Le diverse opinioni avanzate in dottrina circa la capacità di succedere del concepito ex art 462 c.c. sono state messe in discussione dall’affermarsi della pratica della procreazione medicalmente assistita, regolamentata in Italia dalla legge n. 40 del 2004. Sia nel caso dell’embrione crioconservato e impiantato dopo l’apertura della successione che nel caso dell’inseminazione post mortem, il nascituro sarebbe infatti escluso dalla successione in quanto nella prima ipotesi bisognerebbe dimostrare di essere stato concepito prima dell’apertura della successione, anche se la nascita sia avvenuta oltre i trecento giorni (ex art. 462, 2 c.), nella seconda in quanto non concepito al tempo dell’apertura della successione (art. 462, 1 c.). L’a. si chiede se, al riguardo, sia opportuno muoversi interpretando la legge in modo restrittivo o evolutivo. Una risposta potrebbe ricavarsi dalle fonti romane. Se, infatti, in riferimento ai concepiti post mortem di figli viventi alla morte del de cuius le soluzioni fornite dalla giurisprudenza romana risultano in linea con l’orientamento seguito dal nostro legislatore (art. 462, 3 c.), a proposito dei concepiti, nati post morten patris oltre i limiti stabiliti che potessero attestarne una sicura paternità, gli operatori del diritto, in quella realtà, furono propensi ad adottare soluzioni favorevoli al nascituro, almeno tutte le volte in cui vi fosse una esplicita o implicita volontà del “genitore” di considerare suoi figli legittimi anche quanti fossero nati oltre i dieci mesi dalla sua morte. Le questioni prima prospettate potrebbero perciò trovare soluzione favorevole al concepito, anche se limitatamente alla successione testamentaria, quando cioè il padre dichiari nel suo testamento di voler considerare figli, a tutti gli effetti, pure quanti nascono in seguito ad inseminazione post mortem o ad impianto di embrione crioconservato, avvenuto sempre dopo l’apertura della successione.

La capacità di succedere dei concepiti "post mortem patris": una questione antica

COPPOLA, Giovanna
2016-01-01

Abstract

Le diverse opinioni avanzate in dottrina circa la capacità di succedere del concepito ex art 462 c.c. sono state messe in discussione dall’affermarsi della pratica della procreazione medicalmente assistita, regolamentata in Italia dalla legge n. 40 del 2004. Sia nel caso dell’embrione crioconservato e impiantato dopo l’apertura della successione che nel caso dell’inseminazione post mortem, il nascituro sarebbe infatti escluso dalla successione in quanto nella prima ipotesi bisognerebbe dimostrare di essere stato concepito prima dell’apertura della successione, anche se la nascita sia avvenuta oltre i trecento giorni (ex art. 462, 2 c.), nella seconda in quanto non concepito al tempo dell’apertura della successione (art. 462, 1 c.). L’a. si chiede se, al riguardo, sia opportuno muoversi interpretando la legge in modo restrittivo o evolutivo. Una risposta potrebbe ricavarsi dalle fonti romane. Se, infatti, in riferimento ai concepiti post mortem di figli viventi alla morte del de cuius le soluzioni fornite dalla giurisprudenza romana risultano in linea con l’orientamento seguito dal nostro legislatore (art. 462, 3 c.), a proposito dei concepiti, nati post morten patris oltre i limiti stabiliti che potessero attestarne una sicura paternità, gli operatori del diritto, in quella realtà, furono propensi ad adottare soluzioni favorevoli al nascituro, almeno tutte le volte in cui vi fosse una esplicita o implicita volontà del “genitore” di considerare suoi figli legittimi anche quanti fossero nati oltre i dieci mesi dalla sua morte. Le questioni prima prospettate potrebbero perciò trovare soluzione favorevole al concepito, anche se limitatamente alla successione testamentaria, quando cioè il padre dichiari nel suo testamento di voler considerare figli, a tutti gli effetti, pure quanti nascono in seguito ad inseminazione post mortem o ad impianto di embrione crioconservato, avvenuto sempre dopo l’apertura della successione.
2016
978-88-9210116-6
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