In ogni ordinamento che individui nella dignità della persona il proprio «punto archimedico», sono proprio le fasi della vita nella quale gli esseri umani si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità ad apparire come bisognose di particolare attenzione da parte dell'ordinamento: in tale situazione si ricomprendono i minori stranieri non accompagnati. La nostra Costituzione, ad esempio, affida alla Repubblica la protezione dell’infanzia, della maternità e della gioventù, (art. 31) specificando che sui luoghi di lavoro la madre ed il suo bambino richiedono una «speciale, adeguata protezione» (art. 37). Tuttavia, è sul piano internazionale che si è affermato il canone del «superiore, o preminente, interesse del minore» (menzionato, ad esempio, sin dal 1959 nel Principio II della Dichiarazione dei diritti del fanciullo per l’adozione delle leggi e nel Principio VII per coloro che hanno la responsabilità dell’educazione ed orientamento del fanciullo, nell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 e nell’art. 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciullo firmata a Strasburgo nel 1996); in ambito europeo nel lontano 1992 il Parlamento europeo ha adottato la Carta europea dei diritti del fanciullo cui hanno fatto seguito numerosissime direttive ed in materia di asilo vi sono recenti regolamenti che prendono in considerazione il superiore interesse del minore. Si tratta di un principio che la Corte costituzionale ha utilizzato a integrazione del parametro di costituzionalità sin dalla sent. n. 11/1981 in tema di adozione speciale. Esso, peraltro, appare anche nella giurisprudenza di Strasburgo ed è recepito anche dalla Carta di Nizza-Strasburgo (art. 24). 1l superiore interesse del minore trova applicazione anche quando non siano in gioco (solo) i princìpi costituzionali relativi al diritto di famiglia, allorché nel caso dei minori immigrati, siano coinvolti princìpi costituzionali riferibili ad altri ambiti, quale la sicurezza. Ad esempio, il testo unico sull’immigrazione afferma che in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e che comunque riguardino i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 (art. 28). Lo stesso testo unico, pertanto, consente che il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, possa autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni legislative vigenti (art. 31). Anche l’Unione europea dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona, nel dar seguito alla giurisprudenza della Corte di Giustizia ha prodotto, in tema di asilo, una varietà di fonti direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, con una tempistica esemplare. Come è noto il regolamento CE n. 343/2003 del Consiglio (cd. sistema di Dublino II) riguarda il diritto di asilo in Europa e statuisce i criteri di determinazione dello Stato membro competente nel caso di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo per il riconoscimento dello status di rifugiato. Quest’ultimo è stato recentemente abrogato dal regolamento «Dublino III» n. 604/2013(UE) – come si dirà infra – sulla scorta delle sollecitazioni del diritto vivente, in particolare di alcune decisioni della Corte di Giustizia chiamata ad interpretare fattispecie concernenti i MSNA. Nel lavoro sono stati esaminati casi giurisprudenziali apparsi degni di attenzione per comprendere meglio la portata del regolamento ma soprattutto le criticità della disciplina attuale e le necessarie modificazioni per gestire correttamente la tutela dei MSNA.. In data 26 giugno 2013, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato il cd. regolamento Dublino III n. 604/2013(UE), abrogando il precedente n. 343/2003 cd. Dublino II. Il nuovo regolamento prevede nuovi criteri di determinazione dello Stato membro competente e valorizza i legami familiari dei MSNA per l’esame di una domanda sia di protezione internazionale ma anche sussidiaria presentata da un cittadino di un Paese terzo o apolide. Il regolamento è entrato in vigore il 13 luglio 2013 ed è applicabile alle domande presentate dopo l’1 gennaio2014 in tutti gli Stati europei tranne la Danimarca. Tale normativa prevede che nel caso di un minore straniero non accompagnato, avente parenti legalmente residenti all’interno di uno Stato membro, si applichi un criterio di competenza vincolante in caso di presenza di un familiare o parente che lo possa accudire in uno Stato membro, in virtù del legame tra l’interesse del minore ed il valore dell’unità familiare. Il precedente regolamento prevedeva solo la competenza dello Stato in cui risiedevano legalmente i genitori ed utilizzava una dizione comprendente solo i familiari in senso stretto. Va comunque sottolineato che il regolamento ha volutamente lasciato senza risposta la problematica dei minori non accompagnati senza familiari legalmente residenti in uno Stato membro: tutto questo accade in Europa. Particolarmente difficile è dare una risposta sui motivi di un intervento così tardivo da parte dell’ordinamento italiano, al fine di poter concretizzare la tutela dei MSNA. Infatti, l’idem sentire del superiore interesse del minore raggiunge un’omogeneità culturale non usuale e produce mirabilmente una convergenza di indirizzi giurisprudenziali. Tali minori si trovano in uno stato di particolare vulnerabilità anche per le particolari e tragiche difficoltà che devono superare privi di una famiglia che li protegga durante il «viaggio della speranza», per cui alla stregua dei minori italiani e comunitari senza famiglia, lo Stato, le Regioni e gli enti territoriali nell’ambito delle proprie competenze, hanno l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee al loro benessere, a partire dal diritto all’istruzione, alla tutela della salute sino ad un potenziale inserimento sociale. Tale risultato non è facilmente raggiungibile in una fase di revisione della spesa pubblica. Ci si chiede, a questo punto, se il principio abbia una sorta di «prelazione», così deporrebbe la presenza in larga misura dell’aggettivo «prevalente» nelle decisioni giurisprudenziali. Infatti, esso costituisce un preorientamento nelle operazioni di bilanciamento dei giudici italiani per la risoluzione nel senso favorevole al minore di un conflitto tra valori. È evidente che l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali da parte dei giudici è ormai inevitabile. In ambito interno, non si può fare a meno di constatare quanto le politiche sociali promosse dalle Regioni unitamente agli enti locali ed alle associazioni a favore dei MSNA abbiano rappresentato i punti cardine per la protezione immediata e l’inserimento adeguato dei minori più vulnerabili, senza dimenticare però le prerogative dello Stato centrale. L’insieme di queste politiche sono le più delicate per il minore perché prevedono identificazione, accertamento dell’età, status e avviamento delle pratiche per un possibile ricongiungimento con parenti presenti anche in altri Paese dell’U.E. Infatti, ogni anno aumentano gli enti locali che operano sulla prima accoglienza e quasi la metà di essi intervengono sulla seconda accoglienza, specialmente in Puglia, Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia qualora non sia stato possibile dare i minori in affidamento e non sia stato richiesto il rimpatrio volontario. Tutti i rapporti che analizzano il fenomeno nella sua interezza dei MSNA evidenziano come l’unica strategia vincente per garantire l’effettiva tutela dei diritti dei MSNA sia una rete di servizi predisposti a livello locale e collegata a livello nazionale. Infatti, relativamente alle politiche sociali le Regioni hanno operato per un’effettiva riorganizzazione ed innovazione legislativa che ha tenuto conto del decentramento dei servizi a livello locale ben prima della legislazione nazionale. In questa luce anche se circoscritta a tali materie, le Regioni non costituiscono centri di spesa inutili ma contribuiscono con le risorse disponibili a creare delle esperienze innovative nel gestire tali minori, tentando di superare i tradizionali modelli di accoglienza attraverso il monitoraggio delle problematicità più urgenti già evidenziate grazie all’ausilio di associazioni internazionali. Tutto ciò al fine di assicurare quel «superiore interesse del minore» su cui si registra un consenso unanime nei vari livelli di governo. Il numero sempre più elevato delle varie fasce d’età di minori non ha impedito tra mille difficoltà di differenziare il trattamento e l’accoglimento degli adolescenti rispetto agli infanti. Si auspica in tal senso un intervento legislativo che tenga conto di queste diversità. Fra le strategie innovative anche la formazione degli operatori sociali si rivela fondamentale: degne di merito sono state le politiche sociali volte ad individuare gli educatori tra coloro che hanno precedentemente vissuto esperienze di migrazione cd. peer educator.

La tutela dei minori stranieri non accompagnati nel rapporto tra l'ordinamento interno e quello sovranazionale

QUATTROCCHI, Maria Letteria
2016-01-01

Abstract

In ogni ordinamento che individui nella dignità della persona il proprio «punto archimedico», sono proprio le fasi della vita nella quale gli esseri umani si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità ad apparire come bisognose di particolare attenzione da parte dell'ordinamento: in tale situazione si ricomprendono i minori stranieri non accompagnati. La nostra Costituzione, ad esempio, affida alla Repubblica la protezione dell’infanzia, della maternità e della gioventù, (art. 31) specificando che sui luoghi di lavoro la madre ed il suo bambino richiedono una «speciale, adeguata protezione» (art. 37). Tuttavia, è sul piano internazionale che si è affermato il canone del «superiore, o preminente, interesse del minore» (menzionato, ad esempio, sin dal 1959 nel Principio II della Dichiarazione dei diritti del fanciullo per l’adozione delle leggi e nel Principio VII per coloro che hanno la responsabilità dell’educazione ed orientamento del fanciullo, nell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 e nell’art. 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciullo firmata a Strasburgo nel 1996); in ambito europeo nel lontano 1992 il Parlamento europeo ha adottato la Carta europea dei diritti del fanciullo cui hanno fatto seguito numerosissime direttive ed in materia di asilo vi sono recenti regolamenti che prendono in considerazione il superiore interesse del minore. Si tratta di un principio che la Corte costituzionale ha utilizzato a integrazione del parametro di costituzionalità sin dalla sent. n. 11/1981 in tema di adozione speciale. Esso, peraltro, appare anche nella giurisprudenza di Strasburgo ed è recepito anche dalla Carta di Nizza-Strasburgo (art. 24). 1l superiore interesse del minore trova applicazione anche quando non siano in gioco (solo) i princìpi costituzionali relativi al diritto di famiglia, allorché nel caso dei minori immigrati, siano coinvolti princìpi costituzionali riferibili ad altri ambiti, quale la sicurezza. Ad esempio, il testo unico sull’immigrazione afferma che in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e che comunque riguardino i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176 (art. 28). Lo stesso testo unico, pertanto, consente che il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, possa autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni legislative vigenti (art. 31). Anche l’Unione europea dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona, nel dar seguito alla giurisprudenza della Corte di Giustizia ha prodotto, in tema di asilo, una varietà di fonti direttamente applicabili in tutti gli Stati membri, con una tempistica esemplare. Come è noto il regolamento CE n. 343/2003 del Consiglio (cd. sistema di Dublino II) riguarda il diritto di asilo in Europa e statuisce i criteri di determinazione dello Stato membro competente nel caso di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo per il riconoscimento dello status di rifugiato. Quest’ultimo è stato recentemente abrogato dal regolamento «Dublino III» n. 604/2013(UE) – come si dirà infra – sulla scorta delle sollecitazioni del diritto vivente, in particolare di alcune decisioni della Corte di Giustizia chiamata ad interpretare fattispecie concernenti i MSNA. Nel lavoro sono stati esaminati casi giurisprudenziali apparsi degni di attenzione per comprendere meglio la portata del regolamento ma soprattutto le criticità della disciplina attuale e le necessarie modificazioni per gestire correttamente la tutela dei MSNA.. In data 26 giugno 2013, il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno adottato il cd. regolamento Dublino III n. 604/2013(UE), abrogando il precedente n. 343/2003 cd. Dublino II. Il nuovo regolamento prevede nuovi criteri di determinazione dello Stato membro competente e valorizza i legami familiari dei MSNA per l’esame di una domanda sia di protezione internazionale ma anche sussidiaria presentata da un cittadino di un Paese terzo o apolide. Il regolamento è entrato in vigore il 13 luglio 2013 ed è applicabile alle domande presentate dopo l’1 gennaio2014 in tutti gli Stati europei tranne la Danimarca. Tale normativa prevede che nel caso di un minore straniero non accompagnato, avente parenti legalmente residenti all’interno di uno Stato membro, si applichi un criterio di competenza vincolante in caso di presenza di un familiare o parente che lo possa accudire in uno Stato membro, in virtù del legame tra l’interesse del minore ed il valore dell’unità familiare. Il precedente regolamento prevedeva solo la competenza dello Stato in cui risiedevano legalmente i genitori ed utilizzava una dizione comprendente solo i familiari in senso stretto. Va comunque sottolineato che il regolamento ha volutamente lasciato senza risposta la problematica dei minori non accompagnati senza familiari legalmente residenti in uno Stato membro: tutto questo accade in Europa. Particolarmente difficile è dare una risposta sui motivi di un intervento così tardivo da parte dell’ordinamento italiano, al fine di poter concretizzare la tutela dei MSNA. Infatti, l’idem sentire del superiore interesse del minore raggiunge un’omogeneità culturale non usuale e produce mirabilmente una convergenza di indirizzi giurisprudenziali. Tali minori si trovano in uno stato di particolare vulnerabilità anche per le particolari e tragiche difficoltà che devono superare privi di una famiglia che li protegga durante il «viaggio della speranza», per cui alla stregua dei minori italiani e comunitari senza famiglia, lo Stato, le Regioni e gli enti territoriali nell’ambito delle proprie competenze, hanno l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee al loro benessere, a partire dal diritto all’istruzione, alla tutela della salute sino ad un potenziale inserimento sociale. Tale risultato non è facilmente raggiungibile in una fase di revisione della spesa pubblica. Ci si chiede, a questo punto, se il principio abbia una sorta di «prelazione», così deporrebbe la presenza in larga misura dell’aggettivo «prevalente» nelle decisioni giurisprudenziali. Infatti, esso costituisce un preorientamento nelle operazioni di bilanciamento dei giudici italiani per la risoluzione nel senso favorevole al minore di un conflitto tra valori. È evidente che l’applicazione della Carta dei diritti fondamentali da parte dei giudici è ormai inevitabile. In ambito interno, non si può fare a meno di constatare quanto le politiche sociali promosse dalle Regioni unitamente agli enti locali ed alle associazioni a favore dei MSNA abbiano rappresentato i punti cardine per la protezione immediata e l’inserimento adeguato dei minori più vulnerabili, senza dimenticare però le prerogative dello Stato centrale. L’insieme di queste politiche sono le più delicate per il minore perché prevedono identificazione, accertamento dell’età, status e avviamento delle pratiche per un possibile ricongiungimento con parenti presenti anche in altri Paese dell’U.E. Infatti, ogni anno aumentano gli enti locali che operano sulla prima accoglienza e quasi la metà di essi intervengono sulla seconda accoglienza, specialmente in Puglia, Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia qualora non sia stato possibile dare i minori in affidamento e non sia stato richiesto il rimpatrio volontario. Tutti i rapporti che analizzano il fenomeno nella sua interezza dei MSNA evidenziano come l’unica strategia vincente per garantire l’effettiva tutela dei diritti dei MSNA sia una rete di servizi predisposti a livello locale e collegata a livello nazionale. Infatti, relativamente alle politiche sociali le Regioni hanno operato per un’effettiva riorganizzazione ed innovazione legislativa che ha tenuto conto del decentramento dei servizi a livello locale ben prima della legislazione nazionale. In questa luce anche se circoscritta a tali materie, le Regioni non costituiscono centri di spesa inutili ma contribuiscono con le risorse disponibili a creare delle esperienze innovative nel gestire tali minori, tentando di superare i tradizionali modelli di accoglienza attraverso il monitoraggio delle problematicità più urgenti già evidenziate grazie all’ausilio di associazioni internazionali. Tutto ciò al fine di assicurare quel «superiore interesse del minore» su cui si registra un consenso unanime nei vari livelli di governo. Il numero sempre più elevato delle varie fasce d’età di minori non ha impedito tra mille difficoltà di differenziare il trattamento e l’accoglimento degli adolescenti rispetto agli infanti. Si auspica in tal senso un intervento legislativo che tenga conto di queste diversità. Fra le strategie innovative anche la formazione degli operatori sociali si rivela fondamentale: degne di merito sono state le politiche sociali volte ad individuare gli educatori tra coloro che hanno precedentemente vissuto esperienze di migrazione cd. peer educator.
2016
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