 tali Regioni hanno firmato i protocolli di intese con il Governo Le successive bozze d’intesa, tuttavia, firmate nel dicembre 2018, sono arrivate a comprendere ventitré materie per il Veneto, venti per le altre due Regioni e, nonostante le dichiarazioni confortanti del Presidente Conte e del Ministro per gli affari regionali Stefani, sono state percepite da autorevoli studiosi come potenziali minacce per la stessa unità dell’Italia, in violazione del principio fondamentale espresso nell’art. 5 della Costituzione italiana Numerosi aspetti delle richieste di ulteriori forme e condizioni di autonomia concordate con il precedente governo Conte apparivano oscuri dal momento che le bozze di intesa sarebbero state attuate in un secondo momento dalle Commissioni paritetiche Stato-Regioni e dai decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri e quindi sottratti ad una complessiva valutazione. Pertanto, gli interrogativi sulla sorte del regionalismo italiano (ma, in verità, dell’assetto della stessa forma di Stato) si sono fatti sempre più inquietanti e Ma pur ritenendo che il proseguimento del dialogo con le tre Regioni ordinarie al fine di realizzare il regionalismo differenziato possa contribuire a superare alcuni aspetti di crisi sia politiche che economiche del nostro Paese, è necessario sottolineare che l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, non può essere fatta che nel rispetto dei principi fondamentali di unità e indivisibilità della Repubblica, per cui lo stesso “valore del tempo ragionevole” per accogliere le istanze delle Regioni più competitive pronte ad ampliare la propria autonomia, in considerazione delle buone performance nella gestione del territorio, deve essere bilanciato con la possibilità di approvare una legge quadro e di determinare i livelli essenziali delle prestazioni al fine di porre le basi per superare le disuguaglianze nelle Regioni più svantaggiate sia del Sud che del Nord in considerazione dell’agenda politica del neo Governo Conte bis è auspicabile che l’accrescimento dell’autonomia regionale possa essere congegnato con un meccanismo realmente trainante per le Regioni più deboli e, soprattutto, in armonia con i principi fondamentali della Costituzione, quali la coesione e la solidarietà sociale, principali fini della politica di investimento dell’Unione europea Il programma del Governo Conte-bis, pur essendo favorevole al regionalismo differenziato, sembra prendere le distanze da quella soluzione e prevede misure di sostegno a favore delle Regioni del Sud. Tuttavia, il percorso alternativo, al fine di promuovere l’autonomia. dei territori, non può esclusivamente affidarsi alla precedente razionalizzazione della giurisprudenza costituzionale per un corretto riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, poiché nella stessa ci sono state alcune “anomalie” dovute ai vuoti e agli elenchi tortuosi di materie maldestramente formulate nel 2001. Nonostante il nuovo Governo sembri aver manifestato l’intenzione di voler meglio ponderare la procedura di attuazione del regionalismo differenziato, è ancora utile riflettere sull’estensione degli stessi limiti cui vanno incontro le potestà legislative delle regioni che completeranno l’iter dell’art. 116, terzo comma, Cost. Come è stato autorevolmente evidenziato, solo dopo dopo l’approvazione della legge sui livelli essenziali di prestazione, le Regioni possono, senza dubbio, ottenere un ampliamento di autonomia in specifiche discipline al fine di adeguare la loro competenza legislativa alle esigenze che provengono dai territori, senza disattendere quanto previsto dal principio fondamentale di cui all’art. 5 Cost L’art. 116, terzo comma, Cost., tenuto in ombra per diciotto anni, dovrebbe consentire la costruzione di un modello di regionalismo differenziato che finalmente valorizzi l’autonomia regionale e «comporti una maggiore responsabilità da parte di tutti i soggetti politici della Repubblica» al fine di consentire un processo evolutivo di crescita per le Regioni del Nord, senza trascurare la solidarietà e l’interazione con le Regioni del Sud. Il superamento delle precarie condizioni economiche di queste ultime rimane, infatti, un obiettivo fondamentale, da raggiungersi attraverso la promozione di un progresso culturale, il superamento della situazione di disagio socio-economico, il rispetto del principio di solidarietà dei territori, il cui mancato riconoscimento impedisce l’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione; e ciò, nonostante le azioni positive di numerose Regioni a favore dei diritti dei cittadin Pertanto, la stessa differenziazione sull’intensità dei limiti modulata in coerenza con l’unità del sistema potrebbe essere vista come uno strumento di dialogo costruttivo con lo Stato alla luce delle specificità dei territori al fine di lasciare alle spalle un regionalismo uniforme ormai definitivamente in declino.

Quali "forme e condizioni particolari di autonomia"? I limiti della potestà legislativa regionale tra specialità e differenziazione,

Quattrocchi
2020-01-01

Abstract

Il fallimento delle riforme costituzionali del Titolo V della Costituzione del 2006 e del 2016 ha fatto sì che oggi il punto di partenza per lo sviluppo dei livelli di autonomia delle Regioni rimanga l’attuale Titolo V della Costituzione. Peraltro, la richiesta delle regioni ordinarie di potenziamento dell'autonomia, ai sensi dell'art. 116, c. 3 Cost. ,non è talvolta adeguata agli interessi generali delle comunità regionali e locali né è in coerenza con la Costituzione. In tale visione ancora confusa si inseriscono ulteriori problematiche sul destino delle Regioni speciali alle quali la Costituzione ha previsto per ragioni particolari una potestà legislativa in deroga al Titolo V della Costituzione e che invece potrebbero subire una diminuzione della propria autonomia rispetto alle Regioni “specializzande”. Infatti, da una parte, successivamente all’approvazione delle intese, non si prefigura nelle ultime bozze un limite di tempo o di verifica nei confronti delle regioni differenziate, per cui il processo di acquisizione di maggiore autonomia sembrerebbe irreversibile sia per lo Stato che per le Regioni; dall’altra, dopo la riforma del Titolo V, la revisione degli Statuti speciali si fa ancora attendere. L’ingresso delle competenze legislative esclusive residuali è stato filtrato, in base al criterio di ragionevolezza, dalla stessa giurisprudenza costituzionale attraverso il bilanciamento degli interessi coinvolti nelle singole questioni, con gravi perdite per l’autonomia regionale. I limiti delle materie si plasmano con molteplici interessi in un nodo gordiano da sciogliere, dal momento che, in qualche caso, la potestà ripartita o concorrente, a conti fatti, appare quasi più favorevole rispetto alla potestà residuale negativa o persino sovrapponibile. L’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001 che, in realtà nella veste di clausola di maggior favore per le Regioni speciali penalizzate rispetto a quelle ordinarie, doveva avere vita breve «sino all’adeguamento» degli Statuti, da ben più di diciotto anni costituisce una norma tutt’altro che transitoria, ancora oggi applicata in nome dell’arricchimento di competenze e in assenza della revisione degli Statuti speciali necessario attendere le iniziative del nuovo Governo“giallo-verde” per la definizione delle modalità di attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost., unitamente ai necessari correttivi delle precedenti bozze sia sul piano processuale che sostanziale.Qualunque proposta di nuove forme e condizioni particolari di autonomia per le Regioni ordinarie dovrà comunque affrontare il problema cruciale delle modalità di attuazione della norma costituzionale per far sì che non sia escluso, sin dall’inizio, il coinvolgimento del Parlamento, in considerazione dell’impianto della nostra Carta costituzionale. Alcuni punti fermi da cui riprendere l’attuazione del regionalismo differenziato esposti dal Ministro Boccia comporteranno uno scontro politico tra maggioranza e opposizione e, di conseguenza, con i Presidenti delle Regioni, ma non esiste altra via d’uscita per una corretta applicazione dell’attuale art. 116 Cost. La sfera di competenza legislativa delle Regioni non può dedursi soltanto da un dato quantitativo, costituito dalle materie ad esse attribuite, a loro volta distinte per tipologia di potestà legislativa (piena o concorrente). Piuttosto, le dimensioni dell’autonomia legislativa delle Regioni si ricavano anche da un punto di vista qualitativo, cioè dal tipo di limiti applicabili. Muovendo da questa prospettiva, pertanto, risulta difficilmente comprensibile e giustificabile la giurisprudenza costituzionale che, ai fini dell’applicabilità della clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge cost. 3 del 2001 ha ritenuto che, al fine di valutare la maggiore o minore ampiezza delle forme di autonomia previste negli Statuti speciali, si debba guardare esclusivamente agli ambiti materiali e alla loro collocazione a questo o a quell’altro tipo di potestà legislativa, piuttosto che ai limiti derivanti dall’applicabilità del nuovo Titolo V o dello Statuto speciale. Tra novembre e dicembre 2017, sotto il Governo Gentiloni, sono stati avviati dei negoziati tra il Governo e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna che, chiedendo l’attuazione dell’art. 116, co. 3, Cost., hanno promosso un processo di trasformazione dell’assetto istituzionale dell’ordinamento; nel febbraio 2018 tali Regioni hanno firmato i protocolli di intese con il Governo Le successive bozze d’intesa, tuttavia, firmate nel dicembre 2018, sono arrivate a comprendere ventitré materie per il Veneto, venti per le altre due Regioni e, nonostante le dichiarazioni confortanti del Presidente Conte e del Ministro per gli affari regionali Stefani, sono state percepite da autorevoli studiosi come potenziali minacce per la stessa unità dell’Italia, in violazione del principio fondamentale espresso nell’art. 5 della Costituzione italiana Numerosi aspetti delle richieste di ulteriori forme e condizioni di autonomia concordate con il precedente governo Conte apparivano oscuri dal momento che le bozze di intesa sarebbero state attuate in un secondo momento dalle Commissioni paritetiche Stato-Regioni e dai decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri e quindi sottratti ad una complessiva valutazione. Pertanto, gli interrogativi sulla sorte del regionalismo italiano (ma, in verità, dell’assetto della stessa forma di Stato) si sono fatti sempre più inquietanti e Ma pur ritenendo che il proseguimento del dialogo con le tre Regioni ordinarie al fine di realizzare il regionalismo differenziato possa contribuire a superare alcuni aspetti di crisi sia politiche che economiche del nostro Paese, è necessario sottolineare che l’attuazione dell’art. 116, terzo comma, non può essere fatta che nel rispetto dei principi fondamentali di unità e indivisibilità della Repubblica, per cui lo stesso “valore del tempo ragionevole” per accogliere le istanze delle Regioni più competitive pronte ad ampliare la propria autonomia, in considerazione delle buone performance nella gestione del territorio, deve essere bilanciato con la possibilità di approvare una legge quadro e di determinare i livelli essenziali delle prestazioni al fine di porre le basi per superare le disuguaglianze nelle Regioni più svantaggiate sia del Sud che del Nord in considerazione dell’agenda politica del neo Governo Conte bis è auspicabile che l’accrescimento dell’autonomia regionale possa essere congegnato con un meccanismo realmente trainante per le Regioni più deboli e, soprattutto, in armonia con i principi fondamentali della Costituzione, quali la coesione e la solidarietà sociale, principali fini della politica di investimento dell’Unione europea Il programma del Governo Conte-bis, pur essendo favorevole al regionalismo differenziato, sembra prendere le distanze da quella soluzione e prevede misure di sostegno a favore delle Regioni del Sud. Tuttavia, il percorso alternativo, al fine di promuovere l’autonomia. dei territori, non può esclusivamente affidarsi alla precedente razionalizzazione della giurisprudenza costituzionale per un corretto riparto di competenze tra lo Stato e le Regioni, poiché nella stessa ci sono state alcune “anomalie” dovute ai vuoti e agli elenchi tortuosi di materie maldestramente formulate nel 2001. Nonostante il nuovo Governo sembri aver manifestato l’intenzione di voler meglio ponderare la procedura di attuazione del regionalismo differenziato, è ancora utile riflettere sull’estensione degli stessi limiti cui vanno incontro le potestà legislative delle regioni che completeranno l’iter dell’art. 116, terzo comma, Cost. Come è stato autorevolmente evidenziato, solo dopo dopo l’approvazione della legge sui livelli essenziali di prestazione, le Regioni possono, senza dubbio, ottenere un ampliamento di autonomia in specifiche discipline al fine di adeguare la loro competenza legislativa alle esigenze che provengono dai territori, senza disattendere quanto previsto dal principio fondamentale di cui all’art. 5 Cost L’art. 116, terzo comma, Cost., tenuto in ombra per diciotto anni, dovrebbe consentire la costruzione di un modello di regionalismo differenziato che finalmente valorizzi l’autonomia regionale e «comporti una maggiore responsabilità da parte di tutti i soggetti politici della Repubblica» al fine di consentire un processo evolutivo di crescita per le Regioni del Nord, senza trascurare la solidarietà e l’interazione con le Regioni del Sud. Il superamento delle precarie condizioni economiche di queste ultime rimane, infatti, un obiettivo fondamentale, da raggiungersi attraverso la promozione di un progresso culturale, il superamento della situazione di disagio socio-economico, il rispetto del principio di solidarietà dei territori, il cui mancato riconoscimento impedisce l’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione; e ciò, nonostante le azioni positive di numerose Regioni a favore dei diritti dei cittadin Pertanto, la stessa differenziazione sull’intensità dei limiti modulata in coerenza con l’unità del sistema potrebbe essere vista come uno strumento di dialogo costruttivo con lo Stato alla luce delle specificità dei territori al fine di lasciare alle spalle un regionalismo uniforme ormai definitivamente in declino.
2020
9788875901554
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