Cosa possono dirci le teorie biologiche sulle organizzazioni sociali? Sono molti i tentativi di rispondere a questa domanda dal punto di vista evolutivo o ecologico, partendo per esempio dallo studio dei comportamenti degli animali sociali e dei fenomeni collettivi (swarm, etc.). A questi approcci, di estremo interesse, ne vorremmo affiancare uno differente, basato sulla seguente pecisazione della domanda iniziale: "un modello teorico di organismo vivente può dirci qualcosa sull’organizzazione e sul funzionamento dei sistemi sociali?" In linea di principio la risposta è affermativa, perché tali sistemi sono costituiti e realizzati da individui biologici. Ma l’irriducibilità dei fenomeni sociali a quelli biologici impone il problema di stabilire in quale modo e in che misura la caratterizzazione del dominio sociale può appoggiarsi su quella del dominio biologico. Per affrontare entrambe le questioni vorremmo partire dalla teoria dell’autopoiesi fomulata da Humberto Maturana e Francisco Varela negli anni Settanta (Maturana e Varela, 1973, 1980), usualmente riconosciuta come uno dei capisaldi della tradizione teorica delle scienze della complessità. Tale teoria propone un modello di sistema vivente che negli ultimi anni è stato crescentemente e proficuamente applicato in diverse discipline di frontiera - dallo studio dell’origine della vita alla biologia di matrice sistemica, dalle scienze della cognizione a quelle dell’artificiale. Questa diffusione si basa su tre caratteristiche essenziali della teoria dell’autopoiesi, che essa condivide con altre prospettive teoriche appartenenti alla stessa tradizione, ma esprime con particolare rigore. (a) Innanzitutto la teoria dell’autopoiesi è caratterizzata da un impianto sistemico-organizzazionale, che focalizza la descrizione dei sistemi viventi non sui loro componenti fisico-chimici e sulle proprietà individuali o intriseche che li caratterizzano, ma sulle unità che essi realizzano. In particolare si concentra sulle relazioni funzionali invarianti che essi esibiscono all’interno di tali unità, ovvero sul ruolo e sulla forma (o topologia) che le loro interazioni assumono nel caratterizzare l’identità di tali sistemi. (b) In secondo luogo tale teoria sviluppa un approccio processuale, il quale caratterizza le unità organizzate non come insiemi di componenti con relazioni statiche, analoghe a quelle tra gli ingranaggi di un orologio, ma come sistemi permanentemente generati dall’interazione trasformativa dei propri componenti: unità di componenti legati da relazioni dinamiche di trasformazione e pertanto essenzialmente dinamiche esse stesse. (c) Su questa base, la teoria di Maturana e Varela propone nozioni, principi e modelli descrittivi che, in linea di principio, sono applicabili in altri domini. Proprio per questo i tentativi di applicazione della teoria autopoietica al dominio sociale sono stati molteplici e si sono rivolti a diversi aspetti della fenomenologia sociale: dalle aziende alle organizzazioni, dalla comunicazione alla legge (Maturana e Varela, 1984; Hejl, 1980, 1981, 1984; Luhman, 1986; Teubner, 1993; Mingers, 1995; 2004; 2006; Brocklesby e Mingers, 2005; Megalhães e Sanchez, 2009). Lo scopo di questo saggio è quello di recuperare e valorizzare l’apporto della tradizione della teoria autopoietica nella caratterizzazione del dominio sociale, indagandone e sviluppandone i contributi utili a una riflessione su organizzazioni e sistemi sociali che sfugga alla mera trasposizione del modello teorico autopoietico dal dominio biologico a quello antropo-sociale. Per fare ciò, muoveremo da una breve introduzione del concetto di sistema autopoietico nel suo dominio di applicazione orginario, per poi affrontare la questione delle possibilità e dei modi della sua applicazione nel dominio sociale.

Riscoprire la teoria dell'autopoiesi nella caratterizzazione dei sistemi sociali

DAMIANO, Luisa
2012-01-01

Abstract

Cosa possono dirci le teorie biologiche sulle organizzazioni sociali? Sono molti i tentativi di rispondere a questa domanda dal punto di vista evolutivo o ecologico, partendo per esempio dallo studio dei comportamenti degli animali sociali e dei fenomeni collettivi (swarm, etc.). A questi approcci, di estremo interesse, ne vorremmo affiancare uno differente, basato sulla seguente pecisazione della domanda iniziale: "un modello teorico di organismo vivente può dirci qualcosa sull’organizzazione e sul funzionamento dei sistemi sociali?" In linea di principio la risposta è affermativa, perché tali sistemi sono costituiti e realizzati da individui biologici. Ma l’irriducibilità dei fenomeni sociali a quelli biologici impone il problema di stabilire in quale modo e in che misura la caratterizzazione del dominio sociale può appoggiarsi su quella del dominio biologico. Per affrontare entrambe le questioni vorremmo partire dalla teoria dell’autopoiesi fomulata da Humberto Maturana e Francisco Varela negli anni Settanta (Maturana e Varela, 1973, 1980), usualmente riconosciuta come uno dei capisaldi della tradizione teorica delle scienze della complessità. Tale teoria propone un modello di sistema vivente che negli ultimi anni è stato crescentemente e proficuamente applicato in diverse discipline di frontiera - dallo studio dell’origine della vita alla biologia di matrice sistemica, dalle scienze della cognizione a quelle dell’artificiale. Questa diffusione si basa su tre caratteristiche essenziali della teoria dell’autopoiesi, che essa condivide con altre prospettive teoriche appartenenti alla stessa tradizione, ma esprime con particolare rigore. (a) Innanzitutto la teoria dell’autopoiesi è caratterizzata da un impianto sistemico-organizzazionale, che focalizza la descrizione dei sistemi viventi non sui loro componenti fisico-chimici e sulle proprietà individuali o intriseche che li caratterizzano, ma sulle unità che essi realizzano. In particolare si concentra sulle relazioni funzionali invarianti che essi esibiscono all’interno di tali unità, ovvero sul ruolo e sulla forma (o topologia) che le loro interazioni assumono nel caratterizzare l’identità di tali sistemi. (b) In secondo luogo tale teoria sviluppa un approccio processuale, il quale caratterizza le unità organizzate non come insiemi di componenti con relazioni statiche, analoghe a quelle tra gli ingranaggi di un orologio, ma come sistemi permanentemente generati dall’interazione trasformativa dei propri componenti: unità di componenti legati da relazioni dinamiche di trasformazione e pertanto essenzialmente dinamiche esse stesse. (c) Su questa base, la teoria di Maturana e Varela propone nozioni, principi e modelli descrittivi che, in linea di principio, sono applicabili in altri domini. Proprio per questo i tentativi di applicazione della teoria autopoietica al dominio sociale sono stati molteplici e si sono rivolti a diversi aspetti della fenomenologia sociale: dalle aziende alle organizzazioni, dalla comunicazione alla legge (Maturana e Varela, 1984; Hejl, 1980, 1981, 1984; Luhman, 1986; Teubner, 1993; Mingers, 1995; 2004; 2006; Brocklesby e Mingers, 2005; Megalhães e Sanchez, 2009). Lo scopo di questo saggio è quello di recuperare e valorizzare l’apporto della tradizione della teoria autopoietica nella caratterizzazione del dominio sociale, indagandone e sviluppandone i contributi utili a una riflessione su organizzazioni e sistemi sociali che sfugga alla mera trasposizione del modello teorico autopoietico dal dominio biologico a quello antropo-sociale. Per fare ciò, muoveremo da una breve introduzione del concetto di sistema autopoietico nel suo dominio di applicazione orginario, per poi affrontare la questione delle possibilità e dei modi della sua applicazione nel dominio sociale.
2012
978-88-98138-02-9
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