La gestione della pandemia in Italia, almeno sotto il profilo comunicativo, sembra oggi essersi incanalata sui binari della normalizzazione. Il tema, tra l’altro, ha perso centralità nel dibattito politico, sostituito da nuove emergenze c e anche questo ha contribuito al riaffermarsi di una comunicazione istituzionale che, invece, in periodi precedenti è apparsa in sofferenza. Il contributo, in particolare, è focalizzato sul periodo febbraio 2020/giugno 2021 e prende le mosse da una premessa. Fin dall’inizio della crisi sanitaria è stato trattato come fattore di rischio il fenomeno dell’infodemia, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già a febbraio 2020 una «sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate e altre no – che rende difficile per le persone trovare fonti e indicazioni affidabili quando ne hanno bisogno». Un tema che ha immediatamente varcato i confini dell’analisi accademica, divenendo parte integrante dell’emergenza stessa e trovando spazio nel dibattito pubblico e politico. Tanto che si è registrata una mobilitazione sia nel mondo delle imprese – in particolare, dei gestori di social network – sia in campo istituzionale, con interventi dei principali capi di Stato mondiali. Nell’interpretazione collettiva, al pari di ciò che si evince dalla stessa classificazione operata dall’OMS, questo tipo di minaccia è principalmente connessa alla circolazione di fake news e dei conseguenti effetti (disinformation e misinformation). Riprendendo quanto argomentato in precedenti analisi, tuttavia, va aggiunto che assai meno rilevanza ha avuto un’ulteriore problematica, da noi definita comdemia, legata alle difficoltà non solo nella gestione della comunicazione (da parte degli enti e degli organismi pubblici), ma pure nella veicolazione di tutte quelle misure di contenimento e delle raccomandazioni verso la cittadinanza succedutesi a partire dall’avvento dell’emergenza sanitaria. Nonostante, al termine della prima ondata, nel contesto italiano fosse apparso palese il limite – e il pericolo – rappresentato dal fallimento del tentativo di centralizzare una comunicazione di crisi e fossero chiare le disfunzioni generate da un’annosa e irrisolta questione qual è la sovrapposizione tra comunicazione pubblica e comunicazione politica, non si è riusciti a porre in tempi brevi un argine al fenomeno. Anzi, in questa prospettiva il quadro – cercheremo di dimostrare – è peggiorato, anche perché la metafora bellica, che ha connotato il frame comunicativo introdotto a livello istituzionale in quello che appariva il momento di massima difficoltà (coincidente con il primo lockdown), è stata adottata e spesso maldestramente replicata da attori politici ai più svariati livelli. Parallelamente, con l’arrivo della seconda ondata nell’autunno 2020, sono cresciuti in modo esponenziale contagi e decessi. Sullo sfondo, un’opinione pubblica suddivisa tra paura e coesione, tra fiducia e protesta. Due eventi, nei primi mesi del nuovo anno, sembravano potere “rimescolare le carte”: l’avvio della campagna vaccinale e la crisi di Governo che ha portato alla formazione di un nuovo Esecutivo. Un cambiamento – a nostro avviso – si è registrato, ma piuttosto che il superamento della comdemia ne ha prodotto, seguendo paradossalmente la parabola del virus, una “variante”: la comunicazione ipocrita. Anch’essa più contagiosa e non necessariamente sostitutiva, bensì aggiuntiva, rispetto al precedente scenario.
La comdemia. Metafora bellica e comunicazione ipocrita nell’era del Covid, tra Social network e commander in chief
Marco Centorrino
2022-01-01
Abstract
La gestione della pandemia in Italia, almeno sotto il profilo comunicativo, sembra oggi essersi incanalata sui binari della normalizzazione. Il tema, tra l’altro, ha perso centralità nel dibattito politico, sostituito da nuove emergenze c e anche questo ha contribuito al riaffermarsi di una comunicazione istituzionale che, invece, in periodi precedenti è apparsa in sofferenza. Il contributo, in particolare, è focalizzato sul periodo febbraio 2020/giugno 2021 e prende le mosse da una premessa. Fin dall’inizio della crisi sanitaria è stato trattato come fattore di rischio il fenomeno dell’infodemia, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già a febbraio 2020 una «sovrabbondanza di informazioni – alcune accurate e altre no – che rende difficile per le persone trovare fonti e indicazioni affidabili quando ne hanno bisogno». Un tema che ha immediatamente varcato i confini dell’analisi accademica, divenendo parte integrante dell’emergenza stessa e trovando spazio nel dibattito pubblico e politico. Tanto che si è registrata una mobilitazione sia nel mondo delle imprese – in particolare, dei gestori di social network – sia in campo istituzionale, con interventi dei principali capi di Stato mondiali. Nell’interpretazione collettiva, al pari di ciò che si evince dalla stessa classificazione operata dall’OMS, questo tipo di minaccia è principalmente connessa alla circolazione di fake news e dei conseguenti effetti (disinformation e misinformation). Riprendendo quanto argomentato in precedenti analisi, tuttavia, va aggiunto che assai meno rilevanza ha avuto un’ulteriore problematica, da noi definita comdemia, legata alle difficoltà non solo nella gestione della comunicazione (da parte degli enti e degli organismi pubblici), ma pure nella veicolazione di tutte quelle misure di contenimento e delle raccomandazioni verso la cittadinanza succedutesi a partire dall’avvento dell’emergenza sanitaria. Nonostante, al termine della prima ondata, nel contesto italiano fosse apparso palese il limite – e il pericolo – rappresentato dal fallimento del tentativo di centralizzare una comunicazione di crisi e fossero chiare le disfunzioni generate da un’annosa e irrisolta questione qual è la sovrapposizione tra comunicazione pubblica e comunicazione politica, non si è riusciti a porre in tempi brevi un argine al fenomeno. Anzi, in questa prospettiva il quadro – cercheremo di dimostrare – è peggiorato, anche perché la metafora bellica, che ha connotato il frame comunicativo introdotto a livello istituzionale in quello che appariva il momento di massima difficoltà (coincidente con il primo lockdown), è stata adottata e spesso maldestramente replicata da attori politici ai più svariati livelli. Parallelamente, con l’arrivo della seconda ondata nell’autunno 2020, sono cresciuti in modo esponenziale contagi e decessi. Sullo sfondo, un’opinione pubblica suddivisa tra paura e coesione, tra fiducia e protesta. Due eventi, nei primi mesi del nuovo anno, sembravano potere “rimescolare le carte”: l’avvio della campagna vaccinale e la crisi di Governo che ha portato alla formazione di un nuovo Esecutivo. Un cambiamento – a nostro avviso – si è registrato, ma piuttosto che il superamento della comdemia ne ha prodotto, seguendo paradossalmente la parabola del virus, una “variante”: la comunicazione ipocrita. Anch’essa più contagiosa e non necessariamente sostitutiva, bensì aggiuntiva, rispetto al precedente scenario.Pubblicazioni consigliate
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