Quando i due autori pubblicano l’esito della loro ricerca è il 1936, la mostra alla Triennale di Milano da ragione del senso del loro lavoro, per chi vuol vedere che nel patrimonio ritratto, esposto e commentato (quello delle varianti regionali della casa rurale italiana) con testo e didascalie eloquenti, è depositato tanto della cultura dell’abitare e del costruire italiani. Ancora una volta si delinea nello scambio di intenzionalità e di fattività tra architettura aulica e architettura popolare una direzionalità e un verso che i due autori, pur senza esplicitarlo con precise locuzioni, indicano lungo tutto il percorso tra le regioni italiane per cui ci conducono. Pare che ogni descrizione delle case da essi esposte nella mostra ed ancor più nelle pagine del libro, ma gli autori affermano che tanto più materiale documentario hanno raccolto sia direttamente che grazie alla disponibilità di studi parziali di altri ricercatori che gliene hanno messo a disposizione, si possa chiosare con un: …e questo si è reso possibile grazie alle problematiche che la specifica complessità della morfologia del suolo ha posto, per indurre a ricercare modi per darvi concreta risposta oppure, ancora con: …e questo impianto distributivo è stato messo a punto per rispondere alla specifica necessità funzionale posta dalla compresenza sotto lo stesso tetto di persone ed animali. Queste, solo due, plausibili, argomentazioni che l’attento lettore potrebbe rintracciare nel, non detto, dagli autori, ma implicitamente sotteso. È quindi la specificità dell’essenzialità della risposta richiesta, positivo frutto dei limitati mezzi a decretare la messa in atto di “ingegni”, siano essi di carattere strettamente pratico-costruttivi che di configurazione funzionale degli spazi. Ora è pur vero che questa lettura che chi scrive vi propone è parziale, di parte, ma a lume di naso è più probabile che l’erudito apprenda dall’incolto per poi far suoi gli strumenti per più impegnativi ed alti esiti, l’architettura aulica; piuttosto che il mastro di campagna o comunque in condizione periferica, si possa trovare a contatto con esiti aulici emulabili. Senza far torto alcuno all’acume contadino, qui si ipotizza una scarsa occasionalità a trovarsi al cospetto di opere d’Autore da cui riprendere modi di diretta e facile riapplicazione per i suoi casi più schiettamente procedenti in linea diretta verso l’esito sperato; che invece (poiché), nell’aulico linguaggio, molto si dissimula, sparisce alla vista, c’è ma non appare, fa apparire alcunché di differente ed ingloba, nasconde per estrarre dalla materia stereometrici volumi e simulare ineffabili e solidissime fughe prospettiche con inganni dell’occhio e rinvii colti a miti e culture così raccontate. Ricordiamo per tutte le dotazioni di servizi e collegamenti verticali nella villa Capra, detta la Rotonda di Andrea Palladio nella campagna vicentina, dotazioni, raccolte-scavate nello spessore dei muri e massimamente lì dove in pianta, il passaggio dal perimetro quadrato del prisma all’involucro cilindrico dello spazio nel cerchio incluso e tangente al quadrato, all’incrocio dei due assi su cui si distribuiscono i quattro bracci, produce anziché i pennacchi sferici tramite cui si imposterebbe una cupola su un vano cubico, quattro spazi frutto della sottrazione geometrica dei due volumi, cubo e cilindro ad esso incluso e tangente, prontamente utilizzati per “occultarvi” tutto ciò che, pur utile, disturberebbe l’aulico, lineare spazio prospettico. Nell’architettura rurale sappiamo invece che il mito e le culture sono direttamente parti vive, inglobate nel costrutto, operanti direttamente con il grado di verità della cultura vissuta piuttosto che presenti tramite la sua “presentazione” in forma di descrizione, di presenza simulata, per l’appunto, tramite il trompe l’oeil. Tracce di questo forte legame rintracciamo nel libro di Pagano e Daniel quando, ad esempio, nei trulli pugliesi, vediamo, scavata nello spessore del muro, l’edicola votiva dei Lari e, al concio di chiusura della copertura a trullo, viene data la forma che identifica l’appartenenza dei suoi abitanti ad un gruppo familiare specifico: un segno-simbolo di appartenenza e di identità comunicato e visibile a distanza. Altro aspetto che evidentemente sta molto a cuore ai due autori, io li associo pur essendo convinto che il maggior spessore teorico sia attribuibile a Giuseppe Pagano, è quello del rintracciabile seme della moderna architettura italiana nelle radici della sua architettura rurale. In questa convinzione siamo ancora confermati proprio da quella formula, economica, verrebbe da dire, del minimo dei mezzi per il pieno soddisfacimento dei requisiti richiesti, che mette in gioco sempre l’accortezza con cui si svolgono le azioni costruttive nel campo rurale, non lontane dal miesiano Less is More; quel, il meno è il più, che è stato preso come bandiera della nuova, limpida, architettura razionale che così si definisce, e non a caso, in Italia, rispetto alla razionalista, più crudamente meccanicista, tedesca e di buona parte del resto d’Europa. Ciò è evidente da quanto i due autori scrivono nell’introduzione del libro in proposito della loro indagine sull’architettura rurale italiana, ossia che … soprattutto ci darà l’orgoglio di conoscere la vera tradizione autoctona dell’architettura italiana: chiara, logica, lineare, moralmente ed anche formalmente vicinissima al gusto contemporaneo.; all’abitudine morale dell’architetto contemporaneo di sottoporre la propria fantasia artistica alle leggi della utilità, della tecnica, dell’economia senza tuttavia rinnegare il fine estetico della sua fatica. Un altro argomentare degno di nota è quello che sottolinea come, nello studio dell’architettura aulica, vediamo un interesse, in chi ne scrive, al come è stata fatta dagli artisti e poca attenzione si rivolge al perché quelle opere furono fatte. Ossia sono messe in secondo piano, dimenticate, le ragioni utilitarie e le peculiarità tecniche che hanno permesso l’esistenza dell’esito estetico. Analogo errore, si riscontra, potrebbe essere, credere che l’architettura contemporanea si sia autogenerata e non cercassimo invece …le testimonianze più ingenue e primitive di questi rapporti. E ciò, come ci segnalano gli autori, è depositato stabilmente in quel mondo di architetture utilitarie e degli scarsi mezzi che sono le architetture rurali dove la logica costruttiva umana, dai rapporti con il suolo sino all’appropriatezza tecnica sostengono chiaramente la creazione delle forme più astratte ed anche fantasticamente plastiche. È lì che vediamo, riscontrabili, i rapporti tra causa ed effetto. Ciò quindi propone la massima utilità degli studi sull’architettura rurale in cui è depositato sia l’istinto primordiale del riparo che non a caso ha identica forma ma, e necessariamente, anche le differenti esecuzioni tecniche in climi diversi (è il caso della capanna, e dell’igloo, riportato dagli autori).

ARCHITETTURA RURALE ITALIANA

MARCHESE, CLAUDIO
2011-01-01

Abstract

Quando i due autori pubblicano l’esito della loro ricerca è il 1936, la mostra alla Triennale di Milano da ragione del senso del loro lavoro, per chi vuol vedere che nel patrimonio ritratto, esposto e commentato (quello delle varianti regionali della casa rurale italiana) con testo e didascalie eloquenti, è depositato tanto della cultura dell’abitare e del costruire italiani. Ancora una volta si delinea nello scambio di intenzionalità e di fattività tra architettura aulica e architettura popolare una direzionalità e un verso che i due autori, pur senza esplicitarlo con precise locuzioni, indicano lungo tutto il percorso tra le regioni italiane per cui ci conducono. Pare che ogni descrizione delle case da essi esposte nella mostra ed ancor più nelle pagine del libro, ma gli autori affermano che tanto più materiale documentario hanno raccolto sia direttamente che grazie alla disponibilità di studi parziali di altri ricercatori che gliene hanno messo a disposizione, si possa chiosare con un: …e questo si è reso possibile grazie alle problematiche che la specifica complessità della morfologia del suolo ha posto, per indurre a ricercare modi per darvi concreta risposta oppure, ancora con: …e questo impianto distributivo è stato messo a punto per rispondere alla specifica necessità funzionale posta dalla compresenza sotto lo stesso tetto di persone ed animali. Queste, solo due, plausibili, argomentazioni che l’attento lettore potrebbe rintracciare nel, non detto, dagli autori, ma implicitamente sotteso. È quindi la specificità dell’essenzialità della risposta richiesta, positivo frutto dei limitati mezzi a decretare la messa in atto di “ingegni”, siano essi di carattere strettamente pratico-costruttivi che di configurazione funzionale degli spazi. Ora è pur vero che questa lettura che chi scrive vi propone è parziale, di parte, ma a lume di naso è più probabile che l’erudito apprenda dall’incolto per poi far suoi gli strumenti per più impegnativi ed alti esiti, l’architettura aulica; piuttosto che il mastro di campagna o comunque in condizione periferica, si possa trovare a contatto con esiti aulici emulabili. Senza far torto alcuno all’acume contadino, qui si ipotizza una scarsa occasionalità a trovarsi al cospetto di opere d’Autore da cui riprendere modi di diretta e facile riapplicazione per i suoi casi più schiettamente procedenti in linea diretta verso l’esito sperato; che invece (poiché), nell’aulico linguaggio, molto si dissimula, sparisce alla vista, c’è ma non appare, fa apparire alcunché di differente ed ingloba, nasconde per estrarre dalla materia stereometrici volumi e simulare ineffabili e solidissime fughe prospettiche con inganni dell’occhio e rinvii colti a miti e culture così raccontate. Ricordiamo per tutte le dotazioni di servizi e collegamenti verticali nella villa Capra, detta la Rotonda di Andrea Palladio nella campagna vicentina, dotazioni, raccolte-scavate nello spessore dei muri e massimamente lì dove in pianta, il passaggio dal perimetro quadrato del prisma all’involucro cilindrico dello spazio nel cerchio incluso e tangente al quadrato, all’incrocio dei due assi su cui si distribuiscono i quattro bracci, produce anziché i pennacchi sferici tramite cui si imposterebbe una cupola su un vano cubico, quattro spazi frutto della sottrazione geometrica dei due volumi, cubo e cilindro ad esso incluso e tangente, prontamente utilizzati per “occultarvi” tutto ciò che, pur utile, disturberebbe l’aulico, lineare spazio prospettico. Nell’architettura rurale sappiamo invece che il mito e le culture sono direttamente parti vive, inglobate nel costrutto, operanti direttamente con il grado di verità della cultura vissuta piuttosto che presenti tramite la sua “presentazione” in forma di descrizione, di presenza simulata, per l’appunto, tramite il trompe l’oeil. Tracce di questo forte legame rintracciamo nel libro di Pagano e Daniel quando, ad esempio, nei trulli pugliesi, vediamo, scavata nello spessore del muro, l’edicola votiva dei Lari e, al concio di chiusura della copertura a trullo, viene data la forma che identifica l’appartenenza dei suoi abitanti ad un gruppo familiare specifico: un segno-simbolo di appartenenza e di identità comunicato e visibile a distanza. Altro aspetto che evidentemente sta molto a cuore ai due autori, io li associo pur essendo convinto che il maggior spessore teorico sia attribuibile a Giuseppe Pagano, è quello del rintracciabile seme della moderna architettura italiana nelle radici della sua architettura rurale. In questa convinzione siamo ancora confermati proprio da quella formula, economica, verrebbe da dire, del minimo dei mezzi per il pieno soddisfacimento dei requisiti richiesti, che mette in gioco sempre l’accortezza con cui si svolgono le azioni costruttive nel campo rurale, non lontane dal miesiano Less is More; quel, il meno è il più, che è stato preso come bandiera della nuova, limpida, architettura razionale che così si definisce, e non a caso, in Italia, rispetto alla razionalista, più crudamente meccanicista, tedesca e di buona parte del resto d’Europa. Ciò è evidente da quanto i due autori scrivono nell’introduzione del libro in proposito della loro indagine sull’architettura rurale italiana, ossia che … soprattutto ci darà l’orgoglio di conoscere la vera tradizione autoctona dell’architettura italiana: chiara, logica, lineare, moralmente ed anche formalmente vicinissima al gusto contemporaneo.; all’abitudine morale dell’architetto contemporaneo di sottoporre la propria fantasia artistica alle leggi della utilità, della tecnica, dell’economia senza tuttavia rinnegare il fine estetico della sua fatica. Un altro argomentare degno di nota è quello che sottolinea come, nello studio dell’architettura aulica, vediamo un interesse, in chi ne scrive, al come è stata fatta dagli artisti e poca attenzione si rivolge al perché quelle opere furono fatte. Ossia sono messe in secondo piano, dimenticate, le ragioni utilitarie e le peculiarità tecniche che hanno permesso l’esistenza dell’esito estetico. Analogo errore, si riscontra, potrebbe essere, credere che l’architettura contemporanea si sia autogenerata e non cercassimo invece …le testimonianze più ingenue e primitive di questi rapporti. E ciò, come ci segnalano gli autori, è depositato stabilmente in quel mondo di architetture utilitarie e degli scarsi mezzi che sono le architetture rurali dove la logica costruttiva umana, dai rapporti con il suolo sino all’appropriatezza tecnica sostengono chiaramente la creazione delle forme più astratte ed anche fantasticamente plastiche. È lì che vediamo, riscontrabili, i rapporti tra causa ed effetto. Ciò quindi propone la massima utilità degli studi sull’architettura rurale in cui è depositato sia l’istinto primordiale del riparo che non a caso ha identica forma ma, e necessariamente, anche le differenti esecuzioni tecniche in climi diversi (è il caso della capanna, e dell’igloo, riportato dagli autori).
2011
9788864940625
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.
Pubblicazioni consigliate

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11570/2081221
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact