La centralità assunta, nella cultura giuridica degli anni 80, dalle problematiche inerenti alla condizione minorile e ai diritti del fanciullo all’interno della famiglia e nei rapporti con i terzi e la consapevolezza, da parte di una pluralità di Stati, europei e non, della necessità di una armonizzazione delle regole - per portare a compimento quel processo di giuridificazione degli interessi dei minori, attraverso la loro traduzione in veri e propri diritti soggettivi, pur caratterizzati da diversificate modalità di esercizio, che solo consente di predisporre nuove tecniche di tutela - hanno indotto gli Stati medesimi ad una stretta cooperazione : ne sono significativa testimonianza – per la nostra indagine - la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11. 1989 ( ratificata in Italia con l.n.176/1991), la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29.5.1993 (ratificata in Italia con l.n.476/1998 ), la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25.1.1996 (ratificata in Italia con l.n.77/2003). La Convenzione de L’Aja ha fatto propri i principi della Convenzione di New York e per la loro concreta attuazione ha predisposto una serie di regole atte a garantirla, dando luogo ad una forma di protezione ”a cascata” : il titolo III (come modificato dalla l. n.476/1998 recante ratifica ed esecuzione della Convenzione de L’Aja) della l. n.184/1983 (come modificata dalla l.n.149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”) che disciplina l’istituto dell’adozione internazionale, cioè di un minore straniero residente in un paese diverso da quello degli adottanti, rappresenta la risposta del sistema giuridico italiano, che nell’apparato normativo degli artt.29/43 non soltanto ha trasfuso questi principi ma ne ha predisposto gli strumenti di attuazione. Ma un rilievo, ai fini ricostruttivi, è apparso essenziale: la collocazione del titolo III (Dell’adozione internazionale) nell’alveo della l. n.184/1983 ( come modificata dalla l.n.149/2001) impone una sua interpretazione sistematica alla luce della quale la contiguità formale con la disciplina dell’adozione di minori italiani non può non risolversi in una contiguità sostanziale, rilevante sotto il profilo assiologico .I due istituti sono dominati dai medesimi principi e perseguono una identica ratio: tra i primi assume assoluta priorità il superiore interesse del minore, titolare, al pari di qualsiasi soggetto, delle situazioni esistenziali garantite dall’art.2 Cost. ; la identità di ratio è resa evidente dalla equiparazione tra minore italiano e minore straniero, nei cui confronti allo stesso modo deve valere il principio secondo il quale egli ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia e soltanto in via sussidiaria, se essa non è in via definitiva in grado di assolvere i suoi compiti nel pieno rispetto della dignità della persona minore, in un nucleo familiare diverso ma adeguato alla sua crescita. Tale diritto è affermato sia nel titolo della l.n.184/983, come sostituito dalla disposizione di apertura della l. n.149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”, sia nell’ art.1, 1° e 5° co. c.c., collocato nel titolo I rubricato “Principi generali”: il 1°co. attribuisce valore precettivo alla proclamazione del diritto del minore alla propria famiglia, rafforzando la considerazione rimediale e residuale dell’adozione, mentre il 5°co. si pone da un verso come norma di chiusura del microsistema adozionale con la affermazione del principio di eguaglianza tra minori ai fini della realizzazione del diritto ad una famiglia e dall’altro verso come norma di collegamento indispensabile con la adozione di minori stranieri poiché i fattori di discriminazione - sesso etnia età lingua religione identità culturale - che il principio tende a rimuovere riguardano, con esclusione dell’età e del sesso, l’adozione internazionale.
Artt. 29-43 l. 4 maggio 1983, n. 184
PETRONE, Marina
2010-01-01
Abstract
La centralità assunta, nella cultura giuridica degli anni 80, dalle problematiche inerenti alla condizione minorile e ai diritti del fanciullo all’interno della famiglia e nei rapporti con i terzi e la consapevolezza, da parte di una pluralità di Stati, europei e non, della necessità di una armonizzazione delle regole - per portare a compimento quel processo di giuridificazione degli interessi dei minori, attraverso la loro traduzione in veri e propri diritti soggettivi, pur caratterizzati da diversificate modalità di esercizio, che solo consente di predisporre nuove tecniche di tutela - hanno indotto gli Stati medesimi ad una stretta cooperazione : ne sono significativa testimonianza – per la nostra indagine - la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11. 1989 ( ratificata in Italia con l.n.176/1991), la Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a l’Aja il 29.5.1993 (ratificata in Italia con l.n.476/1998 ), la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata a Strasburgo il 25.1.1996 (ratificata in Italia con l.n.77/2003). La Convenzione de L’Aja ha fatto propri i principi della Convenzione di New York e per la loro concreta attuazione ha predisposto una serie di regole atte a garantirla, dando luogo ad una forma di protezione ”a cascata” : il titolo III (come modificato dalla l. n.476/1998 recante ratifica ed esecuzione della Convenzione de L’Aja) della l. n.184/1983 (come modificata dalla l.n.149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”) che disciplina l’istituto dell’adozione internazionale, cioè di un minore straniero residente in un paese diverso da quello degli adottanti, rappresenta la risposta del sistema giuridico italiano, che nell’apparato normativo degli artt.29/43 non soltanto ha trasfuso questi principi ma ne ha predisposto gli strumenti di attuazione. Ma un rilievo, ai fini ricostruttivi, è apparso essenziale: la collocazione del titolo III (Dell’adozione internazionale) nell’alveo della l. n.184/1983 ( come modificata dalla l.n.149/2001) impone una sua interpretazione sistematica alla luce della quale la contiguità formale con la disciplina dell’adozione di minori italiani non può non risolversi in una contiguità sostanziale, rilevante sotto il profilo assiologico .I due istituti sono dominati dai medesimi principi e perseguono una identica ratio: tra i primi assume assoluta priorità il superiore interesse del minore, titolare, al pari di qualsiasi soggetto, delle situazioni esistenziali garantite dall’art.2 Cost. ; la identità di ratio è resa evidente dalla equiparazione tra minore italiano e minore straniero, nei cui confronti allo stesso modo deve valere il principio secondo il quale egli ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia e soltanto in via sussidiaria, se essa non è in via definitiva in grado di assolvere i suoi compiti nel pieno rispetto della dignità della persona minore, in un nucleo familiare diverso ma adeguato alla sua crescita. Tale diritto è affermato sia nel titolo della l.n.184/983, come sostituito dalla disposizione di apertura della l. n.149/2001 “Diritto del minore ad una famiglia”, sia nell’ art.1, 1° e 5° co. c.c., collocato nel titolo I rubricato “Principi generali”: il 1°co. attribuisce valore precettivo alla proclamazione del diritto del minore alla propria famiglia, rafforzando la considerazione rimediale e residuale dell’adozione, mentre il 5°co. si pone da un verso come norma di chiusura del microsistema adozionale con la affermazione del principio di eguaglianza tra minori ai fini della realizzazione del diritto ad una famiglia e dall’altro verso come norma di collegamento indispensabile con la adozione di minori stranieri poiché i fattori di discriminazione - sesso etnia età lingua religione identità culturale - che il principio tende a rimuovere riguardano, con esclusione dell’età e del sesso, l’adozione internazionale.Pubblicazioni consigliate
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