Prendendo le mosse dalle pagine del Maestro (pp. 61 ss.) dedicate al tema dei limiti al diritto di proprietà e, in particolare, dei limiti ai diritti “di godere” e “di disporre”, viene spontaneo interrogarsi sul rapporto esistente tra i c.d. “limiti naturali” e quelli che sorgono per effetto dell’ibridazione delle regole proprie del diritto civile con quelle del diritto penale e del diritto amministrativo; specie in particolari àmbiti (rectius, settori) dell’indagine giuridica ove sono resi evidenti dall’applicazione di una determinata normativa di settore qual è quella, ad esempio, sul contrasto alla criminalità organizzata. Si ritiene necessario muovere dalla prospettiva, come sempre particolarmente illuminante, della legislazione speciale - sì come interpretata e applicata dalla giurisprudenza - valorizzando il fatto che essa tende a superare il limite dell’episodicità ed a conseguire una certa stabilità, diventando elemento strutturale del sistema, a cominciare dal settore della normativa “funzionalmente orientata” verso obiettivi di difesa sociale. Si intuisce l’esistenza di un sistema policentrico e modulare, frutto di una graduale, ma incessante, operazione di verifica delle singole circostanze (di fatto) in base al noto rapporto di convenienza tra fatto ed effetto e, dunque, tra fattispecie descritte nelle norme (penali, civili, amministrative, sia di rango ordinario che costituzionale ed europeo) e le relative sanzioni. Il particolare riferimento al tema della prevenzione antimafia presuppone l’analisi del fenomeno mafioso tanto in relazione ai beni quanto in relazione ai soggetti. Sul versante dell’oggettività giuridica sono abbastanza noti gli effetti – sia diretti che mediati – dell’applicazione delle procedure di sequestro e confisca dei beni a carico dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione antimafia. L’evoluzione dei modelli cautelari e delle misure di prevenzione dimostra come il legislatore abbia, nel volgere di pochi decenni, operato un radicale svuotamento dei tradizionali attributi soggettivi, sottraendo singole facoltà, se non addirittura la titolarità della proprietà sia ai soggetti direttamente interessati dall’applicazione della misura di prevenzione, sia - fatto ben più grave - ai propri stretti congiunti, sull’assunto che proprio a favore di questi ultimi potessero, con maggiore frequenza statistica, essere intestati beni in maniera fittizia. Una plausibile spiegazione del fenomeno - utile al fine di ricomporre ad unità ciò che diversamente parrebbe un’ingiustificabile eversione sistematica - può essere offerta da una ricostruzione di ordine generale che recuperi, sul piano pratico, la distinzione teorica fra titolarità e legittimazione rispetto al godimento ed alla disposizione della cosa, nell’àmbito della più complessa dialettica interna al diritto di proprietà. Il ricorso alla legittimazione permette di saggiare plasticamente tutta la complessità dell’esperienza giuridica contemporanea, in quanto è proprio da questa peculiare prospettiva che è possibile cogliere nuovi spunti e sperimentare differenti soluzioni ai problemi, sempre attuali, della distribuzione dei poteri fra proprietario ed utilizzatore della cosa. La contrapposizione dicotomica fra titolarità e legittimazione fornisce così una chiave di lettura per la comprensione del problema della tutela possessoria, intesa rettamente come quella forma di ausilio, non sempre necessariamente di mero fatto, a favore di chi dimostri l’esistenza di una posizione (attuale e) relazionale col bene a prescindere dalla titolarità (formale) di un diritto sullo stesso.

I limiti al diritto di proprietà: «diritto di godere» e «diritto di disporre» nella normativa di prevenzione antimafia

Marchese Alberto
2021-01-01

Abstract

Prendendo le mosse dalle pagine del Maestro (pp. 61 ss.) dedicate al tema dei limiti al diritto di proprietà e, in particolare, dei limiti ai diritti “di godere” e “di disporre”, viene spontaneo interrogarsi sul rapporto esistente tra i c.d. “limiti naturali” e quelli che sorgono per effetto dell’ibridazione delle regole proprie del diritto civile con quelle del diritto penale e del diritto amministrativo; specie in particolari àmbiti (rectius, settori) dell’indagine giuridica ove sono resi evidenti dall’applicazione di una determinata normativa di settore qual è quella, ad esempio, sul contrasto alla criminalità organizzata. Si ritiene necessario muovere dalla prospettiva, come sempre particolarmente illuminante, della legislazione speciale - sì come interpretata e applicata dalla giurisprudenza - valorizzando il fatto che essa tende a superare il limite dell’episodicità ed a conseguire una certa stabilità, diventando elemento strutturale del sistema, a cominciare dal settore della normativa “funzionalmente orientata” verso obiettivi di difesa sociale. Si intuisce l’esistenza di un sistema policentrico e modulare, frutto di una graduale, ma incessante, operazione di verifica delle singole circostanze (di fatto) in base al noto rapporto di convenienza tra fatto ed effetto e, dunque, tra fattispecie descritte nelle norme (penali, civili, amministrative, sia di rango ordinario che costituzionale ed europeo) e le relative sanzioni. Il particolare riferimento al tema della prevenzione antimafia presuppone l’analisi del fenomeno mafioso tanto in relazione ai beni quanto in relazione ai soggetti. Sul versante dell’oggettività giuridica sono abbastanza noti gli effetti – sia diretti che mediati – dell’applicazione delle procedure di sequestro e confisca dei beni a carico dei soggetti sottoposti a misure di prevenzione antimafia. L’evoluzione dei modelli cautelari e delle misure di prevenzione dimostra come il legislatore abbia, nel volgere di pochi decenni, operato un radicale svuotamento dei tradizionali attributi soggettivi, sottraendo singole facoltà, se non addirittura la titolarità della proprietà sia ai soggetti direttamente interessati dall’applicazione della misura di prevenzione, sia - fatto ben più grave - ai propri stretti congiunti, sull’assunto che proprio a favore di questi ultimi potessero, con maggiore frequenza statistica, essere intestati beni in maniera fittizia. Una plausibile spiegazione del fenomeno - utile al fine di ricomporre ad unità ciò che diversamente parrebbe un’ingiustificabile eversione sistematica - può essere offerta da una ricostruzione di ordine generale che recuperi, sul piano pratico, la distinzione teorica fra titolarità e legittimazione rispetto al godimento ed alla disposizione della cosa, nell’àmbito della più complessa dialettica interna al diritto di proprietà. Il ricorso alla legittimazione permette di saggiare plasticamente tutta la complessità dell’esperienza giuridica contemporanea, in quanto è proprio da questa peculiare prospettiva che è possibile cogliere nuovi spunti e sperimentare differenti soluzioni ai problemi, sempre attuali, della distribuzione dei poteri fra proprietario ed utilizzatore della cosa. La contrapposizione dicotomica fra titolarità e legittimazione fornisce così una chiave di lettura per la comprensione del problema della tutela possessoria, intesa rettamente come quella forma di ausilio, non sempre necessariamente di mero fatto, a favore di chi dimostri l’esistenza di una posizione (attuale e) relazionale col bene a prescindere dalla titolarità (formale) di un diritto sullo stesso.
2021
978-88-495-4512-8
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