L’attuale situazione migratoria in Sicilia presenta un complesso quadro di trasformazioni sociali. Accanto a realtà che da decenni sono diventate multiculturali, sono presenti realtà che si apprestano a diventarlo, senza contare che persistono le tristi situazioni dell’emergenza sbarchi sui luoghi costieri di più facile approdo. In Sicilia, pertanto, si stanno sperimentando, giocoforza, le molteplici sfaccettature che l’incontro con la diversità comporta: a partire dall’impatto immediato, a carattere emotivo, di paura/chiusura, per seguire con le fasi dell’accettazione, dell’accoglienza e poi dell’integrazione. Si tratta di processi che, in assenza di un chiaro e definito progetto politico, sono affidati ai contesti della formazione (scuola in particolare) e del volontariato sociale, che da oltre un ventennio si adoperano per il raggiungimento di sensibilità e competenze interculturali sia negli autoctoni sia nei migranti. È all’interno di questi contesti che maggiormente si segue l’evolversi dei processi migratori e, parallelamente, l’evolversi del progetto interculturale. Mentre in determinati territori tale progetto è ancora nelle sue fasi iniziali e rivolto prevalentemente ai migranti (percorsi di accoglienza, insegnamento/apprendimento della L2, collocazione lavorativa, costruzione di spazi di espressione culturale), in altri territori è nelle sue fasi successive, data la presenza di seconde generazioni. Al di là, tuttavia, delle difficoltà di gestione della convivenza interculturale nelle sue molteplici forme, si registrano pratiche spontanee di incontro, pur nell’incomprensione reciproca. Tali pratiche, anzi, fanno proprio dell’incomprensione il loro punto di forza. Sono i luoghi che l’antropologo La Cecla chiama del “malinteso”, parafrasando il celebre studio di Jankelevitch a riguardo, e che racchiudono la consapevolezza di una differenza intraducibile da una cultura all’altra. Le culture sono incommensurabili e dunque i malintesi sono inevitabili. Lungi però dal rendere impossibile l’incontro, i malintesi possono diventare lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. La convivenza multiculturale presenta moltissimi luoghi di malinteso: a partire dalle zone costiere degli sbarchi, fino ai luoghi di prima accoglienza, ai contesti sanitari e di cura, agli ambienti educativi (formali e informali), ai luoghi di culto, ai quartieri popolati da immigrati, ai mercati, ristoranti e negozi etnici, alle zone-ghetto o periferie. Tali luoghi sono sospesi tra due possibilità: 1) quella di chiudersi ciascuno nella propria identità; oppure 2) quella di consentire la conoscenza di sé all’altro e dunque la gestione del malinteso rompendo i pregiudizi. La ricerca si propone di analizzare, in ottica interdisciplinare, queste “zone di confine” dove si presentano gli incontri e i malintesi, per mettere a punto buone prassi comunicative che, consentendo opportunità di chiarimento, offrano possibilità creative all’incontro.

Curare l’arte dell’incontro

Anna Maria, Passaseo;Caterina, Benelli
2017-01-01

Abstract

L’attuale situazione migratoria in Sicilia presenta un complesso quadro di trasformazioni sociali. Accanto a realtà che da decenni sono diventate multiculturali, sono presenti realtà che si apprestano a diventarlo, senza contare che persistono le tristi situazioni dell’emergenza sbarchi sui luoghi costieri di più facile approdo. In Sicilia, pertanto, si stanno sperimentando, giocoforza, le molteplici sfaccettature che l’incontro con la diversità comporta: a partire dall’impatto immediato, a carattere emotivo, di paura/chiusura, per seguire con le fasi dell’accettazione, dell’accoglienza e poi dell’integrazione. Si tratta di processi che, in assenza di un chiaro e definito progetto politico, sono affidati ai contesti della formazione (scuola in particolare) e del volontariato sociale, che da oltre un ventennio si adoperano per il raggiungimento di sensibilità e competenze interculturali sia negli autoctoni sia nei migranti. È all’interno di questi contesti che maggiormente si segue l’evolversi dei processi migratori e, parallelamente, l’evolversi del progetto interculturale. Mentre in determinati territori tale progetto è ancora nelle sue fasi iniziali e rivolto prevalentemente ai migranti (percorsi di accoglienza, insegnamento/apprendimento della L2, collocazione lavorativa, costruzione di spazi di espressione culturale), in altri territori è nelle sue fasi successive, data la presenza di seconde generazioni. Al di là, tuttavia, delle difficoltà di gestione della convivenza interculturale nelle sue molteplici forme, si registrano pratiche spontanee di incontro, pur nell’incomprensione reciproca. Tali pratiche, anzi, fanno proprio dell’incomprensione il loro punto di forza. Sono i luoghi che l’antropologo La Cecla chiama del “malinteso”, parafrasando il celebre studio di Jankelevitch a riguardo, e che racchiudono la consapevolezza di una differenza intraducibile da una cultura all’altra. Le culture sono incommensurabili e dunque i malintesi sono inevitabili. Lungi però dal rendere impossibile l’incontro, i malintesi possono diventare lo spazio in cui le culture si spiegano e si confrontano, scoprendosi diverse. La convivenza multiculturale presenta moltissimi luoghi di malinteso: a partire dalle zone costiere degli sbarchi, fino ai luoghi di prima accoglienza, ai contesti sanitari e di cura, agli ambienti educativi (formali e informali), ai luoghi di culto, ai quartieri popolati da immigrati, ai mercati, ristoranti e negozi etnici, alle zone-ghetto o periferie. Tali luoghi sono sospesi tra due possibilità: 1) quella di chiudersi ciascuno nella propria identità; oppure 2) quella di consentire la conoscenza di sé all’altro e dunque la gestione del malinteso rompendo i pregiudizi. La ricerca si propone di analizzare, in ottica interdisciplinare, queste “zone di confine” dove si presentano gli incontri e i malintesi, per mettere a punto buone prassi comunicative che, consentendo opportunità di chiarimento, offrano possibilità creative all’incontro.
2017
9788869921919
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