L’istituto della riconciliazione, quale causa di cessazione degli effetti della separazione personale è rinvenibile, nel nostro ordinamento, avuto riguardo esclusivamente agli effetti processuali ed alle sue forme di manifestazione, negli artt. 154 e 157 c.c.: la riconciliazione tra coniugi, infatti, sotto il primo profilo, comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta ovvero la cessazione degli effetti della sentenza di separazione già intervenuta o del decreto di omologazione della separazione consensuale, senza necessità di intervento del giudice. Sotto il secondo il profilo, il comune accordo dei coniugi, essenza della riconciliazione stessa, può manifestarsi o con una dichiarazione espressa o con un comportamento inequivoco, incompatibile con lo stato di separazione. Da tale disciplina positiva emerge dunque l’assoluta carenza di una definizione della riconciliazione, mancanza che solleva non pochi problemi relativi alle concrete modalità in cui si può e si deve estrinsecare la riconciliazione e conseguentemente al momento in cui questa può dirsi avvenuta e agli effetti sostanziali che conseguono. L’attuale disciplina della riconciliazione evidenzia un istituto volto a tutelare l’unità della famiglia e comunque la ricostituzione del rapporto maritale, assicurando ai coniugi la possibilità di far cessare, di comune accordo, gli effetti della separazione, anche senza l’intervento dell’autorità giudiziaria. Se è pur vero che la ratio sottesa alla ripartizione della regolamentazione in due norme distinte sta nel fatto che vengono disciplinati due tipi di riconciliazione, quella in corso di causa e quella successiva alla sentenza di separazione passata in giudicato, la distinzione appare inopportuna (e comporta gravi problemi di coordinamento) laddove gli effetti delle due forme di riconciliazione dovrebbero essere identici; e, peraltro, occorre distinguere tra la cessazione degli effetti della separazione e la riconciliazione in quanto la prima rappresenta un atto di volontà , al quale la legge fa conseguire determinati effetti, con particolare riferimento alla domanda di divorzio già proposta o da proporre; la seconda si sostanzia in un comportamento che determina il ripristino della comunione materiale e spirituale. Inoltre, si pone il problema se le disposizioni di cui agli artt. 154 e 157 c.c. rappresentano due fattispecie di riconciliazione che, pur fondate sugli stessi principi ed aventi la stessa natura giuridica, tuttavia produrrebbero effetti diversi: la prima soltanto effetti di natura processuale, consistenti nell’abbandono della domanda e nell’estinzione del relativo giudizio; la seconda, invece, anche effetti sostanziali, consistenti nella impossibilità di far valere, in caso di nuova domanda di separazione, fatti e comportamenti anteriori alla riconciliazione stessa. In posizione diversa si potrebbe ritenere di poter superare il dato letterale sostenendo l’esistenza di una sostanziale uniformità di disciplina, in quanto non sussisterebbero ragioni per limitare gli effetti sostanziali della riconciliazione alla sola ipotesi in cui essa sia intervenuta dopo la pronuncia di separazione personale, anzi, vi sono ragioni per sostenere l’assunto contrario. Invero, in entrambe le ipotesi si deve ritenere che la ferma volontà dei coniugi di ripristinare il rapporto di coppia e di recuperare una pacifica comunione materiale e spirituale implichi anche una volontà di cancellare quelle vicende che, a suo tempo, avevano provocato la rottura della convivenza e la volontà di separarsi. Al di là delle differenze occorre, piuttosto, precisare che più correttamente il legislatore avrebbe dovuto emanare un’unica disposizione avente ad oggetto la riconciliazione o comunque, mantenendo le due norme, porle in posizione consecutiva avendo ad oggetto lo stesso fenomeno, differenziabili solo in relazione al dato temporale. A favore di questa chiave di lettura può deporre la circostanza che la legge non dà una definizione di ‘‘riconciliazione’’, ma essa appare unica e unitaria in entrambe le disposizioni sia sotto il profilo dei presupposti che sono rappresentati dall’accordo dei coniugi, sia sotto il profilo degli effetti che impediscono l’instaurazione o la prosecuzione di uno stato di vita separato; al fine di ricavare una possibile definizione l’interprete può procedere solo sulla base della disciplina abbastanza elastica quale risulta dalla lettura sistematica degli artt. 154 e 157 c.c., dai quali si evince che costituisce riconciliazione ogni accordo, in qualunque forma posto in essere, diretto a far cessare o ad impedire il sorgere dello stato di separazione. Inoltre, la mancanza di definizione e la circostanza che non sia richiesta alcuna formalità per conseguire il risultato della riconciliazione, essendo sufficiente che emerga comunque la volontà dei coniugi di riappacificarsi, assolve alla funzione di garantire l’operatività del principio di adeguamento del dettato normativo all’id quod plerumque accidit e, in conformità allo spirito della riforma, di limitare gli ostacoli alla conservazione del nucleo familiare. L’introduzione dell’attuale disciplina, l’assenza di una definizione dell’istituto e la sua scarna disciplina impongono all’interprete, pur se nella prassi i casi di riconciliazione non sono frequenti, il compito di risolvere i molteplici aspetti controversi che attengono alla rilevanza dei fatti pregressi alla separazione, ai presupposti necessari per ravvisare la riconciliazione, alla sua natura giuridica ai suoi effetti con riguardo sia ai rapporti personali sia a quelli patrimoniali e in particolare nei confronti dei terzi.
Art. 157 c.c. Cessazione degli effetti della separazione
PARRINELLO, Concetta
2010-01-01
Abstract
L’istituto della riconciliazione, quale causa di cessazione degli effetti della separazione personale è rinvenibile, nel nostro ordinamento, avuto riguardo esclusivamente agli effetti processuali ed alle sue forme di manifestazione, negli artt. 154 e 157 c.c.: la riconciliazione tra coniugi, infatti, sotto il primo profilo, comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta ovvero la cessazione degli effetti della sentenza di separazione già intervenuta o del decreto di omologazione della separazione consensuale, senza necessità di intervento del giudice. Sotto il secondo il profilo, il comune accordo dei coniugi, essenza della riconciliazione stessa, può manifestarsi o con una dichiarazione espressa o con un comportamento inequivoco, incompatibile con lo stato di separazione. Da tale disciplina positiva emerge dunque l’assoluta carenza di una definizione della riconciliazione, mancanza che solleva non pochi problemi relativi alle concrete modalità in cui si può e si deve estrinsecare la riconciliazione e conseguentemente al momento in cui questa può dirsi avvenuta e agli effetti sostanziali che conseguono. L’attuale disciplina della riconciliazione evidenzia un istituto volto a tutelare l’unità della famiglia e comunque la ricostituzione del rapporto maritale, assicurando ai coniugi la possibilità di far cessare, di comune accordo, gli effetti della separazione, anche senza l’intervento dell’autorità giudiziaria. Se è pur vero che la ratio sottesa alla ripartizione della regolamentazione in due norme distinte sta nel fatto che vengono disciplinati due tipi di riconciliazione, quella in corso di causa e quella successiva alla sentenza di separazione passata in giudicato, la distinzione appare inopportuna (e comporta gravi problemi di coordinamento) laddove gli effetti delle due forme di riconciliazione dovrebbero essere identici; e, peraltro, occorre distinguere tra la cessazione degli effetti della separazione e la riconciliazione in quanto la prima rappresenta un atto di volontà , al quale la legge fa conseguire determinati effetti, con particolare riferimento alla domanda di divorzio già proposta o da proporre; la seconda si sostanzia in un comportamento che determina il ripristino della comunione materiale e spirituale. Inoltre, si pone il problema se le disposizioni di cui agli artt. 154 e 157 c.c. rappresentano due fattispecie di riconciliazione che, pur fondate sugli stessi principi ed aventi la stessa natura giuridica, tuttavia produrrebbero effetti diversi: la prima soltanto effetti di natura processuale, consistenti nell’abbandono della domanda e nell’estinzione del relativo giudizio; la seconda, invece, anche effetti sostanziali, consistenti nella impossibilità di far valere, in caso di nuova domanda di separazione, fatti e comportamenti anteriori alla riconciliazione stessa. In posizione diversa si potrebbe ritenere di poter superare il dato letterale sostenendo l’esistenza di una sostanziale uniformità di disciplina, in quanto non sussisterebbero ragioni per limitare gli effetti sostanziali della riconciliazione alla sola ipotesi in cui essa sia intervenuta dopo la pronuncia di separazione personale, anzi, vi sono ragioni per sostenere l’assunto contrario. Invero, in entrambe le ipotesi si deve ritenere che la ferma volontà dei coniugi di ripristinare il rapporto di coppia e di recuperare una pacifica comunione materiale e spirituale implichi anche una volontà di cancellare quelle vicende che, a suo tempo, avevano provocato la rottura della convivenza e la volontà di separarsi. Al di là delle differenze occorre, piuttosto, precisare che più correttamente il legislatore avrebbe dovuto emanare un’unica disposizione avente ad oggetto la riconciliazione o comunque, mantenendo le due norme, porle in posizione consecutiva avendo ad oggetto lo stesso fenomeno, differenziabili solo in relazione al dato temporale. A favore di questa chiave di lettura può deporre la circostanza che la legge non dà una definizione di ‘‘riconciliazione’’, ma essa appare unica e unitaria in entrambe le disposizioni sia sotto il profilo dei presupposti che sono rappresentati dall’accordo dei coniugi, sia sotto il profilo degli effetti che impediscono l’instaurazione o la prosecuzione di uno stato di vita separato; al fine di ricavare una possibile definizione l’interprete può procedere solo sulla base della disciplina abbastanza elastica quale risulta dalla lettura sistematica degli artt. 154 e 157 c.c., dai quali si evince che costituisce riconciliazione ogni accordo, in qualunque forma posto in essere, diretto a far cessare o ad impedire il sorgere dello stato di separazione. Inoltre, la mancanza di definizione e la circostanza che non sia richiesta alcuna formalità per conseguire il risultato della riconciliazione, essendo sufficiente che emerga comunque la volontà dei coniugi di riappacificarsi, assolve alla funzione di garantire l’operatività del principio di adeguamento del dettato normativo all’id quod plerumque accidit e, in conformità allo spirito della riforma, di limitare gli ostacoli alla conservazione del nucleo familiare. L’introduzione dell’attuale disciplina, l’assenza di una definizione dell’istituto e la sua scarna disciplina impongono all’interprete, pur se nella prassi i casi di riconciliazione non sono frequenti, il compito di risolvere i molteplici aspetti controversi che attengono alla rilevanza dei fatti pregressi alla separazione, ai presupposti necessari per ravvisare la riconciliazione, alla sua natura giuridica ai suoi effetti con riguardo sia ai rapporti personali sia a quelli patrimoniali e in particolare nei confronti dei terzi.Pubblicazioni consigliate
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