La giurisprudenza italiana ed internazionale dall’entrata in vigore del regolamento comunitario n. 1346/00, ossia dal 31 maggio 2002, ha chiarito che per COMI, ovvero per centro principale degli interessi del debitore, deve intendersi il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi interessi. Sebbene tale nozione costituisca il criterio primario per individuare la competenza dell’organo giurisdizionale cui attribuire il potere di apertura e gestione di una procedura principale di insolvenza transfrontaliera, il suddetto regolamento non ne fornisce una univoca definizione, contenendo solo alcune indicazioni in merito. L’art. 3 della disciplina comunitaria, il quale detta le norme in materia di foro competente per l’apertura delle procedure d’insolvenza concernenti soggetti che operino in più Stati membri della Comunità, stabilisce una presunzione, passibile di prova contraria, in forza della quale per le persone giuridiche e le società il COMI coincide con il luogo in cui si trova la sede statutaria dell’impresa. Focalizzando la nostra attenzione sulle pronunce emesse in ambito nazionale la giurisprudenza ha chiarito che la verifica necessaria ad individuare l’ubicazione del COMI deve essere condotta dal giudice in concreto sulla base dei dati fattuali di cui dispone. A tal proposito, la Suprema Corte ha ritenuto che il possesso di un solo immobile in Italia, benchè costituisca l’unico bene in concreto idoneo a soddisfare le pretese dei creditori non può considerarsi elemento atto a fondare la giurisdizione italiana, ex art. 3 del regolamento CE. Qualora l’impresa svolga la propria attività nel territorio dello Stato membro in cui ha sede, non è sufficiente per superare la presunzione statuita dal regolamento il solo fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate dalla società madre stabilita in un altro Stato membro. La circostanza che l’impresa sia sottoposta a gestione unitaria da parte della capogruppo ed intrattenga con quest’ultima collegamenti di natura finanziaria ed organizzativa non ha valore probatorio in sé idoneo a superare quanto statuito dall’art. 3 del regolamento CE. E’ necessario, comunque, dimostrare che la sede amministrativa e gestionale della società si trovi effettivamente presso la capogruppo italiana. Nel caso in cui una società controllata abbia la sede statutaria in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la società madre, infatti, la presunzione di coincidenza del COMI con il luogo in cui si trova la sede risultante dallo statuto, può essere superata solo se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentano di riscontrare una situazione reale diversa da quella che dovrebbe ritenersi sussistente in base alla presunzione contenuta nella disciplina comunitaria. La giurisprudenza ha riconosciuto competente ad accertare lo stato di insolvenza il giudice italiano con riferimento ad una società controllata la cui sede statutaria meramente formale o fittizia sia in un altro Stato membro dell’Unione europea, mentre in Italia presso la sede effettiva della controllante si trovi la sede principale da intendersi come centro di reale direzione ed organizzazione dell’impresa. Deve, in altri termini, essere provato che nel nostro Stato vi sia il centro di formazione della volontà sociale e di concentrazione degli interessi della società stessa.
L'insolvenza transfrontaliera
LATELLA, Dario
2011-01-01
Abstract
La giurisprudenza italiana ed internazionale dall’entrata in vigore del regolamento comunitario n. 1346/00, ossia dal 31 maggio 2002, ha chiarito che per COMI, ovvero per centro principale degli interessi del debitore, deve intendersi il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi interessi. Sebbene tale nozione costituisca il criterio primario per individuare la competenza dell’organo giurisdizionale cui attribuire il potere di apertura e gestione di una procedura principale di insolvenza transfrontaliera, il suddetto regolamento non ne fornisce una univoca definizione, contenendo solo alcune indicazioni in merito. L’art. 3 della disciplina comunitaria, il quale detta le norme in materia di foro competente per l’apertura delle procedure d’insolvenza concernenti soggetti che operino in più Stati membri della Comunità, stabilisce una presunzione, passibile di prova contraria, in forza della quale per le persone giuridiche e le società il COMI coincide con il luogo in cui si trova la sede statutaria dell’impresa. Focalizzando la nostra attenzione sulle pronunce emesse in ambito nazionale la giurisprudenza ha chiarito che la verifica necessaria ad individuare l’ubicazione del COMI deve essere condotta dal giudice in concreto sulla base dei dati fattuali di cui dispone. A tal proposito, la Suprema Corte ha ritenuto che il possesso di un solo immobile in Italia, benchè costituisca l’unico bene in concreto idoneo a soddisfare le pretese dei creditori non può considerarsi elemento atto a fondare la giurisdizione italiana, ex art. 3 del regolamento CE. Qualora l’impresa svolga la propria attività nel territorio dello Stato membro in cui ha sede, non è sufficiente per superare la presunzione statuita dal regolamento il solo fatto che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate dalla società madre stabilita in un altro Stato membro. La circostanza che l’impresa sia sottoposta a gestione unitaria da parte della capogruppo ed intrattenga con quest’ultima collegamenti di natura finanziaria ed organizzativa non ha valore probatorio in sé idoneo a superare quanto statuito dall’art. 3 del regolamento CE. E’ necessario, comunque, dimostrare che la sede amministrativa e gestionale della società si trovi effettivamente presso la capogruppo italiana. Nel caso in cui una società controllata abbia la sede statutaria in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la società madre, infatti, la presunzione di coincidenza del COMI con il luogo in cui si trova la sede risultante dallo statuto, può essere superata solo se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentano di riscontrare una situazione reale diversa da quella che dovrebbe ritenersi sussistente in base alla presunzione contenuta nella disciplina comunitaria. La giurisprudenza ha riconosciuto competente ad accertare lo stato di insolvenza il giudice italiano con riferimento ad una società controllata la cui sede statutaria meramente formale o fittizia sia in un altro Stato membro dell’Unione europea, mentre in Italia presso la sede effettiva della controllante si trovi la sede principale da intendersi come centro di reale direzione ed organizzazione dell’impresa. Deve, in altri termini, essere provato che nel nostro Stato vi sia il centro di formazione della volontà sociale e di concentrazione degli interessi della società stessa.Pubblicazioni consigliate
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