Le basi del lento processo giurisdizionale di superamento del tabù della morte “assistita” si fondano su due capisaldi che si integrano a vicenda, pur essendo ontologicamente diversi. Il primo poggia sulla ridefinizione della portata precettiva dell’art. 32, comma 2, Cost., mentre il secondo si rifà allo sfuggente concetto di dignità umana. La Corte costituzionale ha chiarito come l’autodeterminazione responsabile non comprenda un indiscriminato diritto di togliersi la vita o di essere aiutati a morire, quanto piuttosto il diverso principio – già focalizzato a suo tempo dalla giurisprudenza sullo sciopero della fame dei detenuti – dell’incoercibilità del vivere . Proprio tale principio impone il diritto di lasciare che il malato cosciente sia unico dominus del suo destino terapeutico: a lui soltanto spetta decidere se combattere ostinatamente la patologia da cui è affetto fino all’ultimo istante di vita o se arrendersi, in presenza di una prognosi infausta che non offra alcuna possibilità di remissione e nemmeno cure palliative dignitose. Ma è proprio il concetto di dignità ad essere insidioso: senza opportuni correttivi, la dignità – risorsa cui sempre più spesso si ricorre per giustificare o negare incriminazioni eticamente sensibili - rischia di essere la vera slippery slope di questa delicatissima tematica.

Le chiavi della prigione. La Corte costituzionale fissa i nuovi confini dell'autodeterminazione responsabile nell'inerzia del legislatore.

Lucia Risicato
2020-01-01

Abstract

Le basi del lento processo giurisdizionale di superamento del tabù della morte “assistita” si fondano su due capisaldi che si integrano a vicenda, pur essendo ontologicamente diversi. Il primo poggia sulla ridefinizione della portata precettiva dell’art. 32, comma 2, Cost., mentre il secondo si rifà allo sfuggente concetto di dignità umana. La Corte costituzionale ha chiarito come l’autodeterminazione responsabile non comprenda un indiscriminato diritto di togliersi la vita o di essere aiutati a morire, quanto piuttosto il diverso principio – già focalizzato a suo tempo dalla giurisprudenza sullo sciopero della fame dei detenuti – dell’incoercibilità del vivere . Proprio tale principio impone il diritto di lasciare che il malato cosciente sia unico dominus del suo destino terapeutico: a lui soltanto spetta decidere se combattere ostinatamente la patologia da cui è affetto fino all’ultimo istante di vita o se arrendersi, in presenza di una prognosi infausta che non offra alcuna possibilità di remissione e nemmeno cure palliative dignitose. Ma è proprio il concetto di dignità ad essere insidioso: senza opportuni correttivi, la dignità – risorsa cui sempre più spesso si ricorre per giustificare o negare incriminazioni eticamente sensibili - rischia di essere la vera slippery slope di questa delicatissima tematica.
2020
978-88-921-3367-9
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