Se il robot diventerà in un futuro prossimo sempre più autonomo ed efficiente, non dovremo mai dimenticare che intelligenza, coscienza, libertà sono componenti fondamentali dell’identità umana ed elementi fondamentali per elaborare un sistema di valori. Questo non significa porre degli ostacoli alla ricerca, ma ri-orientarla in una prospettiva etica che non sia sostitutiva dell’umano, “anti-umana” o “post-umana”, ma di cooperazione e collaborazione. Una prospettiva che è possibile aprire quando il progresso tecnologico procede nell’accogliere la fragilità, la vulnerabilità e la novità del nostro essere “sub specie nativitatis” -i social robot spesso si rivolgono ad esseri umani resi ancor più fragili da malattie e dall’invecchiamento per dar sostegno e perché ogni vita sia sempre degna dell’inizio-, liberando il nostro infinito desiderio di trascendimento del dato e del consolidato. Ovvero una prospettiva che metta assieme i desideri di trascendimento della nostra condizione umana e le potenzialità della ricerca senza dimenticare le problematiche che la tecnologia pone, specie se incide sulla nostra libertà, sulla nostra sicurezza e se rivela la nostra (in)capacità di costruirci vite sensate.Affrontare con coraggio e sapienza le nuove sfide che la robotica pone, richiede che tutti i soggetti coinvolti si pongano sin dall’inizio nella prospettiva di un’etica per la roboetica. E questo è possibile quando le trasformazioni tecnologiche sono poste all’interno di una più ampia domanda sul senso e sulla bontà della vita e solo quando questa domanda riesce a dar vita ad una virtuosa pratica relazionale fra programmatori e ingegneri insieme a filosofi, politici, medici, cittadini, una pratica che ci educhi a stare nella complessità del nostro tempo senza immotivate paure e chiusure preconcette. Si possono, infatti, tutti insieme a partire dal proprio ruolo, dalla propria specificità e dagli studi sulla robotica promuovere visioni presenti e future che abbiano a cuore la tutela del “mondo della vita” nella sua complessità, se è vero che costruire macchine autonome ed efficienti in grado di relazionarsi con gli uomini non significa negare l’umanità né trascurare il nostro habitat (si pensi all’impatto devastante che i robot avranno nell’ambiente quando dovranno essere dismessi). È possibile stringere una alleanza fra diverse figure professionali a partire da una condivisa responsabilità per l’essere umano e l’intero ecosistema e da una prospettiva etica volta a tutelare la finitezza e la vulnerabilità propri di tutti gli esseri umani dentro il pianeta terra.

Per un'etica della roboetica

G. Costanzo
2020-01-01

Abstract

Se il robot diventerà in un futuro prossimo sempre più autonomo ed efficiente, non dovremo mai dimenticare che intelligenza, coscienza, libertà sono componenti fondamentali dell’identità umana ed elementi fondamentali per elaborare un sistema di valori. Questo non significa porre degli ostacoli alla ricerca, ma ri-orientarla in una prospettiva etica che non sia sostitutiva dell’umano, “anti-umana” o “post-umana”, ma di cooperazione e collaborazione. Una prospettiva che è possibile aprire quando il progresso tecnologico procede nell’accogliere la fragilità, la vulnerabilità e la novità del nostro essere “sub specie nativitatis” -i social robot spesso si rivolgono ad esseri umani resi ancor più fragili da malattie e dall’invecchiamento per dar sostegno e perché ogni vita sia sempre degna dell’inizio-, liberando il nostro infinito desiderio di trascendimento del dato e del consolidato. Ovvero una prospettiva che metta assieme i desideri di trascendimento della nostra condizione umana e le potenzialità della ricerca senza dimenticare le problematiche che la tecnologia pone, specie se incide sulla nostra libertà, sulla nostra sicurezza e se rivela la nostra (in)capacità di costruirci vite sensate.Affrontare con coraggio e sapienza le nuove sfide che la robotica pone, richiede che tutti i soggetti coinvolti si pongano sin dall’inizio nella prospettiva di un’etica per la roboetica. E questo è possibile quando le trasformazioni tecnologiche sono poste all’interno di una più ampia domanda sul senso e sulla bontà della vita e solo quando questa domanda riesce a dar vita ad una virtuosa pratica relazionale fra programmatori e ingegneri insieme a filosofi, politici, medici, cittadini, una pratica che ci educhi a stare nella complessità del nostro tempo senza immotivate paure e chiusure preconcette. Si possono, infatti, tutti insieme a partire dal proprio ruolo, dalla propria specificità e dagli studi sulla robotica promuovere visioni presenti e future che abbiano a cuore la tutela del “mondo della vita” nella sua complessità, se è vero che costruire macchine autonome ed efficienti in grado di relazionarsi con gli uomini non significa negare l’umanità né trascurare il nostro habitat (si pensi all’impatto devastante che i robot avranno nell’ambiente quando dovranno essere dismessi). È possibile stringere una alleanza fra diverse figure professionali a partire da una condivisa responsabilità per l’essere umano e l’intero ecosistema e da una prospettiva etica volta a tutelare la finitezza e la vulnerabilità propri di tutti gli esseri umani dentro il pianeta terra.
2020
978-88-9314-247-2
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