L’attenzione della letteratura penalistica italiana verso il principio di autoresponsabilità della vittima, astrattamente idoneo ad incidere in modo radicale sulla responsabilità penale dell’agente, è stata graduale, e l’attuale atteggiamento della giurisprudenza in materia continua a manifestarsi nel segno dell’inflessibilità: solo in pochi casi il contributo della vittima è stato ritenuto in grado di escludere o il nesso causale o la colpa dell’agente (per l’imprevedibilità dell’evento o per assenza del nesso di rischio tra regola precauzionale violata ed evento concreto), ma assai più di frequente è stata sostenuta la tesi opposta, negandosi che il contributo contra se della persona offesa possa escludere la responsabilità penale. Dietro un orientamento così intransigente e compatto possono scorgersi più chiavi di lettura, tutte inquietanti: da un lato il tentativo di affermare le prerogative di un diritto penale spiccatamente generalpreventivo tuttora incentrato sull’autore del fatto, restio ad attribuire un rilievo meno periferico alla figura della vittima anche in punto di quantificazione della sanzione, dall’altro la tentazione serpeggiante del paternalismo giuridico, che in Italia affligge anche l’affermazione del parallelo principio di autodeterminazione responsabile in materia sanitaria. I rigurgiti di paternalismo e la denegata rilevanza del concorso della vittima generano, così, uno scampolo di sopravvivenza del diritto penale della disobbedienza in territori diversi dall’illecito doloso stricto sensu inteso.

Consapevole esposizione a pericolo, stime percentuali e obblighi di garanzia. Il concorso colposo della vittima e la chimera del principio di autoresponsabilità.

Lucia Risicato
2023-01-01

Abstract

L’attenzione della letteratura penalistica italiana verso il principio di autoresponsabilità della vittima, astrattamente idoneo ad incidere in modo radicale sulla responsabilità penale dell’agente, è stata graduale, e l’attuale atteggiamento della giurisprudenza in materia continua a manifestarsi nel segno dell’inflessibilità: solo in pochi casi il contributo della vittima è stato ritenuto in grado di escludere o il nesso causale o la colpa dell’agente (per l’imprevedibilità dell’evento o per assenza del nesso di rischio tra regola precauzionale violata ed evento concreto), ma assai più di frequente è stata sostenuta la tesi opposta, negandosi che il contributo contra se della persona offesa possa escludere la responsabilità penale. Dietro un orientamento così intransigente e compatto possono scorgersi più chiavi di lettura, tutte inquietanti: da un lato il tentativo di affermare le prerogative di un diritto penale spiccatamente generalpreventivo tuttora incentrato sull’autore del fatto, restio ad attribuire un rilievo meno periferico alla figura della vittima anche in punto di quantificazione della sanzione, dall’altro la tentazione serpeggiante del paternalismo giuridico, che in Italia affligge anche l’affermazione del parallelo principio di autodeterminazione responsabile in materia sanitaria. I rigurgiti di paternalismo e la denegata rilevanza del concorso della vittima generano, così, uno scampolo di sopravvivenza del diritto penale della disobbedienza in territori diversi dall’illecito doloso stricto sensu inteso.
2023
979-12-211-0470-7
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