La dicotomia tra una glottodidattica, tipica dell’italiano L1, basata sulle regole, deduttiva, per imitazione della letteratura del passato, prescrittiva, e una glottodidattica, tipica dell’italiano L2, che privilegia invece il parlato in situazione, il dialogo, la pragmatica piuttosto che la grammatica, induttiva e volta più agli usi reali che alle regole astratte e agli esempi letterari risale almeno al ’500, ovvero al secolo della Questione della lingua. Mentre infatti in Italia fiorivano le prime grammatiche (Bembo 1525), volte a proporre Petrarca e Boccaccio come modelli di lingua, all’estero nascevano i primi frasari e manuali di conversazione per stranieri. Ne sono una prima prova, già matura, i Firste Fruites (1578) e i Second Frutes (1591) di John Florio (studiati già da Haller, Montini e altri), straordinaria figura di umanista poliglotta, lessicografo e precettore reale di italiano a Londra. Nei suoi Frutti, raccolte di dialoghi, con testo inglese a fronte, esempi di conversazioni della vita di tutti i giorni (dal tennis all’ippica, dagli scacchi alle donne, dallo smalk talk alla conversazione con la servitù ecc.), Florio fornisce esempi di un italiano conversazionale già maturamente strutturato, arricchito da una gran messe di neologismi, proverbi, espressioni idiomatiche, collocazioni e costrutti marcati. I Frutti, oggetto d’analisi linguistica e conversazionale nella presente proposta di comunicazione, costituiscono non soltanto un esempio di glottodidattica delle origini tuttora utile (da Florio in poi l’esempio della didattica per dialoghi resterà insostituibile), ma contribuiscono a retrodatare di parecchi secoli (in linea con Bruni, Bianconi, Testa e altri, rispetto a De Mauro 1963) la nascita dell’italiano parlato. Quello che a tutta prima sembra un paradosso (cioè che l’italiano parlato nasca prima tra gli stranieri che in casa nostra) si configura in realtà come la logica conseguenza del solido setaccio puristico bembiano, che ha inibito per secoli, in Italia, il riconoscimento dei cosiddetti tratti dell’italiano dell’uso medio (Sabatini 1995, D’Achille 1990), peraltro già ben presenti nel ’500 ma intercettabili più liberamente dagli osservatori stranieri, meno vincolati a pregiudizi puristici.
Alle origini del dialogo come strumento glottodidattico e di analisi linguistica conversazionale: i Frutti di Florio
fabio rossi
;raphael merida
2024-01-01
Abstract
La dicotomia tra una glottodidattica, tipica dell’italiano L1, basata sulle regole, deduttiva, per imitazione della letteratura del passato, prescrittiva, e una glottodidattica, tipica dell’italiano L2, che privilegia invece il parlato in situazione, il dialogo, la pragmatica piuttosto che la grammatica, induttiva e volta più agli usi reali che alle regole astratte e agli esempi letterari risale almeno al ’500, ovvero al secolo della Questione della lingua. Mentre infatti in Italia fiorivano le prime grammatiche (Bembo 1525), volte a proporre Petrarca e Boccaccio come modelli di lingua, all’estero nascevano i primi frasari e manuali di conversazione per stranieri. Ne sono una prima prova, già matura, i Firste Fruites (1578) e i Second Frutes (1591) di John Florio (studiati già da Haller, Montini e altri), straordinaria figura di umanista poliglotta, lessicografo e precettore reale di italiano a Londra. Nei suoi Frutti, raccolte di dialoghi, con testo inglese a fronte, esempi di conversazioni della vita di tutti i giorni (dal tennis all’ippica, dagli scacchi alle donne, dallo smalk talk alla conversazione con la servitù ecc.), Florio fornisce esempi di un italiano conversazionale già maturamente strutturato, arricchito da una gran messe di neologismi, proverbi, espressioni idiomatiche, collocazioni e costrutti marcati. I Frutti, oggetto d’analisi linguistica e conversazionale nella presente proposta di comunicazione, costituiscono non soltanto un esempio di glottodidattica delle origini tuttora utile (da Florio in poi l’esempio della didattica per dialoghi resterà insostituibile), ma contribuiscono a retrodatare di parecchi secoli (in linea con Bruni, Bianconi, Testa e altri, rispetto a De Mauro 1963) la nascita dell’italiano parlato. Quello che a tutta prima sembra un paradosso (cioè che l’italiano parlato nasca prima tra gli stranieri che in casa nostra) si configura in realtà come la logica conseguenza del solido setaccio puristico bembiano, che ha inibito per secoli, in Italia, il riconoscimento dei cosiddetti tratti dell’italiano dell’uso medio (Sabatini 1995, D’Achille 1990), peraltro già ben presenti nel ’500 ma intercettabili più liberamente dagli osservatori stranieri, meno vincolati a pregiudizi puristici.Pubblicazioni consigliate
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