Il dibattito sui fenomeni migratori si lega sempre più spesso, negli studi accademici, all'analisi della loro rappresentazione mediatica. Immigrati e mass media sembrano essere divenuti, specialmente nel panorama italiano, due elementi inscindibili, a volte addirittura poli fondanti di uno schema di opposizioni strutturate, il cui prodotto finale è una distorsione – sostanzialmente involontaria, come proviamo a dimostrare nel saggio – del racconto dei fatti e dei loro protagonisti. Questo meccanismo, da un lato, alimenta il ruolo istituzionale dei media e riconduce la trattazione dei processi di migrazione a quelle routine produttive consolidate all’interno dell’industria culturale giornalistica. Si tratta di un aspetto già noto ed evidenziato da ricerche nazionali e internazionali, incentrate sulle dinamiche di stereotipizzazione della narrazione giornalistica (non legata – si sostiene nel saggio – a fattori ideologici, bensì alle consuetudini di confezionamento del prodotto giornalistico stesso), che trova ulteriore conferma nelle cronache e nei commenti dei recenti episodi di cui è stato teatro il nostro Paese (sbarchi a Lampedusa, rimpatri, ecc.). A tale aspetto è dedicata una parte del saggio che, invece, in un’altra fase affronta un aspetto inedito. Tale meccanismo, per altro verso, sta infatti creando un panorama forse sottovalutato dagli studi scientifici e in termini di politiche d’intervento. Specialmente in Italia, infatti, sembra manifestarsi un problema di distanze dal fenomeno. Paradossalmente, le relazioni indirette che aumentano esponenzialmente con il diffondersi della rete, non hanno cancellato la ricerca di prossimità cui gli attori sociali sono storicamente abituati. Intimità e fiducia sono legati, anche nell’era di Internet, al contatto visivo, alla compresenza. Le politiche emergenziali varate in questi anni, di contro, sono state incentrate su azioni di contingentamento e isolamento dei migranti. Anche lì dove, superata la fase dell’ingresso in Italia, si verifica un radicamento sociale degli stranieri, le realtà urbane tendono a favorire processi di separazione, di distacco, quasi di ghettizzazione in determinati quartieri. A questo si aggiunga, come detto in precedenza, il fatto che il migrante, la sua immagine e le problematiche connesse risultano sempre più “ingabbiati” all’interno dei media. Rifacendoci alle provocatorie tesi di Jean Baudrillard, insomma, possiamo affermare che il problema immigrati tende a scomparire, a non esistere più, nella misura in cui aumenta la sua rappresentazione in una realtà “di grado superiore”, un’iperrealtà interamente affidata ai media elettronici (in particolare, la televisione). In conclusione, a fronte delle problematiche individuate, nel saggio si propone una strategia d’azione, attraverso un piano di comunicazione mirato e destinato ad alimentare l’insieme delle “good news” che coinvolgono gli stranieri arrivati nel nostro Paese, così da favorirne l’integrazione.

Le istituzioni mediatiche tra stereotipi e “copioni”

CENTORRINO, Marco
2011-01-01

Abstract

Il dibattito sui fenomeni migratori si lega sempre più spesso, negli studi accademici, all'analisi della loro rappresentazione mediatica. Immigrati e mass media sembrano essere divenuti, specialmente nel panorama italiano, due elementi inscindibili, a volte addirittura poli fondanti di uno schema di opposizioni strutturate, il cui prodotto finale è una distorsione – sostanzialmente involontaria, come proviamo a dimostrare nel saggio – del racconto dei fatti e dei loro protagonisti. Questo meccanismo, da un lato, alimenta il ruolo istituzionale dei media e riconduce la trattazione dei processi di migrazione a quelle routine produttive consolidate all’interno dell’industria culturale giornalistica. Si tratta di un aspetto già noto ed evidenziato da ricerche nazionali e internazionali, incentrate sulle dinamiche di stereotipizzazione della narrazione giornalistica (non legata – si sostiene nel saggio – a fattori ideologici, bensì alle consuetudini di confezionamento del prodotto giornalistico stesso), che trova ulteriore conferma nelle cronache e nei commenti dei recenti episodi di cui è stato teatro il nostro Paese (sbarchi a Lampedusa, rimpatri, ecc.). A tale aspetto è dedicata una parte del saggio che, invece, in un’altra fase affronta un aspetto inedito. Tale meccanismo, per altro verso, sta infatti creando un panorama forse sottovalutato dagli studi scientifici e in termini di politiche d’intervento. Specialmente in Italia, infatti, sembra manifestarsi un problema di distanze dal fenomeno. Paradossalmente, le relazioni indirette che aumentano esponenzialmente con il diffondersi della rete, non hanno cancellato la ricerca di prossimità cui gli attori sociali sono storicamente abituati. Intimità e fiducia sono legati, anche nell’era di Internet, al contatto visivo, alla compresenza. Le politiche emergenziali varate in questi anni, di contro, sono state incentrate su azioni di contingentamento e isolamento dei migranti. Anche lì dove, superata la fase dell’ingresso in Italia, si verifica un radicamento sociale degli stranieri, le realtà urbane tendono a favorire processi di separazione, di distacco, quasi di ghettizzazione in determinati quartieri. A questo si aggiunga, come detto in precedenza, il fatto che il migrante, la sua immagine e le problematiche connesse risultano sempre più “ingabbiati” all’interno dei media. Rifacendoci alle provocatorie tesi di Jean Baudrillard, insomma, possiamo affermare che il problema immigrati tende a scomparire, a non esistere più, nella misura in cui aumenta la sua rappresentazione in una realtà “di grado superiore”, un’iperrealtà interamente affidata ai media elettronici (in particolare, la televisione). In conclusione, a fronte delle problematiche individuate, nel saggio si propone una strategia d’azione, attraverso un piano di comunicazione mirato e destinato ad alimentare l’insieme delle “good news” che coinvolgono gli stranieri arrivati nel nostro Paese, così da favorirne l’integrazione.
2011
9788854844551
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