«Conoscere è riconoscere»: il titolo che abbiamo scelto riecheggia la massima di Hegel non perché si voglia affermare che ogni forma di conoscenza avviene secondo l’epistemologia hegeliana, ossia nel senso del riconoscere/legittimare, ma in quanto il percorso che seguiremo non è quello di una ricostruzione oggettiva dello sciamanismo (come aveva fatto Roux) attraverso le relazioni di viaggio ad Tartaros; proveremo invece a capire quale fosse l’interpretazione della cultura sciamanica, dei suoi riti e delle sue forme, fornita dai nostri testimoni; un’interpretazione che ovviamente passava attraverso il rapporto con la magia occidentale e il fatto che per alcune di tali pratiche, come quelle divinatorie, il riconoscimento fosse più facile per via di tratti comuni. In altri casi, come per le forme estatiche, era necessaria un’elaborazione maggiore perché si potesse riconoscere e spiegare. Vedremo in che modo questo è avvenuto. Le fonti che prendiamo in considerazione sono la Historia mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine, l’Itinerarium di Guglielmo di Rubruck, il Milione di Marco Polo (secondo diverse redazioni); e in misura minima la Peregrinatio di Ricoldo da Montecroce e l’Itinerarium di Odorico da Pordenone: dunque testi compresi tra la metà del Duecento e i primi del Trecento; questo perché le fonti successive, pur essendo state composte da religiosi che visitavano la Cina e i mongoli con il fine preciso dell’evangelizzazione, sembrano aver perso ogni interesse a descrivere i costumi religiosi che incontrano, concentrandosi solo sulla propria missione.

Conoscere è riconoscere. Lo sciamanismo nelle relazioni di viaggio ad Tartaros

MONTESANO, Marina
2017-01-01

Abstract

«Conoscere è riconoscere»: il titolo che abbiamo scelto riecheggia la massima di Hegel non perché si voglia affermare che ogni forma di conoscenza avviene secondo l’epistemologia hegeliana, ossia nel senso del riconoscere/legittimare, ma in quanto il percorso che seguiremo non è quello di una ricostruzione oggettiva dello sciamanismo (come aveva fatto Roux) attraverso le relazioni di viaggio ad Tartaros; proveremo invece a capire quale fosse l’interpretazione della cultura sciamanica, dei suoi riti e delle sue forme, fornita dai nostri testimoni; un’interpretazione che ovviamente passava attraverso il rapporto con la magia occidentale e il fatto che per alcune di tali pratiche, come quelle divinatorie, il riconoscimento fosse più facile per via di tratti comuni. In altri casi, come per le forme estatiche, era necessaria un’elaborazione maggiore perché si potesse riconoscere e spiegare. Vedremo in che modo questo è avvenuto. Le fonti che prendiamo in considerazione sono la Historia mongalorum di Giovanni di Pian del Carpine, l’Itinerarium di Guglielmo di Rubruck, il Milione di Marco Polo (secondo diverse redazioni); e in misura minima la Peregrinatio di Ricoldo da Montecroce e l’Itinerarium di Odorico da Pordenone: dunque testi compresi tra la metà del Duecento e i primi del Trecento; questo perché le fonti successive, pur essendo state composte da religiosi che visitavano la Cina e i mongoli con il fine preciso dell’evangelizzazione, sembrano aver perso ogni interesse a descrivere i costumi religiosi che incontrano, concentrandosi solo sulla propria missione.
2017
978-88-96419-88-5
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