Quotidianamente veniamo profondamente turbati da notizie di sbarchi clandestini di povere persone che, in cerca di una vita migliore, lasciano il proprio Paese d’origine e si avventurano su gommoni o barconi di pochi metri, carichi e stracolmi di carne umana compresi donne e bambini, pilotati da gente senza scrupoli che approfitta della loro debolezza e del bisogno di fuggire da una terra senza risorse. Questi comandanti di imbarcazioni fantasma fanno pagare il biglietto che equivale al risparmio di una vita e durante questo lungo viaggio di speranza verso la meta (spesso l’Italia) molti non ce la fanno, non potendo così mai gettare l’ancora di salvezza in una terra tanto desiderata. Oggi, come in passato, gran parte degli stranieri entra con un visto turistico o da clandestini, restando in Italia fino alla prossima sanatoria. Non è facile in un Paese come il nostro dai confini aperti e a vocazione turistica regolamentare gli ingressi. Si potrebbero fissare quote realistiche, differenziate per nazionalità e in base ad accordi con i Paesi di provenienza, ma non condizionate a un’improbabile pre-definizione del posto di lavoro. Si potrebbe pensare ad un doppio step, con la concessione di visti di ingressi provvisori che potrebbero trasformarsi in permessi di soggiorno pluriennali, per chi nel giro di un anno trovi un’occupazione. Questo non potrà eliminare del tutto l’irregolarità e gli ingressi clandestini, tuttavia sarebbe già un grande successo se buona parte degli ingressi potessero seguire percorsi legali. Gli immigrati che giungono nella nostra terra non devono essere quindi più considerati come calamità, ma come risorse umane per lo sviluppo economico da utilizzare in tutti quei settori, come l’agricoltura e l’assistenza domestica, dove è venuta a mancare una consistente quota di manodopera locale. Non dimentichiamo che la Sicilia è stata una terra d’immigrazione e che nella seconda metà del XX secolo fino agli anni ‘80 vedeva la fuga dei nostri conterranei verso le zone del Nord-Ovest dell’Italia, sede del famoso Triangolo Industriale, e ancora prima verso l’America, in particolare l’America latina, e successivamente verso i Paesi del Nord Europa e l’Australia. Non pretendiamo di pensare che la loro integrazione sia stata più semplice di coloro che oggi giungono da noi, in quanto chi lascia la propria terra è spinto dalla disperazione e dal fatto che non ha nulla da perdere e il suo principale desiderio è quello di riuscire a costruire un futuro dove le condizioni e le risorse possano permetterlo. Possiamo affermare che molti italiani fuggiti in tutto il mondo ricoprono oggi importanti ruoli all’interno della società e delle istituzioni. Questo è stato possibile perché qualcuno ha dato loro l’opportunità di essere accolti e integrati, quindi di fronte a questi antecedenti l’aspettativa è quella di non chiudere le porte a questa povera gente, ma di dare voce alla nostra sensibilità per offrire loro la possibilità di vivere dignitosamente e realizzare pienamente, anche se lontani dalla loro terra, quel processo di integrazione nel Paese di accoglienza che possa consentirgli un futuro più concreto e privo di incertezza e precarietà. Il fenomeno dell’inclusione sociale degli stranieri in Italia rappresenta uno degli aspetti che riveste notevole rilievo nei recenti studi finalizzati a determinare la capacità di inserimento economico e socioculturale che i migranti possono acquisire, tenendo conto delle diverse dimensioni sottese al fenomeno stesso. Da quando l’immigrazione è diventata uno dei fenomeni sociali più importanti del nostro Paese, l’integrazione rappresenta non solo il tema principale a cui si guarda con molta attenzione, ma anche un percorso irrinunciabile per la stessa società. La valutazione del livello d’integrazione di una comunità straniera in un territorio non è facile da realizzare, essendo differente il contenuto che nelle varie realtà nazionali viene dato al termine integrazione. L’Italia ha una storia relativamente recente come Paese di immigrazione e, per l’estrema rapidità con cui da Paese d’emigrazione si è trasformato in luogo d’immigrazione, si è andati incontro a una difficoltà di valutare correttamente la consistenza del fenomeno e i suoi effetti. Ciò ha portato a una radicalizzazione di percezioni e di valutazioni sulle conseguenze del fenomeno migratorio che spesso non hanno contribuito a cogliere la complessa realtà delle immigrazioni e i suoi molteplici impatti. Il processo d’integrazione è una meta che deve essere costantemente perseguita a livello economico, culturale, sociale e politico. I percorsi d’inserimento del migrante assumono modalità e forme differenti. In uno stesso contesto territoriale i modelli di inserimento possono essere diversi, variabili secondo le aree di provenienza, le motivazioni del trasferimento, ma anche secondo le qualità professionali, sociali e culturali che identificano le varie etnie. Un altro aspetto è la definizione di percorsi brevi e realistici per la concessione della cittadinanza. In Italia vige lo ius sanguinis, che impedisce agli immigrati e ai loro figli di conseguirla, se non dopo un periodo molto lungo di permanenza continuativa. Per migliorare il processo di integrazione occorre che siano destinate più risorse alle seconde generazioni, cioè ai figli di immigrati che hanno un ruolo di fusione tra autoctoni e stranieri. Essi non accetteranno mai di occupare la parte bassa della piramide sociale, perché sono stati spinti dai loro genitori che sono arrivati in Italia per garantirgli un futuro migliore. È opportuno investire sulla scolarizzazione dei figli di immigrati, nell’aiutarli a imparare rapidamente l’italiano in modo da poter consentire loro di confrontarsi alla pari con i coetanei nati in Italia. Troppo spesso si è inclini a essere prevenuti e ciechi di fronte all’immigrazione. Ciò non porta risorse soprattutto quando la politica non definisce una precisa linea di intervento e in tutto questo contesto gli insegnanti e le istituzioni scolastiche spesso si trovano a gestire gravi problemi che li conducono a percepire una forte sensazione di isolamento. In molte regioni italiane vi sono decine di scuole elementari e medie inferiori con un consistente numero di alunni immigrati, proprio perché l’integrazione entra in gioco durante l’infanzia e l’adolescenza. Con questo studio si è cercato di conoscere a che livello è posizionato il grado di integrazione dei figli di immigrati, per ottenere delle risposte prospettiche sulla capacità che essi avranno di inserimento nel contesto sociale e territoriale locale.
Analisi statistica sul processo di integrazione dei minori non italiani a Messina
AVENA, Giuseppe
2016-01-01
Abstract
Quotidianamente veniamo profondamente turbati da notizie di sbarchi clandestini di povere persone che, in cerca di una vita migliore, lasciano il proprio Paese d’origine e si avventurano su gommoni o barconi di pochi metri, carichi e stracolmi di carne umana compresi donne e bambini, pilotati da gente senza scrupoli che approfitta della loro debolezza e del bisogno di fuggire da una terra senza risorse. Questi comandanti di imbarcazioni fantasma fanno pagare il biglietto che equivale al risparmio di una vita e durante questo lungo viaggio di speranza verso la meta (spesso l’Italia) molti non ce la fanno, non potendo così mai gettare l’ancora di salvezza in una terra tanto desiderata. Oggi, come in passato, gran parte degli stranieri entra con un visto turistico o da clandestini, restando in Italia fino alla prossima sanatoria. Non è facile in un Paese come il nostro dai confini aperti e a vocazione turistica regolamentare gli ingressi. Si potrebbero fissare quote realistiche, differenziate per nazionalità e in base ad accordi con i Paesi di provenienza, ma non condizionate a un’improbabile pre-definizione del posto di lavoro. Si potrebbe pensare ad un doppio step, con la concessione di visti di ingressi provvisori che potrebbero trasformarsi in permessi di soggiorno pluriennali, per chi nel giro di un anno trovi un’occupazione. Questo non potrà eliminare del tutto l’irregolarità e gli ingressi clandestini, tuttavia sarebbe già un grande successo se buona parte degli ingressi potessero seguire percorsi legali. Gli immigrati che giungono nella nostra terra non devono essere quindi più considerati come calamità, ma come risorse umane per lo sviluppo economico da utilizzare in tutti quei settori, come l’agricoltura e l’assistenza domestica, dove è venuta a mancare una consistente quota di manodopera locale. Non dimentichiamo che la Sicilia è stata una terra d’immigrazione e che nella seconda metà del XX secolo fino agli anni ‘80 vedeva la fuga dei nostri conterranei verso le zone del Nord-Ovest dell’Italia, sede del famoso Triangolo Industriale, e ancora prima verso l’America, in particolare l’America latina, e successivamente verso i Paesi del Nord Europa e l’Australia. Non pretendiamo di pensare che la loro integrazione sia stata più semplice di coloro che oggi giungono da noi, in quanto chi lascia la propria terra è spinto dalla disperazione e dal fatto che non ha nulla da perdere e il suo principale desiderio è quello di riuscire a costruire un futuro dove le condizioni e le risorse possano permetterlo. Possiamo affermare che molti italiani fuggiti in tutto il mondo ricoprono oggi importanti ruoli all’interno della società e delle istituzioni. Questo è stato possibile perché qualcuno ha dato loro l’opportunità di essere accolti e integrati, quindi di fronte a questi antecedenti l’aspettativa è quella di non chiudere le porte a questa povera gente, ma di dare voce alla nostra sensibilità per offrire loro la possibilità di vivere dignitosamente e realizzare pienamente, anche se lontani dalla loro terra, quel processo di integrazione nel Paese di accoglienza che possa consentirgli un futuro più concreto e privo di incertezza e precarietà. Il fenomeno dell’inclusione sociale degli stranieri in Italia rappresenta uno degli aspetti che riveste notevole rilievo nei recenti studi finalizzati a determinare la capacità di inserimento economico e socioculturale che i migranti possono acquisire, tenendo conto delle diverse dimensioni sottese al fenomeno stesso. Da quando l’immigrazione è diventata uno dei fenomeni sociali più importanti del nostro Paese, l’integrazione rappresenta non solo il tema principale a cui si guarda con molta attenzione, ma anche un percorso irrinunciabile per la stessa società. La valutazione del livello d’integrazione di una comunità straniera in un territorio non è facile da realizzare, essendo differente il contenuto che nelle varie realtà nazionali viene dato al termine integrazione. L’Italia ha una storia relativamente recente come Paese di immigrazione e, per l’estrema rapidità con cui da Paese d’emigrazione si è trasformato in luogo d’immigrazione, si è andati incontro a una difficoltà di valutare correttamente la consistenza del fenomeno e i suoi effetti. Ciò ha portato a una radicalizzazione di percezioni e di valutazioni sulle conseguenze del fenomeno migratorio che spesso non hanno contribuito a cogliere la complessa realtà delle immigrazioni e i suoi molteplici impatti. Il processo d’integrazione è una meta che deve essere costantemente perseguita a livello economico, culturale, sociale e politico. I percorsi d’inserimento del migrante assumono modalità e forme differenti. In uno stesso contesto territoriale i modelli di inserimento possono essere diversi, variabili secondo le aree di provenienza, le motivazioni del trasferimento, ma anche secondo le qualità professionali, sociali e culturali che identificano le varie etnie. Un altro aspetto è la definizione di percorsi brevi e realistici per la concessione della cittadinanza. In Italia vige lo ius sanguinis, che impedisce agli immigrati e ai loro figli di conseguirla, se non dopo un periodo molto lungo di permanenza continuativa. Per migliorare il processo di integrazione occorre che siano destinate più risorse alle seconde generazioni, cioè ai figli di immigrati che hanno un ruolo di fusione tra autoctoni e stranieri. Essi non accetteranno mai di occupare la parte bassa della piramide sociale, perché sono stati spinti dai loro genitori che sono arrivati in Italia per garantirgli un futuro migliore. È opportuno investire sulla scolarizzazione dei figli di immigrati, nell’aiutarli a imparare rapidamente l’italiano in modo da poter consentire loro di confrontarsi alla pari con i coetanei nati in Italia. Troppo spesso si è inclini a essere prevenuti e ciechi di fronte all’immigrazione. Ciò non porta risorse soprattutto quando la politica non definisce una precisa linea di intervento e in tutto questo contesto gli insegnanti e le istituzioni scolastiche spesso si trovano a gestire gravi problemi che li conducono a percepire una forte sensazione di isolamento. In molte regioni italiane vi sono decine di scuole elementari e medie inferiori con un consistente numero di alunni immigrati, proprio perché l’integrazione entra in gioco durante l’infanzia e l’adolescenza. Con questo studio si è cercato di conoscere a che livello è posizionato il grado di integrazione dei figli di immigrati, per ottenere delle risposte prospettiche sulla capacità che essi avranno di inserimento nel contesto sociale e territoriale locale.File | Dimensione | Formato | |
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