Prendendo le mosse dall’importanza della riserva di legge in materia processuale sancita nel secondo comma dell’art. 111 Cost., l’A. ne identifica la ratio nella specifica esigenza di impedire al potere giudiziario di alterare l’equilibrio insito negli istituti e meccanismi processuali come delineati dal legislatore, a tutela dell’uniformità del trattamento dei cittadini e sulla scorta dell’acquisizione teorica della non neutralità delle forme processuali. L’articolo esamina i limiti cui sono tenuti i giudici nella riconformazione delle regole procedurali, anche in relazione alle ipotesi di case management e di riscrittura di regole processuali ad opera del diritto vivente. Si prende in considerazione, poi, la questione dei limiti che dalla riserva di legge possono essere fatti discendere per le sentenze manipolative della Corte costituzionale. Considerando esulante dagli scopi della riserva di legge l’esclusione che da essa si è talora tratta nei confronti delle sentenze additive – in quanto tale tesi equivarrebbe, tradendo la ratio garantista della stessa riserva, a creare una zona franca dal rispetto del principio di supremazia costituzionale – l’A. argomenta come, tuttavia, debbano considerarsi ricadenti nella suddetta preclusione le pronunce “additive di principio”. Infine, l’analisi si sofferma sulla prassi giurisprudenziale costituzionale, da cui emerge la conversione della riserva nel rispetto (quasi) assoluto della discrezionalità del legislatore, traducentesi in un atteggiamento di rigoroso self restraint, superabile solo dinanzi ad opzioni legislative manifestamente irragionevoli. Alla luce di ciò, si saluta con favore la tendenza più recente che, valorizzando la funzione dell’art. 111, co. 2, elabora un nucleo di garanzie minime di natura processuale (quali il contraddittorio, la stabilità delle decisioni definitive e il ricorso in Cassazione).

Riserva di legge in materia processuale e latitudine del sindacato di costituzionalità

SORRENTI, Giuseppa
2016-01-01

Abstract

Prendendo le mosse dall’importanza della riserva di legge in materia processuale sancita nel secondo comma dell’art. 111 Cost., l’A. ne identifica la ratio nella specifica esigenza di impedire al potere giudiziario di alterare l’equilibrio insito negli istituti e meccanismi processuali come delineati dal legislatore, a tutela dell’uniformità del trattamento dei cittadini e sulla scorta dell’acquisizione teorica della non neutralità delle forme processuali. L’articolo esamina i limiti cui sono tenuti i giudici nella riconformazione delle regole procedurali, anche in relazione alle ipotesi di case management e di riscrittura di regole processuali ad opera del diritto vivente. Si prende in considerazione, poi, la questione dei limiti che dalla riserva di legge possono essere fatti discendere per le sentenze manipolative della Corte costituzionale. Considerando esulante dagli scopi della riserva di legge l’esclusione che da essa si è talora tratta nei confronti delle sentenze additive – in quanto tale tesi equivarrebbe, tradendo la ratio garantista della stessa riserva, a creare una zona franca dal rispetto del principio di supremazia costituzionale – l’A. argomenta come, tuttavia, debbano considerarsi ricadenti nella suddetta preclusione le pronunce “additive di principio”. Infine, l’analisi si sofferma sulla prassi giurisprudenziale costituzionale, da cui emerge la conversione della riserva nel rispetto (quasi) assoluto della discrezionalità del legislatore, traducentesi in un atteggiamento di rigoroso self restraint, superabile solo dinanzi ad opzioni legislative manifestamente irragionevoli. Alla luce di ciò, si saluta con favore la tendenza più recente che, valorizzando la funzione dell’art. 111, co. 2, elabora un nucleo di garanzie minime di natura processuale (quali il contraddittorio, la stabilità delle decisioni definitive e il ricorso in Cassazione).
2016
9788892101166
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