Questo saggio ha lo scopo di contestualizzare alcuni spunti gramsciani sul valore epistemologico del mito politico e sulla sua legittima collocazione anche all'interno del materialismo storico dialettico, contribuendo alla destrutturazione del pregiudizio che vuole il mito politico completamente estraneo alla sinistra rivoluzionaria in quanto legato alla struttura mentale ed alle modalità di comportamenti della destra reazionaria e conservatrice. In effetti, quando il termine “mito” si accosta al termine “scienza”, il pensiero corre immediatamente alla polemica fra razionalismo ed irrazionalismo che ha caratterizzato i primi decenni del secolo appena trascorso, provocando una profonda crisi, non solo nella sfera teoretica ma anche in quella pratica, sociale e politica. Utilizzando in particolare alcuni passi dei Quaderni del carcere, in cui, partendo da alcune suggestioni relative al Principe di Machiavelli, il saggio perviene all’individuazione di quell’elemento “esistenziale”che, superando senza contraddire la scienza politica, si presenta come essenziale allo scopo di suscitare e organizzare la volontà collettiva di un popolo. Tale elemento consiste proprio nella capacità di rappresentare plasticamente ed antropomorficamente l’elemento dottrinale, come avviene con il Principe di Machiavelli, vera e propria rappresentazione simbolica della volontà collettiva. Di questa lettura gramsciana del rapporto tra mito e scienza politica, vengono analizzati in particolare i seguenti punti: 1)La funzione “mitica” del Principe di Machiavelli; 2) Il mito come a)"creazione di fantasia concreta" produttiva di effettualità storica (nel caso specifico la "volontà collettiva" di un popolo "disperso e polverizzato"); b) fusione di ideologia politica e scienza politica; 3) Il principe-mito quale "simbolo della volontà collettiva" nella sua rappresentazione plastica e antropomorfica; 4) la "volontà collettiva" come "mito"ed il mito come strumento di analisi sociopolitica.
Mito e scienza politica nei quaderni di Antonio Gramsci
MAZZU', Domenica
2004-01-01
Abstract
Questo saggio ha lo scopo di contestualizzare alcuni spunti gramsciani sul valore epistemologico del mito politico e sulla sua legittima collocazione anche all'interno del materialismo storico dialettico, contribuendo alla destrutturazione del pregiudizio che vuole il mito politico completamente estraneo alla sinistra rivoluzionaria in quanto legato alla struttura mentale ed alle modalità di comportamenti della destra reazionaria e conservatrice. In effetti, quando il termine “mito” si accosta al termine “scienza”, il pensiero corre immediatamente alla polemica fra razionalismo ed irrazionalismo che ha caratterizzato i primi decenni del secolo appena trascorso, provocando una profonda crisi, non solo nella sfera teoretica ma anche in quella pratica, sociale e politica. Utilizzando in particolare alcuni passi dei Quaderni del carcere, in cui, partendo da alcune suggestioni relative al Principe di Machiavelli, il saggio perviene all’individuazione di quell’elemento “esistenziale”che, superando senza contraddire la scienza politica, si presenta come essenziale allo scopo di suscitare e organizzare la volontà collettiva di un popolo. Tale elemento consiste proprio nella capacità di rappresentare plasticamente ed antropomorficamente l’elemento dottrinale, come avviene con il Principe di Machiavelli, vera e propria rappresentazione simbolica della volontà collettiva. Di questa lettura gramsciana del rapporto tra mito e scienza politica, vengono analizzati in particolare i seguenti punti: 1)La funzione “mitica” del Principe di Machiavelli; 2) Il mito come a)"creazione di fantasia concreta" produttiva di effettualità storica (nel caso specifico la "volontà collettiva" di un popolo "disperso e polverizzato"); b) fusione di ideologia politica e scienza politica; 3) Il principe-mito quale "simbolo della volontà collettiva" nella sua rappresentazione plastica e antropomorfica; 4) la "volontà collettiva" come "mito"ed il mito come strumento di analisi sociopolitica.Pubblicazioni consigliate
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