Con il completamento della transizione al digitale terrestre, previsto entro la fine del 2012, la televisione italiana entra, o dovrebbe entrare, in una nuova era. I dati diffusi da DGTVi presentano chiari riscontri: nell’estate 2011 la tv digitale terrestre aveva raggiunto, tra le famiglie del nostro Paese, un tasso di penetrazione pari all’84,7%. Il consumo di televisione analogica, nel settembre dello stesso anno, era sceso al 19%, contro il 36,1% del settembre 2010. È innegabile, insomma, lo stravolgimento che sta interessando questo settore mediale. Per certi versi, un déjà vu rispetto a quanto accaduto poco meno di trent’anni fa, quando la conquista della “libertà d’antenna” prefigurava un riassetto del mercato, inediti scenari contenutistici e la necessità di rivedere ruoli e funzioni del servizio pubblico. Una rivoluzione televisiva inevitabile, viste le disposizioni europee, ma certamente controversa. Innanzitutto, in termini generali, per la natura stessa del medium, che sembra nascere già vecchio. Poi, spostando l’analisi nel contesto italiano, perché costituisce un radicale mutamento di un quadro, quello radiotelevisivo, che non ha ancora trovato un suo assetto definitivo, soprattutto a causa dell’ambivalenza dell’azienda-tv di Stato Rai. Infine, fattore strettamente collegato al precedente, poiché s’innesta in dinamiche di’industrializzazione culturale che hanno fatto del nostro Paese un caso unico nello scenario globale. La complessità della digitalizzazione, in sostanza, merita di essere gestita attraverso quella che si potrebbe definire una negoziazione tra le nuove sfide che la produzione televisiva deve intraprendere e i desideri dei pubblici che si rinnovano. Pubblici nuovi il cui consumo è caratterizzato da frammentazione, moltiplicazione, rilocazione, desincronizzazione e personalizzazione. Partendo da queste basi, la ricerca riassunta nel volume indaga diversi profili connessi all’avvento del DTT. 1) La dimensione tecnologica del nuovo mezzo, che si inserisce in uno scenario, quello della rivoluzione digitale, nel quale sono richieste caratteristiche che il digitale terrestre non sembra incarnare pienamente. 2) Il profilo contenutistico e la nuova configurazione che i testi televisivi dovrebbero assumere, dando conseguentemente vita a innovative strutture palinsestuali. 3) Non va trascurato, altresì, l’aspetto giuridico che, in Italia in particolare, dovrà essere adeguato a configurazioni di mercato inedite. C’è l’ipotesi, infatti, che ancora una volta il connubio tra apparati istituzionali e settori dell’industria culturale italiana possa svolgere più una funzione di rallentamento, che innescare circuiti realmente virtuosi. 4) Le modalità di fruizione da parte dei pubblici, ovviamente, subiranno profonde trasformazioni. Già in questo momento, infatti, si registrano dei consistenti mutamenti nel panorama dei consumi, con la parcellizzazione dei dati d’ascolto, l’indirizzo verso nuovi orizzonti della spesa destinata ai consumi televisivi (pay per view, IpTv, ecc.) e l’aggregazione di nuovi target rispetto ai quali le consuete destrutturazioni sfruttate per esaminare i pubblici tradizionali paiono non funzionare pienamente. 5) Infine, da non trascurare, il ruolo che la Tv di Stato rivestirà in questo quadro. Come detto, ancora legata all’ambivalenza servizio pubblico-azienda, infatti, la Rai non sembra pienamente reattiva di fronte a questi profondi cambiamenti.
Servizio pubblico e mercato televisivo. La Rai nel passaggio dall’analogico al digitale.
Marco Centorrino
;Antonia Cava
;
2012-01-01
Abstract
Con il completamento della transizione al digitale terrestre, previsto entro la fine del 2012, la televisione italiana entra, o dovrebbe entrare, in una nuova era. I dati diffusi da DGTVi presentano chiari riscontri: nell’estate 2011 la tv digitale terrestre aveva raggiunto, tra le famiglie del nostro Paese, un tasso di penetrazione pari all’84,7%. Il consumo di televisione analogica, nel settembre dello stesso anno, era sceso al 19%, contro il 36,1% del settembre 2010. È innegabile, insomma, lo stravolgimento che sta interessando questo settore mediale. Per certi versi, un déjà vu rispetto a quanto accaduto poco meno di trent’anni fa, quando la conquista della “libertà d’antenna” prefigurava un riassetto del mercato, inediti scenari contenutistici e la necessità di rivedere ruoli e funzioni del servizio pubblico. Una rivoluzione televisiva inevitabile, viste le disposizioni europee, ma certamente controversa. Innanzitutto, in termini generali, per la natura stessa del medium, che sembra nascere già vecchio. Poi, spostando l’analisi nel contesto italiano, perché costituisce un radicale mutamento di un quadro, quello radiotelevisivo, che non ha ancora trovato un suo assetto definitivo, soprattutto a causa dell’ambivalenza dell’azienda-tv di Stato Rai. Infine, fattore strettamente collegato al precedente, poiché s’innesta in dinamiche di’industrializzazione culturale che hanno fatto del nostro Paese un caso unico nello scenario globale. La complessità della digitalizzazione, in sostanza, merita di essere gestita attraverso quella che si potrebbe definire una negoziazione tra le nuove sfide che la produzione televisiva deve intraprendere e i desideri dei pubblici che si rinnovano. Pubblici nuovi il cui consumo è caratterizzato da frammentazione, moltiplicazione, rilocazione, desincronizzazione e personalizzazione. Partendo da queste basi, la ricerca riassunta nel volume indaga diversi profili connessi all’avvento del DTT. 1) La dimensione tecnologica del nuovo mezzo, che si inserisce in uno scenario, quello della rivoluzione digitale, nel quale sono richieste caratteristiche che il digitale terrestre non sembra incarnare pienamente. 2) Il profilo contenutistico e la nuova configurazione che i testi televisivi dovrebbero assumere, dando conseguentemente vita a innovative strutture palinsestuali. 3) Non va trascurato, altresì, l’aspetto giuridico che, in Italia in particolare, dovrà essere adeguato a configurazioni di mercato inedite. C’è l’ipotesi, infatti, che ancora una volta il connubio tra apparati istituzionali e settori dell’industria culturale italiana possa svolgere più una funzione di rallentamento, che innescare circuiti realmente virtuosi. 4) Le modalità di fruizione da parte dei pubblici, ovviamente, subiranno profonde trasformazioni. Già in questo momento, infatti, si registrano dei consistenti mutamenti nel panorama dei consumi, con la parcellizzazione dei dati d’ascolto, l’indirizzo verso nuovi orizzonti della spesa destinata ai consumi televisivi (pay per view, IpTv, ecc.) e l’aggregazione di nuovi target rispetto ai quali le consuete destrutturazioni sfruttate per esaminare i pubblici tradizionali paiono non funzionare pienamente. 5) Infine, da non trascurare, il ruolo che la Tv di Stato rivestirà in questo quadro. Come detto, ancora legata all’ambivalenza servizio pubblico-azienda, infatti, la Rai non sembra pienamente reattiva di fronte a questi profondi cambiamenti.Pubblicazioni consigliate
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