In questo saggio viene ricostruita, sulla base di nuove fonti, una parte poco nota della molteplice attività di Luigi Sturzo; insieme a un aspetto, finora poco studiato della Messina pre e post terremoto. Il presupposto ermeneutico di questo lavoro parte dal giudizio di numerosi storici, diffuso in anni ancora recenti, secondo cui il grande terremoto calabro-siculo del 1908 (il più grande nella millenaria storia d’Europa, va ricordato) compare assai poco o non compare affatto nel lungo dibattito meridionalistico. Il giudizio è sostanzialmente fondato, e in questo saggio se ne ritrovano i motivi principali: Gaetano Salvemini, il meridionalista principe di quel periodo, nel sisma perse tutta la famiglia e da allora in poi fu afflitto, possiamo dire, dalla sindrome del “superstite”. Il superstite deve rimuovere, deve dimenticare, per “non perdere la ragione” come egli stesso ebbe a scrivere. Perciò, nel dibattito sulla ricostruzione, non troviamo nemmeno una parola del grande meridionalista; anzi negli anni Venti, quando si pose il problema della rinascita dell’Università di Messina, Salvemini che lì aveva insegnato – e mosso forse da una sorta di “revanche” nel più profondo del subconscio – espresse parere contrario, a favore di Bari nella sua regione natia. Per l’operato di Sturzo invece il problema è più complesso, e forse va inscritto in quella sorta di “buco nero” che il terremoto ha rappresentato nella storia di Messina; un enorme buco nero che tutto ha inghiottito, vite umane, affetti, strutture materiali, la memoria persino. Sturzo, infatti, nella sua lunga e febbrile attività, più volte si è occupato della ricostruzione di Messina (inserendola nella problematica più generale dei “disastri” nel Mezzogiorno, come il terremoto di Avezzano) sia come autorevole esponente dell’Associazione Nazionale dei Comuni, sia come leader politico negli anni Venti, sia come pubblicista assai colto nella seconda metà degli anni Quaranta. Tuttavia la grande difficoltà di padroneggiare le molteplici fonti che riguardano il prete siciliano (disperse in buona parte a causa del lungo esilio) ha finora impedito un’adeguata messa a fuoco del ruolo del terremoto di Messina nella sua azione e nel suo pensiero meridionalista. Il reperimento ex novo di alcune fonti – tra cui spicca una piccola rivista che don Sturzo promosse tra la fine della prima guerra mondiale e gli anni prima dell’avvento del fascismo; della quale l’Autore ha rinvenuto una collezione completa a Firenze – ha consentito un approccio si può dire esaustivo al problema, con la pubblicazione anche di scritti inediti di don Sturzo. Il suo approccio fu perfettamente in linea con il suo pensiero meridionalista, che vedeva nella inadeguatezza del sistema giolittiano il tallone d’Achille per il decollo del Mezzogiorno, ivi compresa la rinascita di Messina e di Reggio Calabria. Al contrario, il prete calatino seppe suscitare le forze e la classe dirigente, anche messinese, in grado di affrontare adeguatamente questi problemi, specie negli anni del primo dopoguerra, quando il Partito Popolare seppe esprimere una classe dirigente nazionale (come i ministri Giuseppe Micheli – ai Lavori Pubblici - , Angelo Mauri, Filippo Meda) in grado di creare sinergie con la classe dirigente locale. Ma questa prima fioritura venne stroncata dal cupo avvento del fascismo. L’originalità e la validità di questo saggio è stata riconosciuta anche dalle presentazioni che si sono fatte in varie parti d’Italia, compresa Roma.

Luigi Sturzo e Messina. Terremoto, giolittismo, meridionalismo

SINDONI, Angelo
2009-01-01

Abstract

In questo saggio viene ricostruita, sulla base di nuove fonti, una parte poco nota della molteplice attività di Luigi Sturzo; insieme a un aspetto, finora poco studiato della Messina pre e post terremoto. Il presupposto ermeneutico di questo lavoro parte dal giudizio di numerosi storici, diffuso in anni ancora recenti, secondo cui il grande terremoto calabro-siculo del 1908 (il più grande nella millenaria storia d’Europa, va ricordato) compare assai poco o non compare affatto nel lungo dibattito meridionalistico. Il giudizio è sostanzialmente fondato, e in questo saggio se ne ritrovano i motivi principali: Gaetano Salvemini, il meridionalista principe di quel periodo, nel sisma perse tutta la famiglia e da allora in poi fu afflitto, possiamo dire, dalla sindrome del “superstite”. Il superstite deve rimuovere, deve dimenticare, per “non perdere la ragione” come egli stesso ebbe a scrivere. Perciò, nel dibattito sulla ricostruzione, non troviamo nemmeno una parola del grande meridionalista; anzi negli anni Venti, quando si pose il problema della rinascita dell’Università di Messina, Salvemini che lì aveva insegnato – e mosso forse da una sorta di “revanche” nel più profondo del subconscio – espresse parere contrario, a favore di Bari nella sua regione natia. Per l’operato di Sturzo invece il problema è più complesso, e forse va inscritto in quella sorta di “buco nero” che il terremoto ha rappresentato nella storia di Messina; un enorme buco nero che tutto ha inghiottito, vite umane, affetti, strutture materiali, la memoria persino. Sturzo, infatti, nella sua lunga e febbrile attività, più volte si è occupato della ricostruzione di Messina (inserendola nella problematica più generale dei “disastri” nel Mezzogiorno, come il terremoto di Avezzano) sia come autorevole esponente dell’Associazione Nazionale dei Comuni, sia come leader politico negli anni Venti, sia come pubblicista assai colto nella seconda metà degli anni Quaranta. Tuttavia la grande difficoltà di padroneggiare le molteplici fonti che riguardano il prete siciliano (disperse in buona parte a causa del lungo esilio) ha finora impedito un’adeguata messa a fuoco del ruolo del terremoto di Messina nella sua azione e nel suo pensiero meridionalista. Il reperimento ex novo di alcune fonti – tra cui spicca una piccola rivista che don Sturzo promosse tra la fine della prima guerra mondiale e gli anni prima dell’avvento del fascismo; della quale l’Autore ha rinvenuto una collezione completa a Firenze – ha consentito un approccio si può dire esaustivo al problema, con la pubblicazione anche di scritti inediti di don Sturzo. Il suo approccio fu perfettamente in linea con il suo pensiero meridionalista, che vedeva nella inadeguatezza del sistema giolittiano il tallone d’Achille per il decollo del Mezzogiorno, ivi compresa la rinascita di Messina e di Reggio Calabria. Al contrario, il prete calatino seppe suscitare le forze e la classe dirigente, anche messinese, in grado di affrontare adeguatamente questi problemi, specie negli anni del primo dopoguerra, quando il Partito Popolare seppe esprimere una classe dirigente nazionale (come i ministri Giuseppe Micheli – ai Lavori Pubblici - , Angelo Mauri, Filippo Meda) in grado di creare sinergie con la classe dirigente locale. Ma questa prima fioritura venne stroncata dal cupo avvento del fascismo. L’originalità e la validità di questo saggio è stata riconosciuta anche dalle presentazioni che si sono fatte in varie parti d’Italia, compresa Roma.
2009
9788838240515
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