Dapprima con il d.lgs. n. 58/1998 (art. 129) e, quindi, con la riforma delle società introdotta dal d.lgs. n. 6/2003 (artt. 2393-bis e 2476 c.c.), il legislatore nazionale ha posto riparo al vistoso deficit di tutela delle minoranze rappresentato dalla mancanza di una shareholder derivative suit di diritto interno. Come è noto, il rimedio predisposto dal legislatore della riforma si fonda sul riconoscimento, in favore di una minoranza qualificata di azionisti, ovvero del singolo socio di s.r.l., della legittimazione processuale straordinaria alla proposizione dell’azione di responsabilità rivolta ad ottenere il risarcimento del danno inferto al patrimonio della società in conseguenza di atti di mala gestio. Si tratta pertanto di un istituto che si distingue, sotto il profilo oggettivo, dall’azione individuale spettante al singolo socio in ragione del pregiudizio direttamente sofferto a causa dell’illecito gestionale (art. 2395 c.c.) e, sotto il profilo soggettivo, dalla tradizionale azione che la società può proporre in nome e per conto proprio a seguito di deliberazione assembleare assunta ai sensi dell’art. 2393 c.c. L’introduzione dell’azione minoritaria, oltre a rivitalizzare l’area di rilevanza dell’illecito da amministrazione – non foss’altro che per contribuire a rimuovere la nota “apatia” con la quale la maggioranza prendeva in considerazione la possibilità di chiamare in giudizio i propri fiduciari –, produrrà presumibilmente alcune interessanti ripercussioni sul piano delle relazioni di potere interne alla società, in particolare incidendo nei rapporti fra assemblea ed amministratori. Sotto questo profilo, non può negarsi che, dietro l’ipocrisia del nostro tradizionale sistema sanzionatorio della responsabilità da mala gestio, si è celebrata per decenni una incontrastata supremazia dei soci di controllo, realizzata anche grazie alla materiale difficoltà di colpire gli abusi commessi all’ombra dei meccanismi di imputazione formale della funzione amministrativa. Peraltro, se, nel quadro dell’«orientamento direttoriale» assunto a paradigma dal legislatore del 1942, il filtro della deliberazione maggioritaria avrebbe dovuto garantire continuità di valutazioni fra la coalizione che ha determinato l’insediamento dell’organo amministrativo e quella chiamata a verificarne l’attività ed eventualmente provvedere alla sua censura , in realtà si verificato esattamente il contrario. L’obiettivo perseguito dal legislatore del 1942 era quello di contrapporre al “peso” del potere di gestione la “minaccia” della responsabilità; è ormai notorio, tuttavia, come la consistenza dell’uno quanto l’efficacia dell’altra siano state profondamente sottovalutate. Il “grilletto” della regola maggioritaria si è infatti irreversibilmente inceppato, addirittura trasformandosi in “guarentigia” della impunità degli amministratori. Ne è testimonianza a tutti nota la continua emersione in sede concorsuale di illeciti gestionali ascrivibili all’organo amministrativo, evidentemente per lungo tempo taciuti (se non provocati) dalla società in bonis e sfuggiti alla sanzione risarcitoria proprio grazie alla connivenza del gruppo di comando . Ove si spostasse l’attenzione fuori dai confini nazionali (Stati Uniti, Francia, Spagna e Germania), peraltro, si potrebbe agevolmente constatare che quello della conflittualità endosocietaria e della connessa regolazione appare un problema costantemente sul tappeto, talora anche sopravvalutato, prevalentemente a causa degli scoraggianti risultati conseguiti da alcuni studi empirici statunitensi . Si registra una forte timore verso la possibilità che azionisti litigiosi assumano iniziative di mero disturbo, così danneggiando la stabilità della gestione e la redditività dei titoli ; d’altra parte, si ravvisano evidenti insuccessi nell’opera di incoraggiamento dell’azionista marginale ad assumere iniziative processuali nell’interesse della società, essenzialmente a causa dell’effetto deterrente rappresentato dalla regola di anticipazione delle spese.

Tutela dei soci e riforma delle società: l'influenza dell'azione di responsabilità esercitata dalla minoranza nei rapporti fra assemblea e amministratori.

LATELLA, Dario
2005-01-01

Abstract

Dapprima con il d.lgs. n. 58/1998 (art. 129) e, quindi, con la riforma delle società introdotta dal d.lgs. n. 6/2003 (artt. 2393-bis e 2476 c.c.), il legislatore nazionale ha posto riparo al vistoso deficit di tutela delle minoranze rappresentato dalla mancanza di una shareholder derivative suit di diritto interno. Come è noto, il rimedio predisposto dal legislatore della riforma si fonda sul riconoscimento, in favore di una minoranza qualificata di azionisti, ovvero del singolo socio di s.r.l., della legittimazione processuale straordinaria alla proposizione dell’azione di responsabilità rivolta ad ottenere il risarcimento del danno inferto al patrimonio della società in conseguenza di atti di mala gestio. Si tratta pertanto di un istituto che si distingue, sotto il profilo oggettivo, dall’azione individuale spettante al singolo socio in ragione del pregiudizio direttamente sofferto a causa dell’illecito gestionale (art. 2395 c.c.) e, sotto il profilo soggettivo, dalla tradizionale azione che la società può proporre in nome e per conto proprio a seguito di deliberazione assembleare assunta ai sensi dell’art. 2393 c.c. L’introduzione dell’azione minoritaria, oltre a rivitalizzare l’area di rilevanza dell’illecito da amministrazione – non foss’altro che per contribuire a rimuovere la nota “apatia” con la quale la maggioranza prendeva in considerazione la possibilità di chiamare in giudizio i propri fiduciari –, produrrà presumibilmente alcune interessanti ripercussioni sul piano delle relazioni di potere interne alla società, in particolare incidendo nei rapporti fra assemblea ed amministratori. Sotto questo profilo, non può negarsi che, dietro l’ipocrisia del nostro tradizionale sistema sanzionatorio della responsabilità da mala gestio, si è celebrata per decenni una incontrastata supremazia dei soci di controllo, realizzata anche grazie alla materiale difficoltà di colpire gli abusi commessi all’ombra dei meccanismi di imputazione formale della funzione amministrativa. Peraltro, se, nel quadro dell’«orientamento direttoriale» assunto a paradigma dal legislatore del 1942, il filtro della deliberazione maggioritaria avrebbe dovuto garantire continuità di valutazioni fra la coalizione che ha determinato l’insediamento dell’organo amministrativo e quella chiamata a verificarne l’attività ed eventualmente provvedere alla sua censura , in realtà si verificato esattamente il contrario. L’obiettivo perseguito dal legislatore del 1942 era quello di contrapporre al “peso” del potere di gestione la “minaccia” della responsabilità; è ormai notorio, tuttavia, come la consistenza dell’uno quanto l’efficacia dell’altra siano state profondamente sottovalutate. Il “grilletto” della regola maggioritaria si è infatti irreversibilmente inceppato, addirittura trasformandosi in “guarentigia” della impunità degli amministratori. Ne è testimonianza a tutti nota la continua emersione in sede concorsuale di illeciti gestionali ascrivibili all’organo amministrativo, evidentemente per lungo tempo taciuti (se non provocati) dalla società in bonis e sfuggiti alla sanzione risarcitoria proprio grazie alla connivenza del gruppo di comando . Ove si spostasse l’attenzione fuori dai confini nazionali (Stati Uniti, Francia, Spagna e Germania), peraltro, si potrebbe agevolmente constatare che quello della conflittualità endosocietaria e della connessa regolazione appare un problema costantemente sul tappeto, talora anche sopravvalutato, prevalentemente a causa degli scoraggianti risultati conseguiti da alcuni studi empirici statunitensi . Si registra una forte timore verso la possibilità che azionisti litigiosi assumano iniziative di mero disturbo, così danneggiando la stabilità della gestione e la redditività dei titoli ; d’altra parte, si ravvisano evidenti insuccessi nell’opera di incoraggiamento dell’azionista marginale ad assumere iniziative processuali nell’interesse della società, essenzialmente a causa dell’effetto deterrente rappresentato dalla regola di anticipazione delle spese.
2005
8898068271
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