La radice “errante”, propriamente ebraica, ha condizionato il peculiare sguardo di Kafka sulle cose, sfuggente agli universi totalizzanti. Uno sguardo che pure lo ha reso spettatore attento del suo tempo, capace di smascherare il volto oscuro di un mondo che, consegnato alle mere regole del logos, si rivela folle nel pretendersi assoluto. Per la sua peculiarità, tale sguardo si presta a riflessioni filosofico-politiche che tentino una declinazione del politico oltre le definizioni mono-logiche che hanno caratterizzato una lunga tradizione di pensiero. È quanto si cercherà di argomentare nel presente lavoro, attraverso un’ipotesi interpretativa dell’ultimo racconto kafkiano, La tana, scritto fra il 1923 e il 1924. La figura della “tana”, oggetto del racconto, sembrerà rendere il modello su cui ha riposato la lunga tradizione del pensiero politico ispirata allo “stare”, con la sua razionale forma autosufficiente chiusa da un margine oppositivo ed escludente, animato dalla fede assoluta nella necessità delle leggi che esso si è dato, tanto più vicino alla perfezione quanto più spoglio delle accidentalità. Si tratterà tuttavia, nel racconto, della costruzione di un ordine apparente, destinato a rimanere incompiuto. L’“incompiutezza”, come si vedrà, darà un peculiare significato simbolico all’intera narrazione: se deluderà ogni razionale calcolo di compimento, pure potrà essere interpretata – quasi una provocazione dell’ebreo dell’esodo, dell’esilio, della diaspora –, come speranza di un “oltre” trascendente un’asfittica totalità.
Il margine incompiuto. Riflessioni simbolico-politiche nell'ultimo Kafka.
Schepis, Maria Felicia
2024-01-01
Abstract
La radice “errante”, propriamente ebraica, ha condizionato il peculiare sguardo di Kafka sulle cose, sfuggente agli universi totalizzanti. Uno sguardo che pure lo ha reso spettatore attento del suo tempo, capace di smascherare il volto oscuro di un mondo che, consegnato alle mere regole del logos, si rivela folle nel pretendersi assoluto. Per la sua peculiarità, tale sguardo si presta a riflessioni filosofico-politiche che tentino una declinazione del politico oltre le definizioni mono-logiche che hanno caratterizzato una lunga tradizione di pensiero. È quanto si cercherà di argomentare nel presente lavoro, attraverso un’ipotesi interpretativa dell’ultimo racconto kafkiano, La tana, scritto fra il 1923 e il 1924. La figura della “tana”, oggetto del racconto, sembrerà rendere il modello su cui ha riposato la lunga tradizione del pensiero politico ispirata allo “stare”, con la sua razionale forma autosufficiente chiusa da un margine oppositivo ed escludente, animato dalla fede assoluta nella necessità delle leggi che esso si è dato, tanto più vicino alla perfezione quanto più spoglio delle accidentalità. Si tratterà tuttavia, nel racconto, della costruzione di un ordine apparente, destinato a rimanere incompiuto. L’“incompiutezza”, come si vedrà, darà un peculiare significato simbolico all’intera narrazione: se deluderà ogni razionale calcolo di compimento, pure potrà essere interpretata – quasi una provocazione dell’ebreo dell’esodo, dell’esilio, della diaspora –, come speranza di un “oltre” trascendente un’asfittica totalità.File | Dimensione | Formato | |
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