È noto che, negli ultimi anni, dottrina e giurisprudenza si sono sovente occupate, con esiti peraltro divergenti, della c.d. “banca di fatto” (ossia l’azienda che opera sul mercato, esercitando la tipica attività bancaria di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, in difetto della necessaria autorizzazione amministrativa), e ciò soprattutto al fine di determinare se, in caso di crisi di siffatta impresa, debbano essere applicate le speciali procedure concorsuali previste dal Testo Unico Bancario (TUB), ovvero, in alternativa, la comune disciplina (fallimento) dell’impresa commerciale insolvente. Assai meno studiato, di contro, è il fenomeno del “gruppo bancario di fatto”, ossia quell’insieme di società bancarie, finanziarie e strumentali, dotato della peculiare configurazione e degli specifici requisiti previsti dalla legge (v., in particolare, art. 60 TUB), che non risulta iscritto, tuttavia, all’apposito albo di cui all’art. 64 TUB. Con riferimento a tali complesse entità, invero, il TUB si limita essenzialmente a stabilire l’applicazione delle medesime procedure di soluzione delle crisi, previste per i gruppi bancari regolarmente costituiti ed iscritti (art. 105). La norma dà adito, nella sua scarna consistenza, a numerose e delicate questioni interpretative, a partire da quella relativa ad una corretta individuazione della nebulosa nozione di “gruppo bancario di fatto” (posto che la definizione di tale fenomeno, come sopra rilevato, è assente dai testi normativi). In questo senso, va innanzitutto affrontata la questione della valenza giuridica attribuibile al provvedimento di iscrizione all’albo ex art. 64 TUB, occorrendo stabilire se tale adempimento (che può essere effettuato d’ufficio anche dalla Banca d’Italia) sia munito di efficacia costitutiva, o se rappresenti, piuttosto, un atto con mera valenza dichiarativa (come sembra doversi preferire, tenuto conto che l’iscrizione all’albo appare preordinata all’avvio dei poteri di vigilanza sulle imprese del gruppo, anziché ad una formale istituzione dello stesso). Parimenti, occorre approfondire l’analisi dei poteri azionabili dall’Autorità di vigilanza, laddove si profili l’esistenza di un aggregato di imprese astrattamente riconducibile alla nozione di gruppo bancario. È infatti indispensabile, da parte degli Organi di vigilanza, una puntuale e corretta individuazione del perimetro del gruppo creditizio, posto che a tale preventivo accertamento farà seguito l’applicazione delle speciali procedure bancarie di rigore anche ad imprese non bancarie, facenti parte del gruppo. Di particolare interesse risulta, infine, un raffronto tra le soluzioni applicabili, ai sensi dell’art. 105 TUF, alla crisi del gruppo bancario di fatto e quelle che, nella recente elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, sono ritenute valide per le analoghe vicende delle banche di fatto. Una divergenza tra le soluzioni prospettabili, infatti, sembra introdurre elementi di forte incoerenza nell’ordinamento bancario, malgrado la presenza, in entrambe le situazioni, di interessi –privati, ma anche di rango pubblicistico – di non dissimile natura. L’indagine mira dunque a stabilire se e quali modifiche sia opportuno introdurre nella vigente disciplina sulle crisi bancarie, al fine di realizzare un quadro normativo complessivamente più efficace e più coerente rispetto a quello attualmente esistente.

Alcune questioni in tema di liquidazione coatta amministrativa dei gruppi bancari non iscritti all'albo

RESTUCCIA, Giuseppe
2011-01-01

Abstract

È noto che, negli ultimi anni, dottrina e giurisprudenza si sono sovente occupate, con esiti peraltro divergenti, della c.d. “banca di fatto” (ossia l’azienda che opera sul mercato, esercitando la tipica attività bancaria di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, in difetto della necessaria autorizzazione amministrativa), e ciò soprattutto al fine di determinare se, in caso di crisi di siffatta impresa, debbano essere applicate le speciali procedure concorsuali previste dal Testo Unico Bancario (TUB), ovvero, in alternativa, la comune disciplina (fallimento) dell’impresa commerciale insolvente. Assai meno studiato, di contro, è il fenomeno del “gruppo bancario di fatto”, ossia quell’insieme di società bancarie, finanziarie e strumentali, dotato della peculiare configurazione e degli specifici requisiti previsti dalla legge (v., in particolare, art. 60 TUB), che non risulta iscritto, tuttavia, all’apposito albo di cui all’art. 64 TUB. Con riferimento a tali complesse entità, invero, il TUB si limita essenzialmente a stabilire l’applicazione delle medesime procedure di soluzione delle crisi, previste per i gruppi bancari regolarmente costituiti ed iscritti (art. 105). La norma dà adito, nella sua scarna consistenza, a numerose e delicate questioni interpretative, a partire da quella relativa ad una corretta individuazione della nebulosa nozione di “gruppo bancario di fatto” (posto che la definizione di tale fenomeno, come sopra rilevato, è assente dai testi normativi). In questo senso, va innanzitutto affrontata la questione della valenza giuridica attribuibile al provvedimento di iscrizione all’albo ex art. 64 TUB, occorrendo stabilire se tale adempimento (che può essere effettuato d’ufficio anche dalla Banca d’Italia) sia munito di efficacia costitutiva, o se rappresenti, piuttosto, un atto con mera valenza dichiarativa (come sembra doversi preferire, tenuto conto che l’iscrizione all’albo appare preordinata all’avvio dei poteri di vigilanza sulle imprese del gruppo, anziché ad una formale istituzione dello stesso). Parimenti, occorre approfondire l’analisi dei poteri azionabili dall’Autorità di vigilanza, laddove si profili l’esistenza di un aggregato di imprese astrattamente riconducibile alla nozione di gruppo bancario. È infatti indispensabile, da parte degli Organi di vigilanza, una puntuale e corretta individuazione del perimetro del gruppo creditizio, posto che a tale preventivo accertamento farà seguito l’applicazione delle speciali procedure bancarie di rigore anche ad imprese non bancarie, facenti parte del gruppo. Di particolare interesse risulta, infine, un raffronto tra le soluzioni applicabili, ai sensi dell’art. 105 TUF, alla crisi del gruppo bancario di fatto e quelle che, nella recente elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, sono ritenute valide per le analoghe vicende delle banche di fatto. Una divergenza tra le soluzioni prospettabili, infatti, sembra introdurre elementi di forte incoerenza nell’ordinamento bancario, malgrado la presenza, in entrambe le situazioni, di interessi –privati, ma anche di rango pubblicistico – di non dissimile natura. L’indagine mira dunque a stabilire se e quali modifiche sia opportuno introdurre nella vigente disciplina sulle crisi bancarie, al fine di realizzare un quadro normativo complessivamente più efficace e più coerente rispetto a quello attualmente esistente.
2011
9788866110460
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