La riflessione sulla corporeità ha da sempre accompagnato quella sulla soggettività nel senso che dalla loro problematica interazione è stata pensata la realtà vivente ed incarnata che noi siamo . Certo se ci soffermiamo sulla difficoltà che il pensiero ha avuto nel vedere assieme soggettività e corporeità, attività pensante e datità di un corpo- oggetto, riveliamo come questa ha creato, a volte, rappresentazioni dicotomiche e inconciliabili, come quella platonica in cui il corpo è visto come “tomba o prigione dell’anima” da cui liberarsi o quella cartesiana in cui è solo il cogito che auto-certifica il soggetto, ma presentandosi come “dematerializzato e demondanizzato” rispetto alla sostanza materiale. A volte si è assistito ad una vera e propria rimozione di uno dei due elementi, come quando mettendo da parte il carattere soggettivo della esperienza e considerando il corpo come l’unica dimensione reale, in quanto complessa realtà bio-neuronale, si è di fatto ridotto il peso e la valenza simbolica della interazione, come è avvenuto in certe correnti riduzioniste proprie del pensiero naturalista moderno o in quello scientista contemporaneo . Così se queste risposte tentano di dar conto della esperienza corporea, a volte nella lacerazione, a volte nella esaltazione, di fatto tendono ad appiattirne il nodo di ambiguità ed estraneità, soprattutto in considerazione che questo corpo, anzi il mio corpo è ciò che ci rappresenta davanti agli altri e mi apre al mondo. La riflessione intorno all’uomo si mostra così insoddisfacente se prescinde dalla corporeità del nostro percepire, come mostra la riflessione fenomenologica: finisce per mostrare il soggetto o come un cogito umiliato, nel momento in cui questo non riesce a venire fuori da sterili e sempre insufficienti rappresentazioni mentali del Sé; o un cogito esaltato, se ricade in un soggettivismo sfrenato e volontaristico e incapace di ricondursi ad unità con la propria corporeità, se è vero che questa in quanto elemento materiale tende da un lato a permanere (come quella foto che fissa i nostri connotati) e dall’altro a mutare (se è vero che invecchia e si trasforma
Sulla corporeità «vissuta» fra identità e differenza di genere
G. Costanzo
2017-01-01
Abstract
La riflessione sulla corporeità ha da sempre accompagnato quella sulla soggettività nel senso che dalla loro problematica interazione è stata pensata la realtà vivente ed incarnata che noi siamo . Certo se ci soffermiamo sulla difficoltà che il pensiero ha avuto nel vedere assieme soggettività e corporeità, attività pensante e datità di un corpo- oggetto, riveliamo come questa ha creato, a volte, rappresentazioni dicotomiche e inconciliabili, come quella platonica in cui il corpo è visto come “tomba o prigione dell’anima” da cui liberarsi o quella cartesiana in cui è solo il cogito che auto-certifica il soggetto, ma presentandosi come “dematerializzato e demondanizzato” rispetto alla sostanza materiale. A volte si è assistito ad una vera e propria rimozione di uno dei due elementi, come quando mettendo da parte il carattere soggettivo della esperienza e considerando il corpo come l’unica dimensione reale, in quanto complessa realtà bio-neuronale, si è di fatto ridotto il peso e la valenza simbolica della interazione, come è avvenuto in certe correnti riduzioniste proprie del pensiero naturalista moderno o in quello scientista contemporaneo . Così se queste risposte tentano di dar conto della esperienza corporea, a volte nella lacerazione, a volte nella esaltazione, di fatto tendono ad appiattirne il nodo di ambiguità ed estraneità, soprattutto in considerazione che questo corpo, anzi il mio corpo è ciò che ci rappresenta davanti agli altri e mi apre al mondo. La riflessione intorno all’uomo si mostra così insoddisfacente se prescinde dalla corporeità del nostro percepire, come mostra la riflessione fenomenologica: finisce per mostrare il soggetto o come un cogito umiliato, nel momento in cui questo non riesce a venire fuori da sterili e sempre insufficienti rappresentazioni mentali del Sé; o un cogito esaltato, se ricade in un soggettivismo sfrenato e volontaristico e incapace di ricondursi ad unità con la propria corporeità, se è vero che questa in quanto elemento materiale tende da un lato a permanere (come quella foto che fissa i nostri connotati) e dall’altro a mutare (se è vero che invecchia e si trasformaPubblicazioni consigliate
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