L’insieme di sollecitazioni provenienti dalle epocali trasformazioni in atto, che investono il nostro ordinamento sul piano sociale, economico produttivo, tecnologico e culturale, ha messo in tensione i concetti, le categorie, gli assetti normativi tradizionali del diritto del lavoro, che si sono mostrati non del tutto idonei a governare i nuovi fenomeni. Lo sviluppo tecnologico digitale rappresenta una delle più difficili sfide per il diritto del lavoro, sotto molteplici profili e sta impegnando i giuslavoristi in una verifica dei nessi tra lavoro e tecnica. La smaterializzazione dell’impresa connessa alla digitalizzazione del sistema produttivo produce effetti non solo sul mercato del lavoro, esaltando la polarizzazione tra professionalità ad alta specializzazione e attività che restano meccaniche, di basso livello e ripetitive, ma anche sui rapporti di lavoro, di cui vengono messi in discussione i vincoli spazio-temporali con conseguenze sull’orario di lavoro, le mansioni e le modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo. Il lavoro agricolo, investito dal processo di digitalizzazione al pari degli altri settori economici, si sta muovendo verso nuovi modelli di business e processi produttivi maggiormente competitivi. Con Agricoltura 4.0, in particolare, è stata adottata una strategia gestionale fondata sull’acquisizione e la condivisione di dati e informazioni precise, che le tecnologie digitali sono in grado di fornire, utili per poter intervenire solo dove e quando sia necessario e opportuno. Le innovazioni digitali generano crescenti fabbisogni di competenze nelle aziende agricole, che si muovono verso logiche di ammodernamento finalizzate alla formazione di figure professionali nuove, capaci di integrare le consolidate competenze tecniche/agronomiche con gli strumenti digitali. Aumentano le richieste di esperti del settore primario “di precisione”, della gestione sostenibile dell’azienda, di economia circolare e di professionisti in grado di tenere insieme le esigenze di mercato, dei consumatori e dell’ambiente. In questo quadro diviene strategico il ruolo dei sindacati di categoria, specie nel settore primario, laddove la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile rappresenta la strada maestra per il raggiungimento di standard occupazionali elevati. D’altra parte le politiche comunitarie che si occupano di transizione verde e digitale obbligano gli Stati a predisporre misure ad hoc sia di politica attiva che passiva, per definire l’attivazione di nuovi posti di lavoro alternativi a quelli persi, nonché strumenti di sostegno al reddito, percorsi di formazione, riqualificazione professionale e ricollocazione dei lavoratori. Si devono approfondire le potenzialità delle nuove tecnologie (con particolare riguardo alla realtà dei social network) per la sindacalizzazione delle migliaia di braccianti stranieri, che ogni anno si spostano in diverse aree del nostro Paese al ritmo dei cicli colturali e spesso sono stritolati nella morsa dell’irregolarità e dello sfruttamento. L’elemento centrale delle nuove relazioni industriali deve indirizzarsi verso la pratica di comportamenti salariali coerenti, ispirati al principio di fondo dell’inscindibilità del miglioramento delle condizioni di lavoro dallo sviluppo in termini di produzione e di produttività, dell’economia agricola nel suo complesso e nelle sue varie dimensioni territoriali, settoriali ed aziendali. In questo contesto il diritto del lavoro non può accettare passivamente la sirena del determinismo tecnologico e dei suoi effetti progressisti, ma partecipare ai progetti politico istituzionali di indirizzamento della tecnica, di valorizzazione delle sue potenzialità abilitanti, assumendo un atteggiamento di valutazione critica dell’innovazione, intesa come possibilità di regolare a monte i processi innovativi e soprattutto distinguendo tra quelli che hanno effetti meno negativi per le persone e per i lavoratori. Di fronte agli effetti dell’innovazione tecnologica, il diritto del lavoro deve assicurare il diritto al lavoro mediante efficaci misure finalizzate a migliorare l’accesso ai nuovi lavori, le transizioni tra un lavoro e l’altro ed il reinserimento lavorativo per chi ne è rimasto privo, imponendo la formazione come elemento causale del contratto, con una valenza giuridica pari a quella dell’obbligo di sicurezza.
Digitalizzazione e lavoro nel settore primario tra transizione produttiva e occupazionale.
ANGELA MARCIANO
2023-01-01
Abstract
L’insieme di sollecitazioni provenienti dalle epocali trasformazioni in atto, che investono il nostro ordinamento sul piano sociale, economico produttivo, tecnologico e culturale, ha messo in tensione i concetti, le categorie, gli assetti normativi tradizionali del diritto del lavoro, che si sono mostrati non del tutto idonei a governare i nuovi fenomeni. Lo sviluppo tecnologico digitale rappresenta una delle più difficili sfide per il diritto del lavoro, sotto molteplici profili e sta impegnando i giuslavoristi in una verifica dei nessi tra lavoro e tecnica. La smaterializzazione dell’impresa connessa alla digitalizzazione del sistema produttivo produce effetti non solo sul mercato del lavoro, esaltando la polarizzazione tra professionalità ad alta specializzazione e attività che restano meccaniche, di basso livello e ripetitive, ma anche sui rapporti di lavoro, di cui vengono messi in discussione i vincoli spazio-temporali con conseguenze sull’orario di lavoro, le mansioni e le modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo. Il lavoro agricolo, investito dal processo di digitalizzazione al pari degli altri settori economici, si sta muovendo verso nuovi modelli di business e processi produttivi maggiormente competitivi. Con Agricoltura 4.0, in particolare, è stata adottata una strategia gestionale fondata sull’acquisizione e la condivisione di dati e informazioni precise, che le tecnologie digitali sono in grado di fornire, utili per poter intervenire solo dove e quando sia necessario e opportuno. Le innovazioni digitali generano crescenti fabbisogni di competenze nelle aziende agricole, che si muovono verso logiche di ammodernamento finalizzate alla formazione di figure professionali nuove, capaci di integrare le consolidate competenze tecniche/agronomiche con gli strumenti digitali. Aumentano le richieste di esperti del settore primario “di precisione”, della gestione sostenibile dell’azienda, di economia circolare e di professionisti in grado di tenere insieme le esigenze di mercato, dei consumatori e dell’ambiente. In questo quadro diviene strategico il ruolo dei sindacati di categoria, specie nel settore primario, laddove la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile rappresenta la strada maestra per il raggiungimento di standard occupazionali elevati. D’altra parte le politiche comunitarie che si occupano di transizione verde e digitale obbligano gli Stati a predisporre misure ad hoc sia di politica attiva che passiva, per definire l’attivazione di nuovi posti di lavoro alternativi a quelli persi, nonché strumenti di sostegno al reddito, percorsi di formazione, riqualificazione professionale e ricollocazione dei lavoratori. Si devono approfondire le potenzialità delle nuove tecnologie (con particolare riguardo alla realtà dei social network) per la sindacalizzazione delle migliaia di braccianti stranieri, che ogni anno si spostano in diverse aree del nostro Paese al ritmo dei cicli colturali e spesso sono stritolati nella morsa dell’irregolarità e dello sfruttamento. L’elemento centrale delle nuove relazioni industriali deve indirizzarsi verso la pratica di comportamenti salariali coerenti, ispirati al principio di fondo dell’inscindibilità del miglioramento delle condizioni di lavoro dallo sviluppo in termini di produzione e di produttività, dell’economia agricola nel suo complesso e nelle sue varie dimensioni territoriali, settoriali ed aziendali. In questo contesto il diritto del lavoro non può accettare passivamente la sirena del determinismo tecnologico e dei suoi effetti progressisti, ma partecipare ai progetti politico istituzionali di indirizzamento della tecnica, di valorizzazione delle sue potenzialità abilitanti, assumendo un atteggiamento di valutazione critica dell’innovazione, intesa come possibilità di regolare a monte i processi innovativi e soprattutto distinguendo tra quelli che hanno effetti meno negativi per le persone e per i lavoratori. Di fronte agli effetti dell’innovazione tecnologica, il diritto del lavoro deve assicurare il diritto al lavoro mediante efficaci misure finalizzate a migliorare l’accesso ai nuovi lavori, le transizioni tra un lavoro e l’altro ed il reinserimento lavorativo per chi ne è rimasto privo, imponendo la formazione come elemento causale del contratto, con una valenza giuridica pari a quella dell’obbligo di sicurezza.Pubblicazioni consigliate
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