L’art. 195 rappresenta l’unica disposizione in materia di liquidazione coatta che abbia subito ampie modifiche a seguito del d.lgs. 5/2006 (di cui v. l’art. 148). Come evidenziato dalla Relazione di accompagnamento, la prima novità introdotta rispetto al testo del 1942 è rappresentata dall’ampliamento dell’area dei soggetti legittimati a presentare il ricorso per la dichiarazione d’insolvenza, includendovi, accanto ai creditori, l’impresa debitrice (o meglio, l’imprenditore) e la competente autorità di vigilanza. La modifica è piuttosto rilevante, in parte risolvendo un’annosa questione dottrinale e giurisprudenziale. Prima della riforma, infatti, sul piano letterale la legittimazione attiva spettava esclusivamente ai creditori. Il previgente art. 195, tuttavia, si poneva in contrasto con la formulazione di norme dettate per istituti analoghi2: si pensi alla istanza per la dichiarazione di fallimento, che l’art. 6 prevedeva potersi presentare «su richiesta del debitore, su ricorso di uno o più creditori, su istanza del pubblico ministero oppure d’ufficio» (anche nel nuovo testo dell’art. 6, come è noto, è stata esclusa l’iniziativa d’ufficio); ovvero si pensi all’art. 202, per l’accertamento dello stato di insolvenza successivo all’apertura della liquidazione coatta, per cui la legittimazione era (ed è tuttora) estesa al commissario liquidatore ed al pubblico ministero; ancora, l’art. 3, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, per le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, prevede una disciplina analoga a quella dettata dal citato art. 6. Infine, in materia bancaria e assicurativa, si vedano rispettivamente l’art. 82 t.u.b., che attribuisce il potere d’iniziativa al pubblico ministero, ai commissari straordinari (quando la banca è sottoposta ad amministrazione straordinaria) e, a differenza di quanto previsto dal citato art. 202, anche al tribunale d’ufficio; nonché l’art. 248 del codice delle assicurazioni private, che concede ancora il potere di iniziativa al tribunale ex officio, oltre alla legittimazione in favore del p.m., collocandosi lungo la medesima falsariga dell’art. 82 t.u.b. Gli stretti confini della legittimazione attiva disegnati dall’art. 195 venivano pertanto giustificati dalla Corte costituzionale4 – chiamata a pronunciarsi in ordine alla questione di legittimità della norma in parola per supposto contrasto con gli artt. 3, 1° co., e 24 Cost. – con la eccezionalità di tale disposizione. Il principio dominante, nella disciplina della liquidazione coatta amministrativa, è infatti costituito – argomentava la Corte – dalla discrezionalità concessa all’autorità amministrativa cui spetta la vigilanza, giustificata dall’interesse pubblico all’attivazione della procedura: l’art. 195 costituiva dunque l’unica ipotesi di subordinazione dell’interesse pubblico all’esercizio della pretesa creditoria, sia pure coltivata in sede concorsuale.Tale deroga, proseguiva la Corte costituzionale, riguardava esclusivamente i creditori ed il richiesto accertamento dello stato di insolvenza; non poteva avere ad oggetto gli altri presupposti richiesti per l’apertura della procedura e, comunque, subiva il temperamento rappresentato dall’obbligo di sentire preventivamente la competente autorità di vigilanza.
COMMENTO ALL'ART. 195
LATELLA, Dario
2007-01-01
Abstract
L’art. 195 rappresenta l’unica disposizione in materia di liquidazione coatta che abbia subito ampie modifiche a seguito del d.lgs. 5/2006 (di cui v. l’art. 148). Come evidenziato dalla Relazione di accompagnamento, la prima novità introdotta rispetto al testo del 1942 è rappresentata dall’ampliamento dell’area dei soggetti legittimati a presentare il ricorso per la dichiarazione d’insolvenza, includendovi, accanto ai creditori, l’impresa debitrice (o meglio, l’imprenditore) e la competente autorità di vigilanza. La modifica è piuttosto rilevante, in parte risolvendo un’annosa questione dottrinale e giurisprudenziale. Prima della riforma, infatti, sul piano letterale la legittimazione attiva spettava esclusivamente ai creditori. Il previgente art. 195, tuttavia, si poneva in contrasto con la formulazione di norme dettate per istituti analoghi2: si pensi alla istanza per la dichiarazione di fallimento, che l’art. 6 prevedeva potersi presentare «su richiesta del debitore, su ricorso di uno o più creditori, su istanza del pubblico ministero oppure d’ufficio» (anche nel nuovo testo dell’art. 6, come è noto, è stata esclusa l’iniziativa d’ufficio); ovvero si pensi all’art. 202, per l’accertamento dello stato di insolvenza successivo all’apertura della liquidazione coatta, per cui la legittimazione era (ed è tuttora) estesa al commissario liquidatore ed al pubblico ministero; ancora, l’art. 3, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, per le imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria, prevede una disciplina analoga a quella dettata dal citato art. 6. Infine, in materia bancaria e assicurativa, si vedano rispettivamente l’art. 82 t.u.b., che attribuisce il potere d’iniziativa al pubblico ministero, ai commissari straordinari (quando la banca è sottoposta ad amministrazione straordinaria) e, a differenza di quanto previsto dal citato art. 202, anche al tribunale d’ufficio; nonché l’art. 248 del codice delle assicurazioni private, che concede ancora il potere di iniziativa al tribunale ex officio, oltre alla legittimazione in favore del p.m., collocandosi lungo la medesima falsariga dell’art. 82 t.u.b. Gli stretti confini della legittimazione attiva disegnati dall’art. 195 venivano pertanto giustificati dalla Corte costituzionale4 – chiamata a pronunciarsi in ordine alla questione di legittimità della norma in parola per supposto contrasto con gli artt. 3, 1° co., e 24 Cost. – con la eccezionalità di tale disposizione. Il principio dominante, nella disciplina della liquidazione coatta amministrativa, è infatti costituito – argomentava la Corte – dalla discrezionalità concessa all’autorità amministrativa cui spetta la vigilanza, giustificata dall’interesse pubblico all’attivazione della procedura: l’art. 195 costituiva dunque l’unica ipotesi di subordinazione dell’interesse pubblico all’esercizio della pretesa creditoria, sia pure coltivata in sede concorsuale.Tale deroga, proseguiva la Corte costituzionale, riguardava esclusivamente i creditori ed il richiesto accertamento dello stato di insolvenza; non poteva avere ad oggetto gli altri presupposti richiesti per l’apertura della procedura e, comunque, subiva il temperamento rappresentato dall’obbligo di sentire preventivamente la competente autorità di vigilanza.Pubblicazioni consigliate
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