Approvata dalla I commissione interni della camera il 23 febbraio 1955, dopo un dibattito parlamentare durato oltre due anni, la Legge «Terracini» impresse una svolta fondamentale nelle norme di reintegrazione dei perseguitati «politici» e «razziali» dal regime monarchico-fascista, concedendo un assegno di benemerenza a quanti tra loro avessero subito un danno fisico di almeno il 30%, che ne avesse diminuito le capacità lavorative. La norma traeva il suo fondamento dalle riparazioni concesse dal governo italiano ai combattenti della I guerra mondiale prodotte per i danni fisici causatigli dal conflitto e trovava identici parallelismi in Austria, Francia e Germania, che parimenti, sulla base di una tradizione giuridica consolidata, elargivano ai perseguitati dai fascismi dei rispettivi paesi uguali indennizzi. Di norma la «Legge Terracini» viene considerata il primo provvedimento erogato a favore dei perseguitati dal fascismo per garantirgli un vitalizio a causa delle persecuzioni subite: in questo saggio si dimostra che ciò non risponde a verità. Già nell’immediato dopoguerra, infatti, venne emanata una disposizione, la legge 372/1946, che prevedeva l’erogazione della pensione di guerra a favore dei partigiani che avessero subito danni fisici e di un assegno di benemerenza a favore dei deportati politici e razziali per quella stessa identica ragione. Il problema stava semmai nel fatto che mentre i perseguitati dal fascismo nella fase compresa tra il 1943 e il 1945 vennero indennizzati subito, i perseguitati dal regime monarchico-fascista dovettero invece attendere un ulteriore decennio prima che le proprie aspettative venissero soddisfatte. Il saggio ripercorre quel decennio rendendo conto delle numerose pressioni da parte dei perseguitati del periodo 1922-1943 e delle agenzie che li rappresentavano per ottenere un simile provvedimento. Ne scaturisce un panorama politico-sociale di grande interesse, che non solo mostra come già a partire dall’immediato dopoguerra tali richieste fossero continue, ma che mette contemporaneamente di fronte alle incertezze del Legislatore su come operare nei confronti di quelle vittime su cui sussistevano scarse conoscenze. Così, per esempio, i lavoratori che erano stati mandati in Germania per essere impiegati nella produzione bellica erano difficilmente inquadrabili: se partiti volontariamente erano da considerarsi alla stregua di collaborazionisti e perciò non indennizzabili; qualora, invece, fossero stati mandati nel Reich coattamente andavano indennizzati. Ma la difficoltà di distinguere tra gli uni e gli altri fece sì che essi vennero in un primo momento inseriti nella legge 372/1946 per poi esserne espulsi definitivamente. Un problema, quello del mancato indennizzo ai lavoratori nel Terzo Reich che continua ad essere attuale.

La legge Terracini e i suoi prodromi

D'Amico, Giovanna
2013-01-01

Abstract

Approvata dalla I commissione interni della camera il 23 febbraio 1955, dopo un dibattito parlamentare durato oltre due anni, la Legge «Terracini» impresse una svolta fondamentale nelle norme di reintegrazione dei perseguitati «politici» e «razziali» dal regime monarchico-fascista, concedendo un assegno di benemerenza a quanti tra loro avessero subito un danno fisico di almeno il 30%, che ne avesse diminuito le capacità lavorative. La norma traeva il suo fondamento dalle riparazioni concesse dal governo italiano ai combattenti della I guerra mondiale prodotte per i danni fisici causatigli dal conflitto e trovava identici parallelismi in Austria, Francia e Germania, che parimenti, sulla base di una tradizione giuridica consolidata, elargivano ai perseguitati dai fascismi dei rispettivi paesi uguali indennizzi. Di norma la «Legge Terracini» viene considerata il primo provvedimento erogato a favore dei perseguitati dal fascismo per garantirgli un vitalizio a causa delle persecuzioni subite: in questo saggio si dimostra che ciò non risponde a verità. Già nell’immediato dopoguerra, infatti, venne emanata una disposizione, la legge 372/1946, che prevedeva l’erogazione della pensione di guerra a favore dei partigiani che avessero subito danni fisici e di un assegno di benemerenza a favore dei deportati politici e razziali per quella stessa identica ragione. Il problema stava semmai nel fatto che mentre i perseguitati dal fascismo nella fase compresa tra il 1943 e il 1945 vennero indennizzati subito, i perseguitati dal regime monarchico-fascista dovettero invece attendere un ulteriore decennio prima che le proprie aspettative venissero soddisfatte. Il saggio ripercorre quel decennio rendendo conto delle numerose pressioni da parte dei perseguitati del periodo 1922-1943 e delle agenzie che li rappresentavano per ottenere un simile provvedimento. Ne scaturisce un panorama politico-sociale di grande interesse, che non solo mostra come già a partire dall’immediato dopoguerra tali richieste fossero continue, ma che mette contemporaneamente di fronte alle incertezze del Legislatore su come operare nei confronti di quelle vittime su cui sussistevano scarse conoscenze. Così, per esempio, i lavoratori che erano stati mandati in Germania per essere impiegati nella produzione bellica erano difficilmente inquadrabili: se partiti volontariamente erano da considerarsi alla stregua di collaborazionisti e perciò non indennizzabili; qualora, invece, fossero stati mandati nel Reich coattamente andavano indennizzati. Ma la difficoltà di distinguere tra gli uni e gli altri fece sì che essi vennero in un primo momento inseriti nella legge 372/1946 per poi esserne espulsi definitivamente. Un problema, quello del mancato indennizzo ai lavoratori nel Terzo Reich che continua ad essere attuale.
2013
9788855532426
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