Il contributo approfondisce l'analisi di alcune tesi interpretative che ostacolano o deviano il processo di attuazione dei principi costituzionali sovraordinati alla disciplina giuridica delle libertà in materia di religione e che ruotano intorno alla questione della materia da trattare necessariamente per via bilaterale, alla questione del ruolo da riservare alla legislazione unilaterale dello Stato nel campo delle garanzie da assicurare alle libertà di religione, e, infine, intorno alla questione del nesso tra imposizione della bilateralità, affermazione del principio di reciproca indipendenza degli ordini e attuazione dell’eguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge. Il contributo evidenzia come si tratta di tesi che inducono a credere erroneamente: a) che il problema centrale nell’attuazione del principio di bilateralità stia nella qualificazione confessionale del soggetto interlocutore; b) che, in relazione ad un soggetto confessionalmente qualificabile, il vincolo di bilateralità sia destinato a coprire qualsiasi tipo di domanda riconducibile ad interessi di libertà in materia di religione; 3) che il principio di bilateralità si esaurisca in una norma di carattere procedurale, isolabile dagli altri principi costituzionali riguardanti la libertà di religione, compresi persino quelli inseriti all’interno del medesimo articolo che lo contiene. Si evidenzia nel lavoro come tali errori alimentino poi la tesi secondo la quale il vincolo della bilateralità sarebbe predestinato ad operare a carico di qualsiasi intervento legislativo dello Stato che disciplini interessi confessionalmente rappresentati e ad introdurre così un’irragionevole discriminazione ai danni degli interessi rappresentati in materia di religione da soggetti non qualificabili come confessioni. Con la conseguenza che gli appetiti rimasti insoddisfatti dovrebbero essere saziati dal diritto comune che, per via di pratiche di bilateralità diffusa, basterebbe a garantire agli esclusi dalla bilateralità necessaria la stessa misura di tutela che avrebbero guadagnato se avessero potuto stipulare un’intesa ai sensi dell’art. 8 Cost. Il contributo sostiene ed argomenta la tesi secondo la quale, di contro: 1) la questione dei destinatari della garanzia offerta dagli ultimi commi degli artt. 7 e 8 Cost. si pone soltanto dopo avere risolto la questione preliminare della delimitazione dell’oggetto o materia da disciplinare; 2) fuori dai casi in cui serva transigere particolari soluzioni di ragionevole accomodamento reciproco al fine di prevenire conflitti di lealtà, torna ad espandersi la piena autonomia della legislazione unilaterale dello Stato e sono praticabili esclusivamente forme di bilateralità c.d. diffusa, vincolanti solo politicamente; 3) rimettere alle leggi comuni l’attuazione dell’eguale libertà confessionale e del pluralismo religioso e culturale rischia di favorire esclusivamente gli interessi rappresentati dai soggetti confessionali e non confessionali tradizionalmente ed economicamente più forti. La via d’uscita sarebbe quella di adoperarsi a lavorare contemporaneamente su tre diversi fronti: quello di una laicizzazione delle leggi comuni che sappia farsi carico del dovere costituzionale di soddisfare effettivamente gli interessi “di tutti”; quello di una revisione unilaterale della normativa sui culti ammessi che sappia riempire di contenuti i principi del pluralismo religioso e dell’eguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge; e, infine, quello di uno sviluppo e di un aggiornamento permanente delle leggi prodotte in via di bilateralità necessaria per garantire effettiva tutela anche ad interessi religiosi specifici di una determinata confessione soltanto.
Libertà religiosa tra bilateralità necessaria, diffusa e impropria
DOMIANELLO, Rosaria Maria
2017-01-01
Abstract
Il contributo approfondisce l'analisi di alcune tesi interpretative che ostacolano o deviano il processo di attuazione dei principi costituzionali sovraordinati alla disciplina giuridica delle libertà in materia di religione e che ruotano intorno alla questione della materia da trattare necessariamente per via bilaterale, alla questione del ruolo da riservare alla legislazione unilaterale dello Stato nel campo delle garanzie da assicurare alle libertà di religione, e, infine, intorno alla questione del nesso tra imposizione della bilateralità, affermazione del principio di reciproca indipendenza degli ordini e attuazione dell’eguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge. Il contributo evidenzia come si tratta di tesi che inducono a credere erroneamente: a) che il problema centrale nell’attuazione del principio di bilateralità stia nella qualificazione confessionale del soggetto interlocutore; b) che, in relazione ad un soggetto confessionalmente qualificabile, il vincolo di bilateralità sia destinato a coprire qualsiasi tipo di domanda riconducibile ad interessi di libertà in materia di religione; 3) che il principio di bilateralità si esaurisca in una norma di carattere procedurale, isolabile dagli altri principi costituzionali riguardanti la libertà di religione, compresi persino quelli inseriti all’interno del medesimo articolo che lo contiene. Si evidenzia nel lavoro come tali errori alimentino poi la tesi secondo la quale il vincolo della bilateralità sarebbe predestinato ad operare a carico di qualsiasi intervento legislativo dello Stato che disciplini interessi confessionalmente rappresentati e ad introdurre così un’irragionevole discriminazione ai danni degli interessi rappresentati in materia di religione da soggetti non qualificabili come confessioni. Con la conseguenza che gli appetiti rimasti insoddisfatti dovrebbero essere saziati dal diritto comune che, per via di pratiche di bilateralità diffusa, basterebbe a garantire agli esclusi dalla bilateralità necessaria la stessa misura di tutela che avrebbero guadagnato se avessero potuto stipulare un’intesa ai sensi dell’art. 8 Cost. Il contributo sostiene ed argomenta la tesi secondo la quale, di contro: 1) la questione dei destinatari della garanzia offerta dagli ultimi commi degli artt. 7 e 8 Cost. si pone soltanto dopo avere risolto la questione preliminare della delimitazione dell’oggetto o materia da disciplinare; 2) fuori dai casi in cui serva transigere particolari soluzioni di ragionevole accomodamento reciproco al fine di prevenire conflitti di lealtà, torna ad espandersi la piena autonomia della legislazione unilaterale dello Stato e sono praticabili esclusivamente forme di bilateralità c.d. diffusa, vincolanti solo politicamente; 3) rimettere alle leggi comuni l’attuazione dell’eguale libertà confessionale e del pluralismo religioso e culturale rischia di favorire esclusivamente gli interessi rappresentati dai soggetti confessionali e non confessionali tradizionalmente ed economicamente più forti. La via d’uscita sarebbe quella di adoperarsi a lavorare contemporaneamente su tre diversi fronti: quello di una laicizzazione delle leggi comuni che sappia farsi carico del dovere costituzionale di soddisfare effettivamente gli interessi “di tutti”; quello di una revisione unilaterale della normativa sui culti ammessi che sappia riempire di contenuti i principi del pluralismo religioso e dell’eguale libertà di tutte le confessioni davanti alla legge; e, infine, quello di uno sviluppo e di un aggiornamento permanente delle leggi prodotte in via di bilateralità necessaria per garantire effettiva tutela anche ad interessi religiosi specifici di una determinata confessione soltanto.File | Dimensione | Formato | |
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